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Somaliland, giro di vite nei confronti delle voci critiche. Il rapporto di Amnesty

Da tre mesi a questa parte, secondo un rapporto diffuso da Amnesty International il 4 luglio, le autorità del Somaliland hanno inasprito la repressione nei confronti di giornalisti, oppositori e altre voci critiche applicando a più riprese le norme del codice penale somalo del 1962.

Il primo a essere arrestato è stato, il 17 aprile, il giornalista freelance Abdimalik Muse Oldon. Il 6 giugno è stato rimandato a processo con l’accusa di “propaganda anti-nazionale” e “diffusione di notizie false” per aver criticato su Facebook il presidente Muse Bihi Abdi. È detenuto nella prigione centrale di Hargeisa.

Una settimana dopo, il 24 aprile, per un altro post in cui aveva messo in dubbio l’efficienza delle forze di polizia, è stato arrestato l’ex funzionario del ministero dell’Interno Jamal Abdi Mohamed. Il 2 luglio è stato condannato a sei mesi di carcere, o in alternativa a una multa, per “offesa alla polizia” e “offesa a pubblico ufficiale”. Ha pagato ed è stato rilasciato il giorno dopo.

Il 1° maggio è stata la volta di Mohamed Sidiiq Dhame, leader dell’ala giovanile del partito di opposizione Waddani. Per aver contestato su Facebook l’introduzione dello stato d’emergenza nella regione di Sanaag, il 27 giugno è stato condannato a sei mesi di carcere per “offesa all’onore e al prestigio del presidente. Anche lui si trova nella prigione centrale di Hargeisa.

Ancora, il 9 maggio è stato arrestato il parlamentare Mohamed Ahmed Dakool. È stato accusato di aver fatto “dichiarazioni anti-nazionali” e di aver posto in dubbio “l’esistenza del Somaliland” per aver contestato il significato della festa nazionale del 18 maggio, in cui si ricorda la separazione dalla Somalia del 1991. È stato scarcerato dopo 39 giorni solo dopo aver chiesto che venisse applicata l’immunità parlamentare.

Per finire, il 18 giugno le autorità hanno arbitrariamente ordinato la sospensione delle trasmissioni di due emittenti televisive private, Horyaal 24 ed Eryal Tv, per aver “diffuso informazioni costituenti una minaccia alla sicurezza nazionale”. Le trasmissioni sono riprese il 30 giugno dopo un incontro tra il ministro dell’Informazione e i due proprietari, un segnale da molti interpretato come un’adesione alla censura di stato.

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