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Sudan, c’è l’accordo per il ripristino del governo Hamdok ma proteste continuano

Con un’intesa subito bocciata dal movimento di protesta anti-golpe, in Sudan il capo delle forze armate Abdel Fattah al-Burhan e il deposto premier Abdallah Hamdok hanno firmato un accordo per un ritorno dello stesso economista Onu alla guida di un nuovo esecutivo di transizione. Si tratta di un aggiustamento nell’ambito del colpo di stato che il 25 ottobre aveva fatto saltare il precario equilibrio fra militari e civili nella gestione della fase di passaggio dal regime di Omar al-Bashir, l’autocrate deposto nel 2019, alla democrazia. Uno sviluppo accolto da proteste di piazza di nuovo represse nel sangue, stavolta anche di un ragazzino, dopo quello delle 40 vittime contate nelle scorse settimane. L’intesa firmata a Khartoum dal generale Burhan e da Hamdok prevede anche il rilascio dei dirigenti civili incarcerati col golpe militare e la formazione di un governo di “tecnocrati”. Lo stesso premier ha riacquistato solo oggi la libertà di lasciare la propria residenza, dove è rimasto in una sorta di arresti domiciliari per quasi un mese. “Questo accordo apre le porte al superamento di tutte le sfide della transizione”, ha sostenuto Hamdok parlando accanto al generale che lo ha ringraziato “per la pazienza” dimostrata mentre era agli arresti. Il principale gruppo che si batte per l’attribuzione del potere ai civili, quello delle Forze per la libertà e il cambiamento, ha respinto l’intesa ribadendo “con chiarezza che non c’è nessun negoziato, nessuna partnership” con i golpisti, i quali sarebbero solo da processare per la sanguinosa repressione delle manifestazioni. Di “accordo del tradimento”, “vano tentativo di legittimare il colpo di stato”, oltre che di “suicidio politico” di Hamdok, ha parlato anche l’Associazione dei professionisti sudanesi, la confederazione di 17 sindacati che giocò un ruolo centrale nella rivoluzione anti-Bashir. “No al potere militare” e “No al generale Abdel Fattah al-Burhan”, hanno scandito i manifestanti a Khartoum e nei suoi sobborghi ma anche in altre città del Paese dell’Africa orientale come Kassala, Atbara e Port Sudan sfidando le forze di sicurezza. Queste hanno sparato lacrimogeni ma anche proiettili veri, come quello che ha colpito alla testa, uccidendolo, un ragazzo di 16 anni a Omdurman, la città gemella della capitale Khartoum. Per una tragica ironia, nelle stesse ore Hamdok stava dichiarando di voler “fermare prima di tutto lo spargimento di sangue in Sudan.

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