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Conflitti

RD Congo: le sfide del 2023 tra elezioni presidenziali e sicurezza nell’est

Il 2023 della RDCongo si annuncia un anno delicato per il grande paese africano. È innanzitutto l’anno di una lunga campagna elettorale, che culminerà con le elezioni presidenziali del prossimo dicembre, ed è anche l’anno in cui il conflitto nelle province orientali si trasformerà verso un’auspicabile pacificazione o, malauguratamente, in direzione di una sua escalation.…

Il 2023 della RDCongo si annuncia un anno delicato per il grande paese africano. È innanzitutto l’anno di una lunga campagna elettorale, che culminerà con le elezioni presidenziali del prossimo dicembre, ed è anche l’anno in cui il conflitto nelle province orientali si trasformerà verso un’auspicabile pacificazione o, malauguratamente, in direzione di una sua escalation.

I due temi sono strettamente legati, perché in un modo o nell’altro bisognerà garantire il regolare svolgimento delle elezioni politiche anche nell’est congolese, ma al momento l’impotenza dell’esercito regolare fa temere uno stallo del conflitto e lo spettro di uno “slittamento” delle elezioni a data da destinarsi. Come scrive il sito “Afrikarabia”, «se la situazione della sicurezza non migliorerà nei prossimi mesi, e il governo continuerà a rifiutare il negoziato con i ribelli, perché non vuole perdere la faccia elettorale, il presidente potrebbe essere tentato di posticipare le elezioni di qualche mese». A quel punto l’opposizione, la società civile e la comunità internazionale farebbero forti pressioni perché le elezioni vengano svolte regolarmente, così da evitare una crisi pre-elettorale che rischia di incancrenire lo status quo.

Sul fronte del conflitto, nei primi giorni del nuovo anno sono circolate voci secondo cui i ribelli dell’M23 non si siano realmente ritirati dalle località di Kibumba e Buhumba, nel Nord Kivu, anzi, secondo alcuni il gruppo avrebbe occupato almeno tre villaggi nell’area di Binza. I guerriglieri hanno negato queste accuse, confermando invece il loro ritiro a favore della Forza regionale EAC e annunciando un ulteriore ritiro da Rumangabo per oggi, 5 gennaio:

Altra questione importante riguarda il massacro di Kishishe, avvenuto tra il 29 e il 30 novembre scorsi: al momento si hanno pochi riscontri dal campo, anzi il solo viene ancora da “Afrikarabia”, il cui direttore Christophe Rigaud, ha pubblicato un lungo articolo per fare il punto di quanto si conosce.

In quei giorni c’erano stati violenti scontri tra i ribelli M23 e gruppi armati hutu costituiti dalle FDLR (Forze Democratiche per la Liberazione del Rwanda), ma anche le milizie di autodifesa Mai-Mai: «L’esercito congolese non era presente sulla scena e si supponeva che fosse in vigore un cessate il fuoco con la ribellione sin dagli accordi di Luanda del 24 novembre. Il 30 novembre l’M23 è riuscito a tenere testa alle milizie locali, che hanno finito per abbandonare l’area». Secondo un primo bilancio emesso dal portavoce delle FARDC il 1° dicembre, i combattimenti a Kishishe e Bambo avrebbero causato 50 morti, uccisi dall’M23, ma il giorno dopo il Consiglio dei ministri parlava di 109 vittime e, successivamente, il 5 dicembre, il ministro dell’Industria ed ex governatore del Nord Kivu, Julien Paluku, riferiva di 272 morti. Poco dopo, il ministro delle Comunicazioni, Patrick Muyaya, precisava che tra le vittime c’erano 17 bambini e che era in corso un’indagine delle Nazioni Unite sul posto. Dal canto suo, invece, l’M23 negava ogni responsabilità e parlava di 8 vittime civili e 20 miliziani uccisi durante i combattimenti. L’8 dicembre i responsabili della MONUSCO, l’operazione di peacekeeping dell’ONU in RDC, pubblicavano un rapporto di indagine preliminare che indicava almeno 131 morti a Kishishe e Bambo, ma siccome l’inchiesta non era stata condotta sul posto, bensì raccogliendo testimonianze indirette raccolte a Rwindi, a più di 20 km da Kishishe, le conclusioni sono state contestate ancora una volta dall’M23 e dal governo rwandese, il quale ha affermato che si tratta di «un massacro fabbricato da Kinshasa senza alcuna indagine sui fatti da parte di alcun ente credibile». La Comunità internazionale, però, si è schierata con l’inchiesta ONU, condannando l’M23 per gli abusi di Kishishe e invitando il Rwanda a non prestare più alcun sostegno ai ribelli.

La presa di posizione più recente è del 4 gennaio, quando gli Stati Uniti hanno emesso un comunicato stampa in cui affermano di accogliere favorevolmente il rapporto del Gruppo di esperti delle Nazioni Unite e si dicono preoccupati dal forte aumento della violenza e dal deterioramento della sicurezza e della situazione umanitaria nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo, anche a causa della «chiara evidenza del sostegno rwandese all’M23».

Sul fronte del Sud Kivu, invece, va definendosi un nuovo scenario: i ribelli dei gruppi RED Tabara, FNL e Twirwaneho si sono uniti contro la coalizione formata dagli eserciti congolese e burundese.

Secondo gli esperti delle Nazioni Unite, quest’alleanza militare è preoccupante sul piano della sicurezza per la grande acquisizione di armi, ma anche per l’intensificazione del reclutamento di minori, ed è da considerarsi come una risposta al dispiegamento nella provincia congolese dell’esercito regolare burundese a partire dall’agosto 2022, sulla base di un accordo bilaterale tra il Burundi e la RDCongo, e non nell’ambito della Forza regionale della Comunità dell’Africa orientale.

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