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Sudan, quattro anni dopo la caduta del regime di Bashir stabilità ancora lontana

Blindati per rispondere a una manifestazione pacifica nel giorno un cui si celebra la caduta della dittatura in Sudan, l’11 aprile del 2019.
Khartoum, nell’anniversario della fine del regime trentennale del presidente – dittatore Omar Hassan al-Bashir, vive ore di tensione nell’attesa della firma di un  accordo fra le autorità al potere, militari, e le forze della società civile per un governo di transizione che traghetti il paese verso le elezioni nel 2024.
Il punto di maggior attrito è quello relativo  alla gestione della sicurezza ed in particolare dell’ipotesi di inserimento nell’esercito sudanese delle Forze di supporto rapido (Rsf), gruppo paramilitare che ha represso duramente le proteste che nel 2019 portarono alla deposizione di Bashir.
In base alla tempistica dettata da precedenti intese, le parti avrebbero dovuto annunciare oggi un nuovo primo ministro ed altri membri del futuro governo civile ma il comitato congiunto composto da esponenti dell’esercito e delle Rsf, istituito per discutere delle questioni controverse, ha sospeso i colloqui determinando uno stallo pericoloso.
Nelle stesse ore, 14 veicoli blindati guidati dai miliziani d guidato dal generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemeti, hanno lasciato il quartier generale di Zurq, località situata al confine con la Libia, per  muoversi verso il centro di Khartoum “in previsione di qualsiasi emergenza”.
Al centro delle tensioni ci sono in particolare le differenti vedute sul futuro delle Rsf esistenti fra il presidente del Consiglio sovrano sudanese, generale Abdel Fattah al Burhan, ed il suo vice nonché comandante delle Rsf Dagalo.
Intanto sono in migliaia i sudanesi scesi in piazza per celebrare l’11 aprile del 2019, giorno del golpe al culmine di mesi di proteste che avevano spinto l’esercito a prendere posizione a favore della società difendendo i manifestanti che  il 6 aprile 2019 erano arrivati davanti a palazzo presidenziale.

Quel giorno i militari decisero di porre fine al regime trentennale di Bashir dopo quattro mesi di proteste di massa e violazioni dei diritti perpetrate dal suo apparato di sicurezza.

Fondato nel 1955 dalla Gran Bretagna, che ha difeso il Sudan sotto il dominio britannico fino all’indipendenza del paese un anno dopo, l’esercito sudanese ha mantenuto  per tre lunghi decenni un ruolo neutrale, fino a tre anni fa quando i vertici militari hanno  compreso che la stabilità del governo sudanese era fragile.
Su questi presupposti il colpo di stato militare è stato inevitabile.
Alla caduta di Bashir è seguita una fase di transizione, sulla base a un accordo di condivisione del potere firmato dal generale Abdel Fattah al Burhan e i rappresentanti dei manifestanti.
I militari avrebbero dovuto governare il Sudan per 21 dei 39 mesi prima delle elezioni previste inizialmente nel 2022 poi posticipare al 2023.
Poi li 25 ottobre del 2021 con un nuovo golpe i generali alla guida del Consiglio sovrano, organo che affiancava il governo del primo ministro Abdalla Hamdok, hanno posto fine al processo di democratizzazione faticosamente messo in atto con la fine della dittatura.
Ma la società civile non ha subito inerme questo nuovo attacco alla libertà del popolo sudanese e da sette mesi porta avanti proteste per chiedere il ripristino di un governo civile. Manifestazioni pacifiche represse con violenza inaudita. Già un centinaio le vittime e migliaia i feriti.
E l’onda lunga delle nuove rivolte non è destinata ad arrestarsi. Come non si fermano le repressioni e intentativi di far deragliare il processo democratico del Paese.

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