vai al contenuto principale

Uganda, gli attivisti chiedono aiuto per contrastare la legge “anti-gay”

Lo scorso 21 marzo, il parlamento dell’Uganda ha approvato con 387 voti contro 2 la “Legge anti-omosessualità”, per la cui promulgazione definitiva manca solo la firma del presidente Yoweri Museveni. Come spiegò Riccardo Noury su “Focus on Africa”, si tratta di “una legge retrograda e repressiva” che “istituzionalizzerà discriminazione, odio e pregiudizio nei confronti delle persone Lgbtqia+”.

Uganda, l’appello al presidente Museveni: “Blocchi la legge omofoba”

Si tratta di uno dei provvedimenti “anti-gay” più severi al mondo, per cui l’ammissione di essere omosessuale potrebbe comportare una lunga pena detentiva, dacché i membri della piccola ma compatta comunità gay ugandese vivranno nel terrore più di quanto non sia oggi, per di più valutando la possibilità concreta di fuggire dal Paese. La legge, infatti, criminalizza anche la mancata denuncia di persone sospettate di partecipare ad attività sessuali gay, mettendo amici, ex partner – persino genitori solidali – a rischio di andare in prigione per aver taciuto.

La legge ugandese prevede la pena di morte nel caso di “omosessualità aggravata”, ossia i rapporti sessuali con qualcuno di età inferiore ai 14 anni o superiore ai 75 anni, mentre stabilisce l’ergastolo per l’attività sessuale gay e il divieto della “promozione dell’omosessualità”, ossia il sostegno delle persone LGBTQ o il supporto alle loro associazioni. Evidentemente, anche i turisti stranieri saranno soggetti a tali norme.

Più nel dettaglio, il disegno di legge “anti-gay” dell’Uganda prevede:

  • una persona condannata per adescamento o tratta di bambini allo scopo di coinvolgerli in attività omosessuali rischia l’ergastolo;
  • le persone o le istituzioni che sostengono o finanziano attività o organizzazioni per i diritti LGBT, o pubblicano, trasmettono e distribuiscono materiale e letteratura mediatica pro-gay, rischiano di essere perseguite e incarcerate;
  • media, giornalisti ed editori sono perseguiti e incarcerati se pubblicano, trasmettono e distribuiscono qualsiasi contenuto che sostenga i diritti dei gay o “promuova l’omosessualità”;
  • l’abuso sessuale di un bambino, una persona con disabilità o persone vulnerabili, o nei casi in cui una vittima di violenza omosessuale è infettata da una malattia permanente, si parla di “omosessualità aggravata”, per la quale è prevista la pena di morte;
  • i proprietari di immobili rischiano di essere incarcerati se i loro locali vengono utilizzati come “bordello” per atti omosessuali o qualsiasi altra attività per i diritti delle minoranze sessuali.

Il presidente Museveni, un ex ufficiale militare che governa l’Uganda da oltre 37 anni, ha tempo fino alla fine di questo mese per firmare il disegno di legge, porre il veto o rimandarlo al parlamento per una revisione. Molti osservatori ritengono che sceglierà la terza opzione e chiedono ai legislatori di attenuare alcune delle parti più dure della legislazione, che ha attirato pesanti critiche dalla comunità internazionale.

Intanto la comunità LGBT dell’Uganda vive “nella paura totale” e gli attivisti chiedono all’Unione Europea di interrompere l’invio di aiuti alla nazione africana e di utilizzarli, invece, come leva per una maggiore tutela dei diritti umani. Come ha dichiarato a “Euronews” l’attivista ugandese residente in Germania Edward Mutebi, “chiedono la nostra estinzione, vogliono arrestare tutti coloro che si identificano come gay e metterli in prigione a vita. Alcune persone chiedono persino la castrazione degli omosessuali”.

La sua ONG, “Let’s Walk Uganda”, ha ricevuto per mesi richieste di aiuto da parte della comunità LGBT, soprattutto da parte di persone che chiedevano consigli su come lasciare il Paese e andare in Kenya. Sono tanti i casi di ragazzi cacciati di casa e che ora vivono per strada o di persone attaccate, spogliate, picchiate e persino castrate.

