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Uganda, le implicazioni regionali dell’attentato terroristico del 16 novembre a Kampala

Il 16 novembre, un trio di attentatori suicidi ha preso di mira Kampala, la capitale dell’Uganda, uno ha fatto esplodere il suo giubbotto fuori dal quartier generale della polizia e altri due si sono fatti esplodere vicino al parlamento. Gli attacchi hanno ucciso almeno altre quattro persone, secondo i rapporti ufficiali, e ne hanno ferite altre 37, 27 delle quali erano agenti di polizia. Il presidente Yoweri Kaguta Museveni ha immediatamente incolpato le ADF (Forze Democratiche Alleate) e dal DAESH, conosciuto in occidente come Islamic State – IS o Islamic State of Iraq and the Levant – ISIL. Poche ore dopo la dichiarazione del presidente, lo Stato Islamico (ISIS), che ora conta la fazione più grande dell’ADF come uno dei suoi affiliati, ha emesso un proprio comunicato tramite la sua agenzia di media Amaq, sostenendo che gli attacchi sono opera sua.
Il presidente Musevei e suo figlio, il Generale Muhoozi Kaineruganba, a capo delle forze armate, stanno indirizzando il loro apparato di sicurezza a considerare la minaccia terroristica principalmente un problema politico piuttosto che un semplice problema di sicurezza nazionale. Questo è un ottimo punto di partenza.
La strategia che sembra delinearsi non esula dal dovere del governo di dare la caccia alle cellule terroristiche autrici del triplice attentato del 16 e dei due attentati minori in ottobre. Una caccia già iniziata con la consueta efficacia e brutalità delle forze armate ugandesi. Durante la scorsa settimana la polizia e i reparti speciali anti-terrorismo hanno ucciso almeno cinque persone, tra cui un Imam musulmano, accusato di avere legami con il gruppo estremista responsabile degli attentati suicidi.
Uno dei principali sospettati in alcuni degli attentati dinamitardi è Meddie Nkalubo (noto nei circoli dell’ADF come “Punisher” – il Castigatore), normalmente nascosto in un campo dell’ADF nell’est Repubblica Democratica del Congo da dove coordina le cellule terroristiche di Kampala. Nkalubo rimane per ora a piede libero. Gli attivisti per i diritti hanno espresso la preoccupazione che una repressione più ampia possa tradursi in una repressione pesante che potrebbe consentire il reclutamento di militanti.
Le ADF sono il braccio armato del DAESH in Uganda e nella regione dei Grandi Laghi. Si tratta di un gruppo armato di ispirazione islamica sorto quattro anni dopo la liberazione dell’Uganda (1986) dalla dittatura di Milton Obote a opera di Museveni. Il gruppo è una fusione di diverse fazioni ribelli, tra cui il Movimento democratico alleato, l’Esercito nazionale per la liberazione dell’Uganda (NALU), l’Esercito di liberazione musulmano dell’Uganda e membri militanti del movimento Tablighi Jamaat.
Il movimento fu fondato da Jamil Mukulu, un ex cattolico convertitosi all’Islam. I membri provenivano in gran parte dall’Uganda centrale, in particolare Iganga, Masaka e Kampala, e si raffiguravano come crociati religiosi aventi l’obiettivo di trasformare l’Uganda in uno Stato Islamico basato sul Corano e la Sharia.
Le ADF vennero definitivamente sconfitte alla fine degli anni Novanta. I miliziani sopravvissuti si rifugiarono nel vicino Congo dove hanno tutt’ora le basi operative. Dal primo decennio del Duemila le ADF operano nella provincia del Nord Kivu della RDC, vicino al confine con l’Uganda. Mentre ripetute offensive militari contro le ADF le hanno gravemente indebolite, le ADF sono state in grado di rigenerarsi perché il loro reclutamento e le loro reti finanziarie sono rimaste intatte.
Le ADF hanno inoltre stretto una alleanza militare con il gruppo terroristico ruandese Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR) responsabili del genocidio ruandese del 1994 e, recentemente, dell’assassinio dell’Ambasciatore italiano Luca Attanasio. Le ADF hanno compiuto vari massacri di civili nel Nord Kivu zone di Beni, Butembo e Lubero per conto delle FDLR e del ex dittatore congolese Joseph Kabila. Massacri inseriti nel controllo dei territori, risorse naturali e al traffico illegale di minerali preziosi attuato dagli associati FDLR e Kabila.
