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Sudan, la grande fuga degli europei da un conflitto sempre più grave

La grande fuga degli italiani dal Sudan, insieme a centinaia di altri europei,  si è compiuta. Oltre 140 nostri connazionali, arrivati nella tarda mattinata di domenica in ambasciata,, sono partiti da Khartoum a bordo di due C130 per Gibuti, da dove erano giunti poche ore prima, per poi volare in Italia.
Con loro anche alcuni cittadini svizzeri ai quali è stata fornita la stessa assistenza e il passaggio sicuro per tornare nel loro paese via Roma.
Sono state ore estremamente complesse, non è stato semplice mettere in sicurezza per poi portare in salvo tutti gli italiani in una situazione di totale instabilità, che cambiava in continuazione.
L’evacuazione dei nostri connazionali, coordinate dal comando operativo di vertice interforze, sono iniziate alle 13.55quando i due voli militari sono partiti da Gibuti alla volta di Khartoum con a bordo personale delle forze speciali dell’Esercito italiano e dei Carabinieri.
Ma le nostre “teste di cuoio” erano già sul posto per garantire la copertura sicura dei convogli, nonostante il supporto dell’esercito sudanese e la garanzia che nessun attacco sarebbe stato indirizzato contro di essi dalle Forze di supporto rapido, le milizie paramilitari del generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemeti.
“Tutti gli 11 dipendenti dell’agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo sono in salvo. Io ero già in Italia ma in costante contatto con Khartoum” spiega il direttore della sede dell’Aics in Sudan, Michele Morana, che può tirare un sospiro di sollievo.
Anche il personale locale, rimasto a Khartoum, è al momento al sicuro, rifugiato nelle proprie  residenze.
Ma resta l’amarezza per tutti i progetti di cooperazione che l’Italia stava attuando con successo nel paese.
“Progetti che continueranno” assicura Morana.
Tanti gli operatori che avevano iniziato le loro missioni, come Costanza, che in un primo
momento  aveva pensato di lasciare il paese con un gruppo di persone decise ad arrivare in Egitto via terra. Viaggio estremamente rischioso, motivo che l’ha spinta ad attendere l’evacuazione con il personale dell’ambasciata.
Anche una parte del personale di
Emergency, l’organizzazione italiana non governativa che a Khartoum gestisce l’ospedale di cardiochirurgia “Al Salam”, rientra in Italia.
“In 7 hanno scelto di tornare con il convoglio di evacuazione organizzato dall’ambasciata italiana – spiega il coordinatore sanitario Franco Masini – Tre di loro avevano già programmato il rientro, ma erano stati bloccati nel Paese dall’inizio degli scontri. Restano in Sudan circa una quarantina di operatori sudanesi e internazionali che proseguiranno il loro lavoro negli ospedali di Khartoum, Nyala e Port Sudan” conclude con una punta di orgoglio, seppur con la preoccupazione inevitabile del
costante peggioramento della situazione.
Hanno invece deciso di rimanere in Sudan tutti gli operatori di Medici senza frontiere che hanno finora assistito 354 feriti a causa degli intensi combattimenti tra l’esercito sudanese e le Forze di Supporto Rapido che non si sono fermati neanche durante l’annunciata tregua per le celebrazioni della
fine del Ramadan.
Il bilancio delle vittime del conflitto si accresce di giorno in giorno, sono quasi 900 i morti e una decina di migliaia i feriti.
E la situazione non può che peggiorare, oltre l’80 % degli ospedali è al collasso.

Articolo pubblicato su Repubblica 

Credits foto AP

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