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Sudan, 24 ore di tregua per seppellire i morti e scongiurare il disastro sanitario

L’ultima speranza è un appiglio fragilissimo. L’accordo per il cessate il fuoco raggiunto ieri a Jedda, in Arabia Saudita, tra le parti in guerra in Sudan,  l’esercito regolare fedele al generale Abdel Fattah al Burhan, capo del Consiglio sovrano al potere nel paese, e le Forze di supporto rapido guidate dall’’ex vice presidente dello stesso organismo, Mohamed Hamdan Degalo, prevede una tregua di 24 ore su tutto il territorio nazionale.
Le delegazioni delle parti in conflitto sono state convocate venerdì scorso nella capitale del più grande Stato arabo dell’Asia occidentale dai mediatori, l’Arabia Saudita appunto e gli Stati Uniti, che questa volta hanno messo le cose in chiaro: è l’ultima chance per raggiungere un’intesa per la fine delle ostilità che preveda sostegno e aiuti per ricostruire il paese.
Il cessate il fuoco arriva dopo una settimana di intensi combattimenti che ha visto crescere il numero delle vittime, ormai oltre mille quelle accertate «ma in centinaia sono  ancora sotto le macerie dei palazzi distrutti dai bombardamenti» sostiene Suliman Ahmed Hamid, presidente di una organizzazione non governativa, che con sua moglie e i due figli vive rinchiuso nel seminterrato della loro casa nella centralissima Abdallah Al Tayeb Street.
Da quando il 15 aprile sono iniziati gli scontri a Khartoum, e pochi giorni dopo i bombardamenti, Suliman esce solo alle prime luci dell’alba per cercare di procurare del cibo per la sua famiglia.
L’uomo, un sessantenne che per anni ha vissuto in Italia, fa fatica a raccontare ciò che ha visto.
«Ci sono morti ovunque, vengono lasciati in strada. Non si può provare a seppellirli senza rischiare di essere colpiti da cecchini. Io sono l’unica fonte di sopravvivenza per i miei cari, non posso espormi ma avverto il peso di non poter fare di più» conclude con amarezza.
Dopo sette settimane di aspra battaglia per il controllo della capitale del Sudan, a Khartoum i residenti sono alle prese con un problema che non avrebbero mai immaginato: cosa fare con tutti i cadaveri che si accumulano per le strade della città.
«I miei vicini, una coppia di commercianti e la figlia di sei anni, sono morti mentre cercavano di rifugiarsi nella cantina. Sono stati colpiti da una granata. Vedevo i loro corpi dalla finestra, il caldo li stava facendo gonfiare. Non potevo lasciarli li. Così al primo cessate il fuoco ho deciso di seppellirli nel loro giardino»  è il racconto di Abdullah al Gasim, ingegnere e padre di tre bambini piccoli.
«Da padre non potevo permettere che i miei figli, oltre a vivere il terrore della guerra, assistessero al macabro spettacolo della loro amichetta mangiata dai cani» dice in un sussurro che spegne ogni altra parola.
Con il fuoco incrociato tra le due fazioni militari, che attaccano indiscriminatamente avversari e civili, è troppo pericoloso cercare di raggiungere un cimitero..
Omar, che preferisce mantenere l’anonimato, ha seppellito almeno 20 persone.
“Un mio amico è stato ucciso in casa sua. Non ho potuto fare altro che rimuovere le piastrelle di ceramica dal pavimento e scavare una fossa. Io sono solo, non ho famiglia. Cerco di fare la mia parte. I cadaveri vengono lasciati a marcire al caldo. Alcuni quartieri di Khartoum si stanno trasformando in cimiteri”.
L’ultimo gesto caritatevole pochi giorni fa. Omar ha seppellito quattro persone lungo la strada a pochi metri da casa sua, nel quartiere al-Imtidad.
Molti altri a Khartoum si sono trasformati loro malgrado in ´necrofori di quartiere”.
«Molti di coloro che sono stati uccisi sono stati interrati nelle aree vicino all’Università di Khartoum, vicino alla stazione di Seddon, divenuto un punto di riferimento per questa macabra opera di pietas. Altri cadaveri sono stati tumulati nei quartieri vicino a Mohamed Naguib road” spiega ancora il giovane volontario seppellitore.
