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Uganda: il presidente Museveni e suo figlio sono accusati di crimini contro l’umanità

Presso la Corte Penale Internazionale (ICC, International Criminal Court) è stato depositato un fascicolo contro il presidente dell’Uganda, Yoweri Museveni, e suo figlio, Muhoozi Kainerugaba, accusati insieme ad altri 24 funzionari ugandesi di aver favorito la violenza, in particolare contro gli oppositori, la loro incarcerazione e tortura. È quanto emerge da centinaia di testimonianze presentate al tribunale da Bobi Wine, leader dell’opposizione ugandese, sottoposto negli anni a torture che gli hanno causato danni fisici e umiliazioni profonde.

I documenti contengono accuse dettagliate di tortura di esponenti politici avversi al governo e di attivisti che riferiscono di essere stati arrestati arbitrariamente e trattenuti in “centri di tortura”, dove sarebbero stati interrogati sui loro legami con Bobi Wine. Le testimonianze raccolte fanno riferimento a ben 215 persone e il primo giornale ad averne dato notizia è stato il “Guardian”, che ha ricevuto le informazioni dall’avvocato dei ricorrenti Bruce Afran, dopo che la denuncia è stata depositata nello scorso mese di maggio.

Museveni ha 78 anni e governa l’Uganda dal 1986, mentre suo figlio Kainerugaba ne ha 49 anni. Il primo è coinvolto per il suo ruolo di comandante in capo delle forze armate, mentre il secondo è accusato di controllare i presunti centri di tortura.

Le torture raccontate dai testimoni sono raccapriccianti: si contano violenze inflitte con impianti acustici e scosse elettriche, frustate con fili metallici e iniezioni di sostanze chimiche negli occhi, oppure aghi infilzati sulle unghie dei piedi e denti strappati a forza, fino ad alcuni casi di testicoli rimossi. Evidentemente, i testimoni hanno avuto molto coraggio per parlare, eppure la maggior parte di loro teme ancora per la propria incolumità perché ha chiesto di restare anonima. Tra i personaggi che hanno rivelato la propria identità, il satirico ugandese Kakwenza Rukirabashaija e l’attivista Amos Katumba, il quale ha detto che “è davvero difficile quando cerchi di alzare la voce in Uganda per parlare di ciò che accade ogni giorno nel nostro caro paese”.

Dal canto loro, il governo, il presidente e suo figlio hanno respinto le accuse, rilanciando che si tratta di illazioni che hanno indotto la Corte Penale Internazionale in errore.

Prima di dedicarsi alla politica, Bobi Wine è stato un cantante, il cui nome originario è Robert Kyagulanyi. Arrestato più volte, come ad esempio durante una manifestazione antigovernativa a Kampala nel 2021, ha denunciato più volte brogli elettorali, frodi nel processo democratico e una sistematica repressione da parte del governo contro la sua campagna elettorale, arrivando a dire che avrebbe subito alcuni tentativi di assassinio.

Più volte in passato l’Uganda ha minacciato di lasciare la Corte Penale Internazionale insieme ad altri Paesi governati da regimi dittatoriali, infatti Museveni si è più volte rivolto in maniera sprezzante contro il tribunale, dicendo che i suoi giudici sono “un mucchio di gente inutile”. Nonostante questo, ad oggi l’Uganda continua a sottoscrivere lo statuto di Roma, per cui il tribunale può perseguire casi che coinvolgono crimini contro l’umanità che si verificano in quel Paese.

Per il momento l’indagine contro Museveni e suo figlio non comporta un processo: l’ICC deciderà più avanti se si occuperà del caso, infatti possono volerci mesi, o addirittura anni, prima che la Corte penale internazionale annunci se indagherà effettivamente su un caso. Solo una parte delle denunce presentate va avanti nell’iter giudiziario e, in questo periodo, le risorse sono molto limitate, infatti il procuratore capo della corte, Karim Khan, ha affermato che il suo ufficio è a corto di personale e budget, nonché sovrastato dalle indagini sui crimini di guerra in Ucraina e Afghanistan.

Sull’Uganda si muove qualcosa anche in Italia. L’altro ieri, 11 luglio 2023, l’onorevole Nicola Fratoianni, presidente dell’Alleanza Verdi e Sinistra, ha presentato un’interrogazione a risposta scritta al Ministero degli Affari Esteri sul rispetto dei diritti umani nel Paese africano, in particolare dopo la promulgazione della legge “anti-gay”, di cui ha scritto anche “Focus on Africa”:

Uganda, il presidente Museveni ha promulgato la legge “anti-omosessualità”

Dopo aver ricordato che “dal 1986 l’Uganda soffre sotto la dittatura sanguinaria del generale Yoweri Museveni, ininterrottamente al potere da oltre 37 anni”, Fratoianni ha spiegato che nel Paese c’è un alto livello di corruzione, un analfabetismo dilagante e una povertà sempre più diffusa, senza dimenticare la violenza politica, il lavoro minorile, la mancanza di libertà di stampa e di libertà d’espressione. In questo quadro altamente problematico, Fratoianni ha chiesto al ministro quali iniziative intenda assumere per “chiedere l’immediata abrogazione della legge che prevede il reato di «omosessualità aggravata»” e, soprattutto, “se intenda proporre e mettere in campo sanzioni nei confronti del regime ugandese”, anche nell’ambito in sede dell’Unione Europea.

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