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Sud Sudan, nuovo giro di vite del governo contro le proteste pacifiche

In Sud Sudan è scattato un nuovo giro di vite nei confronti delle proteste pacifiche: sono stati arrestati vari attivisti della società civile ed è stata disposta la chiusura di una stazione radio e di un think-tank accademico.

La repressione, ordinata dal governo ed eseguita dal Servizio per la sicurezza nazionale, è scattata nelle settimane precedenti la giornata di protesta nazionale del 30 agosto, convocata dalla neonata Coalizione popolare per l’azione civica (Cpac), una rete di organizzazioni che chiede le dimissioni del governo, guidato da “una leadership fallita”, definizione che chiama esplicitamente in causa il presidente Salva Kiir e il suo vice Riek Machar.

La giornata nazionale di protesta ovviamente non c’è stata, non solo per gli arresti ma anche perché nei giorni precedenti la connessione a Internet era stata bloccata.

Il 2 settembre il ministro dell’Informazione ha ammesso la repressione, sostenendo che il governo ha “impedito le proteste in modo da preservare la pace in Sud Sudan”.

Le persone arrestate, tra cui i fondatori della Cpac, sono accusate di sovversione, insurrezione, banditismo, sabotaggio, terrorismo, istigazione a minare la fiducia nella polizia e nelle forze armate, diffusione di notizie false, insulto al presidente, istigazione alla violenza e tradimento: per quest’ultimo reato è prevista la pena di morte.

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