Dal 2015, le ADF si sono radicalizzare a seguito dell’incarcerazione del suo leader Jamil Mukulu e l’ascesa al suo posto di Musa Baluku. Dal 2019, le ADF si era diviso, con una parte rimasta fedele a Mukulu, mentre l’altra si è nel Califfato della Provincia dell’Africa Centrale creato dal DAESH sotto il comando di Baluku.
Visto che le ADF sono un gruppo terroristico transfrontaliero che opera in Congo e Uganda, il triplice attentato a Kampala ha necessariamente delle implicazioni regionali ed è strettamente collegato al piano del DAESH di formare il Califfato della Provincia dell’Africa Centrale creato dal DAESH sotto il comando delle ADF. Di conseguenza quali sono esattamente le implicazioni per gli altri Stati della Regione dei Grandi Laghi?
Un’ottima analisi della ICG (International Crisis Group) ci offre una chiara spiegazioni sulle implicazioni regionali del triplice attentato di Kampala.
“La rinascita dell’ADF dal 2017 ha coinciso con una più stretta associazione con l’ISIS. Il gruppo sembrava aver stabilito legami con Waleed Zein, un cittadino keniota ora in custodia nel suo paese d’origine e sanzionato dagli Stati Uniti per il suo presunto ruolo di canale finanziario tra l’ISIS e l’ADF. Ha anche accolto nei suoi ranghi un altro combattente noto come Jundi, che gli ex combattenti dell’ADF identificano come un cittadino della Tanzania e l’uomo che per primo ha portato la bandiera dell’ISIS nei campi dell’ADF.
Nell’aprile 2019, l’ISIS ha rivendicato il suo primo attacco nella RDC, effettuato dall’ADF. Musa Baluku, leader della più grande fazione del gruppo, ora sembra essere un autoproclamato devoto dell’ISIS. In un video del 2020 visto da Crisis Group e citato in un rapporto della George Washington University, ha affermato che l’ADF “ha cessato di esistere molto tempo fa”, aggiungendo che lui e i suoi combattenti, che contano diverse centinaia, facevano ora parte dell’ISIS . Una fazione rivale, composta da non più di dozzine di persone fedeli al predecessore di Baluku, Jamil Mukulu, ora in custodia e sotto processo in Uganda, è considerata dai funzionari di sicurezza della RDC solo una minaccia minore”, spiegano gli esperti dell’International Crisis Group.

Dal 2020, il gruppo di Baluku ha anche iniziato a spostarsi a nord dal suo cuore nel Nord Kivu nella provincia di Ituri, dove la violenza che coinvolge prevalentemente le milizie di etnia Lendu è in aumento dal 2017. Da quando è entrata nell’Ituri, l’ADF ha cercato di espandere la sua rete di collaboratori nella provincia. Ha cercato di reclutare tra i migranti di etnia hutu che si sono stabiliti in gran numero nel sud dell’Ituri e sono in contrasto con altre comunità locali. Alcuni di questi ultimi leader della comunità hanno talvolta aiutato l’esercito della RDC a rintracciare l’ADF. Uno “stato d’assedio” dichiarato dal presidente della RDC Félix Tshisekedi a maggio, ponendo l’autorità provinciale nel Nord Kivu e nell’Ituri in mani militari, finora non è riuscito a arginare la continua espansione e gli attacchi mortali dell’ADF.

La fazione di Baluku sembra nel frattempo aver beneficiato dell’afflusso di combattenti stranieri e dei progressi nel dispiegamento di ordigni esplosivi improvvisati (IED) e nell’uso di droni. I funzionari della sicurezza della RDC e l’ex combattente dell’ADF intervistato da Crisis Group hanno notato che dal 2018 il gruppo ha assorbito più combattenti stranieri, inclusi Uganda, Burundi, Ruanda, Tanzania e Kenya, e ha anche dato addestramento al combattimento agli insorti mozambicani di al-Shabab di Cabo Delgado fino a quell’anno.