Secondo Mutebi, una strategia che potrebbe risultare più efficace è quella di chiede all’UE di ritirare gli aiuti all’Uganda, in modo da indurre il governo a riconsiderare quel provvedimento. Qualcosa di simile era già accaduto nel 2014, quando il budget di aiuti internazionali all’Uganda fu tagliato in modo significativo in occasione di una precedente legge “anti-gay”, per cui il Museveni fece in modo che venisse smussata nei suoi propositi punitivi e discriminatori.

L’omofobia dell’ordinamento ugandese non è la sola nel continente africano, tuttavia il disegno di legge approvato dal parlamento – e che ora attende la firma di Museveni per diventare effettivo – è il primo a rendere reato la semplice identificazione come membro della comunità LGBT. Si tratta del più recente di una serie di attacchi che il governo ugandese muove alle persone LGBT negli ultimi dieci anni.

In un comunicato, l’Ue si è detta “profondamente preoccupata per l’approvazione di un disegno di legge contro l’omosessualità da parte del parlamento ugandese, che introduce pene severe, compresa la pena di morte. L’Ue è contraria alla pena di morte in ogni circostanza”.

Una grossa spinta alla legge omofobica ugandese viene dal cristianesimo evangelico bianco di origine statunitense e, più in generale, occidentale. Come ha spiegato ancora Mutebi, “i pastori anti-LGBT vengono finanziati dai movimenti anti-gender dell’Occidente e dell’America, stanno dando loro fondi per diffondere l’odio nel Paese”. L’influenza risale ai primi anni Duemila, quando l’evangelico americano Scott Lively sostenne una serie di eventi “anti-gay” culminati in un primo disegno di legge “Uccidi i gay” dell’Uganda nel 2009. Lively aveva scritto libri come “The Pink Swastika: Homosexuality in the Nazi Party” e “Seven Steps to Recruit-Proof Your Child” contro quello che ha descritto come “indottrinamento pro-omosessuale”. A quel disegno di legge, poi, Lively si oppose perché troppo severo, ma intanto l’odio era stato seminato, crescendo e sviluppandosi negli anni, fino alla legge del 2014 e, ora, a questo disegno di legge del 2023.

Prima dell’arrivo del pastore evangelico americano Scott Lively, in Uganda la “questione dell’omosessualità” non era una priorità. Pertanto, questa ossessione appare anche come un diversivo dai problemi economici del Paese, nonché dai ben più estesi fallimenti del governo. Come dice ancora l’attivista Mutebi, “noi omosessuali siamo capri espiatori; a breve ci saranno le elezioni, per cui ecco riemergere il tema dell’omosessualità per distogliere l’attenzione della gente dal discutere questioni molto serie come l’inflazione e il costo della vita”.

L’attività sessuale gay è illegale da anni in Uganda e già nel 2017 fu chiuso l’unico festival di film gay del Paese; negli ultimi tempi, tuttavia, le persone LGBTQ e i loro sostenitori hanno iniziato a ritagliarsi uno spazio, sentendosi abbastanza sicuri da organizzare piccole parate di orgoglio e organizzare gruppi di auto-aiuto. Se l’attuale disegno di legge contro l’omosessualità diventasse legge, l’Uganda, Paese di 46 milioni di abitanti per l’84% cristiani, sarebbe il quarto nel continente africano dove i gay possono essere messi a morte, dopo la Somalia (che impone una pena detentiva fino a 3 anni, ma la pena di morte può essere inflitta ai sensi della legge della sharia), la Nigeria (che impone una pena detentiva di 14 anni, ma la pena di morte può essere applicata nei 12 stati del nord sotto la sharia) e la Mauritania (che prevede la pena di morte, ma secondo le Nazioni Unite non si registrano esecuzioni dal 1987).

Secondo l’ILGA (International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association), in 32 delle 54 nazioni africane è proibita l’attività consensuale tra persone dello stesso sesso: oltre alle tre precedentemente citate dove si rischia la pena di morte, in 9 Paesi è prevista la reclusione da 10 anni fino all’ergastolo, mentre in 20 Paesi c’è la reclusione inferiore a 10 anni o altre pene.

Torna su