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Sudan, premier Hamdok: garantiti pieni diritti a Marco Zennaro

La vicenda del nostro connazionale in carcere in Sudan, Marco Zennaro, è complessa e oscura. Una certezza è la condizione di grande disagio dell’imprenditore, in condizioni estreme a causa del caldo e dell’affollamento della struttura dove è detenuto.
Zennaro era stato scarcerato e nei suoi confronti erano stati disposti gli arresti domiciliari, nell’attesa del processo, poi è arrivata una seconda denuncia e il pubblico ministero ha revocato il dispositivo di scarcerazione.
Ma in forma orale non scritta.
Per risolvere questo garbuglio giuridico sono al lavoro i legali dell’imprenditore veneto insieme all’ambasciatore italiano Gianluigi Vassallo e l’inviato della Farnesina, il rappresentante degli italiani all’estero Luigi Vignali.
Solo i forti rapporti diplomatici tra Italia e Sudan possono portare a un chiarimento e alla chiusura di questa brutta vicenda.
I presupposti per velocizzare la soluzione del caso ci sono tutti. A cominciare dalla telefonata del primo ministro del Sudan Abdalla Hamdok con l’ambasciatore Vassallo, di cui abbiamo appreso da fonti di governo sudanesi, che ha garantito il rispetto dei diritti del nostro connazionale.
In Sudan il sistema giudiziario non è lineare ma la diplomazia italiana è certa di riuscire a chiarire al più presto gli aspetti ancora non definiti della controversia economica commerciale per garantire un giusto processo o una transazione corretta nel caso di accordi tra le parti.
La situazione si è complicata quando alla prima inchiesta è seguita  una seconda denuncia.
Al momento sono tre le società che hanno denunciato per truffa Zennaro,  oltre alla JJalabi and brothers sono la Hightend Multi-Activities Company, insieme a una terza, la Sheikh El-Din Brothers.
Le parti ritenute ‘offese’ chiedono la restituzione di quanto pagato: un milione 156 mila euro la prima commessa,  700 mila la seconda. La presentazione delle denunce, sulla base della legislazione vigente in Sudan, aveva portato all’arresto di Marco Zennaro, amministratore dell’azienda di famiglia, che da marzo si trovava a Khartoum per tentare di risolvere la questione.

Tutto è scaturito dal mancato certificato di conformità sui trasformatori venduti dall’azienda di Zennaro.  Secondo la famiglia dell’imprenditore non è stato rilasciato perché a effettuare le verifiche è stata  una società concorrente.
La prima disputa tra la Zennaro Electrical Constructions di Marghera (Venezia) e la al-Jalabicompany, che aveva sottoscritto un ordine all’impresa italiana e che fungeva da mediatore tra quest’ultima e un’altra società sudanese, la Hightend Multi-Activities Company, è scaturita da questo.
In un primo momento la controversia era stata superata con il pagamento da parte di Zennaro di 400 mila euro, ma a nelle scorse ore son o state la Hightend Multi-Activities Company, insieme a una terza, la Sheikh El-Din Brothers – che a sua volta aveva acquistato i trasformatori dall’impresa veneta – a depositare due differenti esposti alle autorità sudanesi contro Zennaro.
La situazione si è dunque notevolmente complicata e si preannuncio un lungo percorso giudiziario.

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