Neanche tre settimane fa, il 2 maggio, nel vertice tra i ministri dell’Interno di Italia, Algeria, Libia e Tunisia, le autorità di quest’ultimo paese avevano ottenuto, da quelle italiane, l’ennesimo plauso per la gestione del fenomeno migratorio.
Ieri, 17 maggio, l’account X del Viminale proclamava trionfalmente che “le autorità tunisine negli ultimi quattro mesi hanno impedito la partenza di 21.000 migranti, che i trafficanti di esseri umani tentavano di imbarcare verso le nostre coste. Il segno concreto che un fenomeno così complesso può essere affrontato solo con una strategia comune, come sta facendo l’Italia insieme a paesi di origine e transito dei flussi migratori”.
Nelle due settimane o poco più trascorse tra l’incontro ministeriale e la dichiarazione del Viminale, in Tunisia si è scatenata quella che Amnesty International ha definito una “repressione senza precedenti” nei confronti di migranti, rifugiati, difensori dei diritti umani di questi ultimi, avvocati e giornalisti.
A partire dal 3 maggio le autorità tunisine hanno arrestato, convocato e indagato dirigenti, ex dipendenti o soci di almeno 12 organizzazioni della società civile, sulla base di accuse poco chiare tra cui presunti “reati finanziari” legati all’assistenza fornita alle persone migranti.
Quel giorno, prima dell’alba, le forze di polizia tunisine hanno sgomberato centinaia di migranti e rifugiati, inclusi bambini, donne incinte e richiedenti asilo registrati presso l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), che erano accampati dentro un parco pubblico a Tunisi, vicino agli uffici dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e dell’Unhcr. Durante lo sgombero, le forze di sicurezza hanno fatto uso di gas lacrimogeni e pistole taser. Hanno ripetutamente colpito quelle persone con calci, pugni e manganelli.
Il 6 maggio, durante una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale, il presidente Kais Saied ha ha attaccato le organizzazioni della società civile, descrivendole come “traditrici”, “agenti stranieri” e “rabbiosi altoparlanti a busta paga straniera” a causa del fatto che ricevono finanziamenti dall’estero e per le loro critiche allo stato. Il presidente ha poi detto con orgoglio che le forze di polizia tunisine avevano riportato forzatamente 400 persone al confine libico: un palese trasferimento collettivo illegale.
Tra le organizzazioni prese di mira dalla repressione governativa c’è anche il Consiglio tunisino per i rifugiati (Ctr), un’organizzazione non governativa che di recente ha pubblicizzato un bando per coinvolgere gli alberghi in un programma di accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati. Le autorità tunisine hanno arrestato sia il direttore che il vicedirettore del Ctr. I pubblici ministeri hanno ordinato la loro detenzione preventiva e avviato un’indagine per “costituzione di un’associazione criminale con l’intento di aiutare una persona ad entrare nel territorio tunisino senza documenti di viaggio”. Il procuratore generale di Tunisi ha quindi annunciato l’avvio di un’indagine ufficiale contro “un gruppo di associazioni e organizzazioni” accusate di “abuso di mandato nel fornire sostegno finanziario a ‘immigrati illegali'”.
Contemporaneamente, le forze di polizia hanno intensificato i trasferimenti collettivi illegali di rifugiati e migranti, oltre a numerosi sgomberi forzati, e hanno arrestato e condannato proprietari di immobili per aver affittato appartamenti alle persone migranti senza permessi. Il 4 maggio, le forze di sicurezza hannosgomberato forzatamente 15 migranti che vivevano dal 2017 in uno studentato a Marsa, sobborgo a nord di Tunisi. Il gruppo, fuggito dalla Libia nel 2011, era stato precedentemente sgomberato da un campo profughi dell’Unhcr a Ben Gardane, nel sud della Tunisia. I 15 uomini sono stati arrestati con l’accusa di permanenza illegale nel paese. Sono comparsi davanti al pubblico ministero senza un interprete né un avvocato.
L’8 maggio la polizia della Tunisia ha anche arrestato la difensora dei diritti umani Saadia Mosbah, a capo di Mnemty, un’organizzazione antirazzista che fornisce sostegno a rifugiati e migranti, e l’ha trasferita in custodia in attesa di indagini relative a presunti “reati finanziari” legati al finanziamento dell’organizzazione. La polizia ha perquisito gli uffici di Mnemty a Tunisi e la casa di Mosbah, interrogando lei e due membri dello staff dell’organizzazione riguardo al finanziamento della stessa, alle attività svolte e ai partner coinvolti.
Stesse accuse per Sherifa Rhiai, attivista e già direttrice dell’Ong Tunisie Terre, arrestata il 9 maggio. Il 21 maggio si terrà la prima udienza del processo nei suoi confronti.
L’11 maggio le autorità hannoarrestato Sonia Dahmani, avvocata e personaggio pubblico, ai sensi del decreto-legge 54, per i commenti fatti in un’intervista televisiva che mettevano in discussione le affermazioni delle autorità secondo cui i migranti arrivano in Tunisia con l’intenzione di stabilirsi nel paese. Il 13 maggio, un giudice di Tunisi ha ordinato la sua detenzione preventiva.
Lo stesso giorno sono stati arrestati anche due giornalisti che, secondo gli avvocati, sono stati interrogati in merito al loro lavoro e su diversi commenti critici che avevano espresso sui media. Il 15 maggio un giudice di Tunisi ha ordinato la loro detenzione preventiva ai sensi dell’articolo 24 del decreto-legge 54, che prevede una pena detentiva di cinque anni e una multa di 50.000 dinari (circa 15.000 euro), per “chiunque pubblichi contenuti con l’obiettivo di violare i diritti altrui, danneggiare la sicurezza pubblica o la difesa nazionale, diffondere il terrore tra la popolazione o incitare all’odio”. Saranno processati il 22 maggio.
Ricordiamo che nel luglio 2023 l’Unione europea ha firmato un memorandum d’intesa con la Tunisia in base al quale, tra le altre cose, ha accettato di fornire a quel paese un supporto tecnico per scoraggiare la migrazione verso l’Europa, tra cui 105 milioni di euro destinati alla “gestione delle frontiere”, nonché quasi un miliardo di euro in prestiti e sostegni finanziari aggiuntivi per far fronte alla crisi economica senza precedenti nel paese. Questo accordo, privo di trasparenza e di controlli parlamentari, è tuttora in vigore.
Amnesty International ha ripetutamentescritto ai rappresentanti dell’Unione europea sollevando preoccupazioni sulle ripercussioni della cooperazione con la Tunisia senza una preventiva valutazione del rischio per i diritti umani.