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Sudan, bilancio delle vittime sale a 100 morti. Khartoum sotto le bombe

Le nuvole di fumo che si gonfiavano sullo skyline di Khartoum già alle prime luci del mattino di domenica facevano presagire che una nuova giornata di duri combattenti e morti si stava profilando in Sudan. 
E il bilancio delle vittime – non ancora confermato per l’alto numero di feriti gravi, oltre 700 – nel secondo giorno del tentativo di golpe che si è di fatto trasformato in una guerra civile, è di quelli pesanti: oltre un centinaio di morti.
Gli scontri tra l’esercito regolare e le Forze di supporto rapido, supportate dai mercenari russi della Wagner, si sono intensificati all’alba ma le esplosioni e gli spari non si sono fermati neanche di notte.
Raffiche di proiettili, deflagrazioni di granate, utilizzo di blindati e altri mezzi con artiglieria pesante che sparano su obiettivi civili, tra cui gli uffici della società di telefonia Mobile network operator, da entrambi i fronti: le milizie al comando del generaleMohamed Hamdan Dagalo e i militari leali al generale Abdel Fattah al-Burhan, che ha disposto la chiusura dello spazio aereo in Sudan.
I paramilitari sostengono di controllare il 90% delle aree della Difesa e dell’apparato di sicurezza del Paese, come ha dichiarato lo stesso Dagalo, detto Hemeti, alla stampa araba definendo il rivale “un criminale che si nasconde sotto terra e spinge i figli dei sudanesi a combattere”.
Il leader delle Rsf sostiene anche che un elevato numero di ufficiali dell’esercito si sia unito alle Forze di supporto rapido.
Ma il capo del Consiglio Sovrano, Burhan, ha fatto sapere di avere la situazione sotto controllo e che l’aviazione ha colpito numerosi basi dei “ribelli”, come li ha definiti parlando alla tv di stato.
Non è ancora chiaro chi stia affermando il vero.
Di certo lo scontro più duro è quello che si sta combattendo nei dintorni del quartier generale della Difesa, dove è arroccato Burhan.
La situazione è precipitata anche in altre importanti città del paese, in particolare nel Darfur, già da mesi martoriato dalle milizie di Hemeti, le stesse responsabili del genocidio perpetrato dal 2003 nella regione occidentale sudanese quando erano conosciute come “janjaweed”, “diavoli a cavallo”.
Il numero delle vittime è per ora incalcolabile. Solo a Nyala, capitale dello Stato del Sud Darfur, i morti accertati sono 25, tra cui alcuni fedeli e l’imam della Grande moschea.
Uccisi anche tre operatori del World food programme, l’agenzia delle Nazioni Unite impegnata negli aiuti alimentari alle popolazioni locali stremate dalla siccità.
Notizie di esplosioni e spari arrivano anche dalle città di Qadaref mentre sono stati segnalati movimenti di aerei stranieri nella città di Port Sudan.
A nulla sono serviti i richiami di Stati Uniti, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, Cina, Russia, solo per citare le maggiori potenze che hanno chiesto alle parti coinvolte nel conflitto di porre immediatamente fine alle ostilità”.
La popolazione civile prova a proteggersi rifugiandosi nei seminterrati delle proprie abitazioni. Molti sono bloccati nei luoghi di lavoro o nelle scuole, come i 250 studenti e studentesse della scuola comboniana nel centro di Khartoum.
La maggior parte dei negozi e altri esercizi commerciali hanno chiuso i battenti da sabato, rendendo difficoltoso l’approvvigionamento di cibo e altri generi di prima necessità, in particolare durante il mese sacro del Ramadan.
Intanto la società MTN ha bloccato internet su ordine dell’Autorità sudanese delle telecomunicazioni.
La situazione umanitaria è aggravata dalla mancanza di elettricità e acqua in molte zone della capitale.
Gli operatori sanitari impegnati nei soccorsi ai feriti fanno sapere che all’interno degli ospedali si lavora “in condizioni altamente complesse”.
Il sindacato dei medici sostiene inoltre che sia sempre più difficile raggiungere gli ospedali e hanno invitato l’esercito e le Rsf a fornire un passaggio sicuro – sembra concesso da entrambe le parti – per poter continuare a garantire assistenza.

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