Gli investigatori delle Nazioni Unite hanno anche affermato in un rapporto del giugno 2021 che “il coinvolgimento di combattenti dell’ADF al di fuori della Repubblica Democratica del Congo ha contribuito a modesti progressi nelle tecniche di costruzione di ordigni esplosivi improvvisati”, elencando burundesi, kenioti e tanzaniani come particolarmente importanti per tale sviluppo. Gli investigatori hanno citato un aumento nel dispiegamento di tali dispositivi da parte dell’ADF sul campo di battaglia, sebbene molte delle bombe siano ancora rudimentali e non esplodano. Hanno anche documentato l’uso da parte del gruppo di almeno due droni di sorveglianza a supporto delle operazioni di combattimento.
“Le autorità della RDC stanno nel frattempo indagando se un individuo mediorientale arrestato a settembre in un luogo vicino ai campi dell’ADF nel Nord Kivu sia in qualche modo affiliato all’ISIS. Secondo quanto riferito, l’uomo viaggiava con un passaporto giordano. Dopo averlo arrestato, dicono i funzionari di Kinshasa, hanno trovato tra i suoi possedimenti materiale didattico per la gestione dei droni e per la fabbricazione di bombe, nonché propaganda jihadista. Tuttavia, non hanno fornito prove a sostegno di questa affermazione.” Informa ICG.
Come si collega tutto questo alle altre minacce jihadiste nella regione?
L’attacco a Kampala arriva mentre i funzionari di altri paesi dell’Africa orientale hanno iniziato a lanciare l’allarme, avvertendo di un possibile aumento dei complotti che coinvolgono non solo il DAESH e i suoi affiliati, ma anche il gruppo terroristico somalo Al-Shabaab, che giura fedeltà ad al-Qaeda. Al-Shabaab ha condotto gravi attacchi in Kenya e Uganda negli ultimi dieci anni ed è appoggiato dal dittatore eritreo, Isaias Afwerki, attualmente impegnato a sostenere militarmente il regime fascista Amhara del Premier etiope Abiy Ahmed Ali. La guerra civile in corso in Etiopia dal novembre 2020 ha costretto il regime di Addis Ababa di ritirare le sue truppe di stanza in Somalia, permettendo così ad Al-Shabaab di riprendere fiato e rafforsarsi con grande dissappunto degli Stati Uniti e dell’Uganda coinvolta direttamente nelle operazioni militari contro i terroristi somali.
Dagli esperti di International Crisis Group apprendiamo che all’inizio di ottobre le autorità del Ruanda hanno annunciato di aver arrestato tredici persone coinvolte in un fallito complotto per far esplodere esplosivi in ​​spazi pubblici nella capitale Kigali. I sevizi segreti ruandesi sospettano che il complotto fosse collegato alle ADF. Secondo quanto riferito, uno dei sospetti arrestati ha affermato che i cospiratori stavano cercando di punire il Ruanda per il suo intervento militare a Cabo Delgado, dove le sue truppe si sono schierate a marzo a sostegno degli sforzi del governo per arginare l’insurrezione di al-Shabab che l’ISIS ha anche affermato come sua affiliata nel 2019.
Le autorità del Kenya e della Tanzania hanno recentemente affermato di aver osservato il ritorno di un numero significativo di loro cittadini che hanno prestato servizio in gruppi militanti all’estero. Negli ultimi anni, entrambi i paesi avevano bloccato le reti jihadiste interne collegate ad Al-Shabaab in Somalia. Queste reti sono state reclutate da gruppi di giovani disillusi nel nord del Kenya e lungo la costa dell’Oceano Indiano a Zanzibar. Alcuni di quei giovani sono fuggiti dalla repressione, soprattutto dopo il 2017, e si sono trasferiti nell’ADF o ad al-Shabab in Mozambico, dove sono stati influenzati dalla propaganda dell’ISIS. A seguito dell’intervento militare straniero a Cabo Delgado, affermano fonti della sicurezza, molti di questi combattenti keniani e tanzaniani, che in questi ultimi hanno occupato posizioni di rilievo ad al-Shabab, si stanno ritirando a casa.