Non ci sono dati ufficiali sul numero di persone rimaste sotto le macerie delle loro case nella capitale, come nel resto del Sudan, ma Omar sostiene che possano essere migliaia.
«Non è importante dove seppelliamo i morti. Ma  farlo è la priorità. È un atto di misericordia, necessario anche per scongiurare un disastro sanitario. È un dovere religioso e morale» conclude.
«Le buone intenzioni di queste persone sono lodevoli ma le loro azioni potrebbero inconsapevolmente distruggere le prove dei crimini di guerra commesse da entrambe le parti in conflitto» afferma il capo del sindacato dei medici, il dottor Attia Abdullah Attia.avvertendo che «si rischia di seppellire la verità, di distruggere le prove su come le persone siano state uccise».
Il dottor Attia ritiene che le vittime prima della sepoltura debbano essere identificate e che a occuparsi del processo di tumulazione siano solo le autorità sanitarie, Croce Rossa e Mezzaluna Rossa sudanese, che possono accertare anche la causa della morte.
Nonostante le avvertenze del dottor Attia, difficilmente le persone che hanno deciso di occuparsi dei cadaveri abbandonati di Khartoum smetteranno di farlo. Sentono di non avere scelta a causa del collasso delle infrastrutture sanitarie pubbliche.
L’unica speranza che la situazione possa migliorare è legata a questo ultimo tentativo di mediazione.
Il cessate il fuoco in queste ore è riuscito a interrompere per ora il ciclo di violenza e sta permettendo agli operatori di intervenire per porre un freno alla grave crisi umanitaria causata dal conflitto che ha provocato lo sfollamento di quasi due milioni di persone, di cui circa 400 mila sono fuggite nei paesi vicini.
L’area urbana intorno alla capitale del Sudan,  che ospita almeno cinque milioni di abitanti, è stata trasformata in un campo di battaglia e la guerra si è estesa nella regione occidentale del Darfur e al confinante Ciad.
I  combattimenti, ininterrotti fino a venerdì, hanno coinvolto gli sfollati che avevano attraversato la frontiera sudanese e alcuni colpi di artiglieria hanno raggiunto il territorio ciadiano.
La tensione tra i due paesi vicini è sempre più alta e la sospensione delle ostilità di 24 ore di oggi arriva in un momento cruciale.
Le due parti hanno concordato di «astenersi da movimenti, attacchi, uso di aerei o droni proibiti, bombardamenti aerei, attacchi di artiglieria, rafforzamento delle posizioni e rifornimento di forze e di cercare vantaggi militari durante il cessate il fuoco».
L’accordo saudita-statunitense. prevede anche la fornitura di medicinali e di assistenza umanitaria.
Finora tutti i cessate il fuoco precedenti, inclusa una tregua di 12 giorni scaduta il 3 giugno, sono stati violati.
I combattimenti si erano leggermente attenuati durante il periodo di quell’accordo e sono state fornite quantità limitate di aiuti, sebbene le agenzie umanitarie affermino che le loro operazioni siano state gravemente ostacolate da controlli burocratici, combattimenti e saccheggio delle forniture di aiuti.
Per questo motivo i mediatori hanno posto un “aut aut”: se non sarà rispettato quanto concordato i facilitatori saranno costretti a prendere in considerazione la sospensione dei colloqui di Jedda.
«Abbiamo fornito a entrambe le parti numerose opportunità per porre fine a questa guerra insensata», ha dichiarato la rappresentante per gli “Affari Africani” del Dipartimento di Stato americano Molly Phee.
«Chiediamo a entrambe le parti di aderire con serietà all’impegno assunto oggi per un cessate il fuoco di 24 ore che consenta al popolo sudanese di ricevere un’assistenza umanitaria fondamentale.”.
La speranza che la tregua regga è per lo più un’illusione, ma è tutto ciò a cui la gente martoriata del Sudan può aggrapparsi.

Fonte Repubblica

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