I militari hanno preso il controllo della transizione che avrebbe dovuto traghettare il Sudan dal dispotismo del presidente Omar Al Bashir deposto nel 2019 alla democrazia: con un colpo di stato in piena regola, hanno arrestato premier e ministri civili, imposto lo Stato d’emergenza, bloccato internet, assaltato la tv e sparato su manifestanti causando alcuni morti – in serata se ne contavano almeno tre – e oltre 80 feriti. Il tutto fra condanne internazionali e appelli a tornare al coordinamento con i civili. Il generale Abdel Fattah Burhan, presidente del Consiglio Militare di Transizione e di fatto già leader del Sudan, ha annunciato lo scioglimento del governo e del Consiglio sovrano paritetico dove sedevano esponenti militari e altrettanti civili, costituendo un sorta di capo di Stato collettivo che stava guidando il Sudan dall’agosto di due anni fa. Oltre al premier, il 63enne economista Abdallah Hamdok, sono stati arrestati e deportati in luoghi sconosciuti anche diversi ministri civili che affiancavano quelli militari nell’esecutivo. Stessa sorte per tutti i rappresentanti civili in seno al Consiglio sovrano. Il 61enne Burhan, finora mostratosi vicino ad Egitto, Emirati ed Arabia Saudita, in un discorso televisivo tenuto in mimetica e basco ha annunciato stato di emergenza, coprifuoco, sospensione di alcuni articoli della costituzione e la formazione di un nuovo esecutivo “indipendente” e “rappresentativo” per “correggere la transizione”. Oltre all’annuncio del cambio di diversi governatori, il generale ha confermato “elezioni libere” come previsto per la fine del 2023, anno in cui ci dovrebbe essere il passaggio del potere a un governo eletto. La settimana scorsa Hamdok aveva annunciato che il passaggio a un potere pienamente civile sarebbe avvenuto entro il 17 novembre, come chiesto da parte della piazza. E questo dopo che un fallito golpe tentato a settembre da nostalgici del trentennale dittatore islamista Bashir aveva spinto i militari a chiedere un rimpasto di governo. Il premier, dapprima messo ai domiciliari, è stato deportato con la moglie per essersi rifiutato di appoggiare il golpe e aver invece istigato i manifestanti a protestare, seppur pacificamente. Fra pneumatici in fiamme e strade bloccate con vari ostacoli, i dimostranti hanno però cercato di marciare vicino al quartier generale delle forze armate, situato nel centro della capitale Khartoum e protetto da giorni con nuovi blocchi di cemento: i militari hanno sparato e lanciato lacrimogeni. Il bilancio provvisorio di almeno tre morti e oltre 80 feriti è stato fornito dall’Associazione dei medici sudanesi. “Condanno il colpo di stato militare in corso in Sudan. Il primo ministro Abdalla Hamdok e tutti gli altri funzionari devono essere rilasciati immediatamente”, ha dichiarato il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. La Farnesina, nell’esprimere “preoccupazione”, ha auspicato che con il contributo di Ue, Unione africana e altri ed organismi regionali si possa tornare al più presto allo spirito del processo di transizione democratica in Sudan, sostenuto dalla comunità internazionale. L’Ua ha chiesto il rilascio di Hamdok e degli altri esponenti arrestati, oltre a una “ripresa immediata delle consultazioni fra civili e militari”. “Molto allarmati” per questo sviluppo si sono detti anche gli Usa. Il Sudan è sempre stato sotto il giogo di militari e islamisti durante tutti i 65 anni della propria indipendenza e ora la principale confederazione di sindacati sta esortando alla “disobbedienza civile a allo sciopero totale fino alla sconfitta dei golpisti”.
Sudan, i perché e i protagonisti del golpe che hanno fermato il percorso di democrazia
I militari hanno preso il controllo della transizione che avrebbe dovuto traghettare il Sudan dal dispotismo del presidente Omar Al Bashir deposto nel 2019 alla democrazia: con un colpo di stato in piena regola, hanno arrestato premier e ministri civili, imposto lo Stato d’emergenza, bloccato internet, assaltato la tv e sparato su manifestanti causando alcuni…
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Guido Gargiulo
Appassionato di Taiwan, Asia e Africa. Laureato in Lingue e Culture dell’Europa e delle Americhe presso l’Università L’Orientale di Napoli, ho approfondito lo studio del cinese al Taiwan Mandarin Educational Center e all’Istituto Confucio. L’Africa ha sempre avuto un posto speciale nel mio cuore, con studi anche del Kiswahili, una delle lingue più parlate nel continente.