“Il ritorno di questi combattenti attraverso la Tanzania ha coinciso con altri sviluppi significativi. Ad agosto, un tiratore solitario si è imbarcato in una serie di omicidi vicino all’ambasciata francese nella città principale di Dar es Salaam. I funzionari tanzaniani sono a bocca chiusa sulle sue origini. Fonti dell’intelligence somala, tuttavia, affermano che l’uomo era un ex membro di Al-Shabaab somalo che si è recato in Mozambico nel 2020 per unirsi ai militanti lì. Fonti vicine all’ADF, nel frattempo, affermano che l’uomo mediorientale arrestato sopra menzionato, prima di attraversare la RDC, si era fermato per quasi due settimane ad agosto nella città tanzaniana di Kigoma, dove potrebbe aver fornito addestramento a cittadini dell’Africa orientale . I dati sull’immigrazione, visionati da Crisis Group, dimostrano la sua presenza lì, sebbene Crisis Group non sia stato in grado di confermare in modo indipendente che abbia fornito formazione”. Questo è quanto emerge dalle indagini di ICG.
Nelle ultime settimane, i servizi di sicurezza del Kenya hanno emesso una serie di avvertimenti, incluso in un memorandum ufficiale trapelato a fine ottobre, secondo cui sia l’ISIS che Al-Shabaab stanno cercando di scatenare nuovi attacchi lungo la costa del Kenya. Un funzionario ha detto a Crisis Group che Al-Shabaab probabilmente vorrebbe competere con l’ISIS per i titoli se venisse a sapere che quest’ultimo stava pianificando nuove operazioni.
Quali sono le prospettive di crescita dello Stato Islamico nella regione?

A marzo, gli Stati Uniti hanno designato l’ADF e al-Shabab del Mozambico come rami del DAESH. Sebbene i combattenti di entrambi i teatri di guerra si siano indubbiamente mescolati, stanno ancora perseguendo obiettivi locali sul campo di battaglia sotto catene di comando separate. Le autorità della Repubblica Democratica del Congo e del Mozambico, tuttavia, temono che il DAESH possa cercare di fornire maggiore assistenza a entrambi. Nel frattempo, il DAESH sta rivendicando sempre più attacchi commessi dalleADF e dalle Al-Shabab sui suoi canali mediatici.
Investigatori finanziari indipendenti e autorità regionali confermano di aver identificato il trasferimento di centinaia di migliaia di dollari da almeno una cellula in Kenya a persone affiliate alle ADF nella RDC e in Uganda, Tanzania e Mozambico. Funzionari keniani affermano che stanno indagando se il denaro sia collegato al DAESH. “Se il gruppo jihadista globale è dietro i trasferimenti, potrebbe indicare un tentativo di rafforzare non solo le ADF e Al-Shabab, ma anche le reti terroristiche minori associate che proliferano in tutta la regione” avvertono gli esperti del ICG.
Nel frattempo, un’altra fazione del DAESH sembra avere un ruolo di primo piano nello sviluppo sia delle ADF che di Al-Shabaab North East (ASNE) in Mozambico, una piccola fazione del DAESH con sede nelle montagne e nelle aree costiere del Puntland nord-orientale di fronte al Golfo di Aden, si è costruita per anni una reputazione come importante trafficante di armi e materiali esplosivi in ​​Somalia attraverso clan associati.
Uno dei suoi comandanti, Mohamed Ahmed “Qahiye”, è noto agli investigatori delle Nazioni Unite e alle fonti dell’intelligence somala per essersi recato a Mozambique nel 2020 attraverso l’Etiopia per fornire addestramento ai combattenti lì. Un documento visto da Crisis Group datato aprile 2020 e recuperato dalle forze di sicurezza dai militanti in Mozambico mostra anche il loro leader che riferisce i progressi della battaglia all’ASNE. L’ex combattente dell’ADF intervistato da Crisis Group ha dichiarato che Nkalubo era anche in contatto con la fazione del Puntland.

I funzionari della sicurezza a Mogadiscio e nella capitale del Puntland, Garowe, esprimono particolare preoccupazione per l’ASNE. Il gruppo terroristico è stato sottoposto a una pressione militare sostenuta sia dalle forze di sicurezza del Puntland che dalle unità di Al-Shabaab nell’area, limitandone i movimenti. Tuttavia, continua a resistere e, temono quei funzionari, potrebbe usare la sua posizione strategica di fronte allo Yemen per portare più armi e combattenti e cercare di espandere e proiettare più influenza in Somalia e oltre.

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