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RDCongo, la situazione a metà della campagna elettorale presidenziale

A metà della campagna elettorale congolese, ieri la CASE, ossia la Commissione africana per la supervisione delle elezioni, ha diffuso un rapporto sulle reazioni sul terreno dell’attivismo dei candidati alla presidenza della Repubblica Democratica del Congo. In assenza di sondaggi, si tratta del solo documento disponibile per fare il punto della situazione, che tuttavia va preso con molta cautela. Non si tratta di previsioni, ma di analisi sul comportamento dei candidati sul campo, da cui emerge che Moïse Katumbi sta effettuando una campagna elettorale nettamente più efficace dei suoi diretti concorrenti Félix Tshisekedi e Martin Fayulu.

Prima di entrare nel merito, cos’è la CASE? Si tratta di una piattaforma di organizzazioni della società civile che dice di riunire più di 70 organizzazioni specializzate in educazione civica ed elettorale, in osservazione delle elezioni e così via; e che afferma di avere oltre 85.000 iscritti sparsi in tutta l’Africa. La CASE è stata creata nel 2009 da Simaro Ngongo Mbayo, analista elettorale congolese, e concentra i suoi impegni proprio sulla RDCongo, verso cui – scrive sul proprio sito-web – “vuole sostenere in modo responsabile la giovane democrazia congolese attraverso il suo sostegno alla CENI [la Commissione elettorale nazionale indipendente] e alle parti interessate nel processo elettorale“.

Il rapporto della CASE dice che, per la sua capacità di mobilitazione, il candidato Moïse Katumbi ha avuto il 78% di giudizi positivi dai membri del gruppo, mentre il presidente uscente Félix Tshisekedi ne ha ricevuto il 49% e Martin Fayulu il 32%. E’ un’impressione che si ha anche osservando l’attivismo dei candidati e dei loro sostenitori sui social-media: Katumbi appare meglio organizzato e con una comunicazione più efficace, che si riflette in accoglienze oceaniche nelle località in cui si reca per i comizi.

Katumbi fa meglio anche nella sua capacità logistica, nonostante Tshisekedi abbia a disposizione anche le risorse statali. Lo si coglie anche dagli attacchi subiti da Katumbi e dal suo staff, sia in termini di accuse sui social che di violenza fisica, come nel caso dell’assassinio di Dido Kakisingi, vicecoordinatore del suo partito nella provincia di Maniema. CASE cita anche il divieto da parte del governo centrale di far entrare nella RDC gli aerei elettorali di Moïse Katumbi e l’arresto dei suoi collaboratori. Ieri in un incontro pubblico, Tshisekedi ha fatto riferimento ai “candidati stranieri” (Katumbi è stato a lungo considerato come “non vero” congolese, perché suo padre era greco), dicendo ai suoi elettori che “il nemico li ha mandati a trasformarsi in agnelli per sollecitare i vostri voti per vendere il Paese”.

Secondo la CASE, inoltre, il programma di Katumbi avrebbe un sostegno popolare stimato al 69%, molto più di quello di Félix Tshisekedi che ottiene il 35% contro il 32% di Martin Fayulu. E’ bene ribadire che tali percentuali emergono da rilevazioni interne all’organizzazione, non da sondaggi veri e propri.

In questo quadro manca almeno un quarto candidato di peso, come Denis Mukwege, il medico Premio Nobel per la Pace del 2018, che ha un profilo più discreto rispetto agli altri, ma che riceve un buon sostegno popolare, come ieri a Kalemie, capoluogo della Provincia di Tanganyika, nell’est del Paese.

Ulteriore elemento di questa metà della campagna elettorale congolese è l’incertezza rispetto alla reale tenuta delle elezioni presidenziali il prossimo 20 dicembre. Può sembrare paradossale a poche settimane dal voto, eppure i dubbi prendono spazio nel dibattito pubblico: domenica scorsa, 26 novembre, ci sono stati quelli espressi dal cardinale cattolico di Kinshasa, Fridolin Ambongo, quando nell’omelia di una messa ha detto che la CENI non ha ancora assicurato che “le elezioni ci saranno effettivamente il 20 dicembre. E anche se ci fossero, non abbiamo la certezza che si svolgeranno in migliori condizioni di trasparenza. Ciò significa che c’è un rischio, rischio di disordine nel nostro Paese”. Poi in settimana c’è stato l’annullamento della Missione di osservazione elettorale dell’Unione Europea:

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Ma c’è anche una terza voce che continua a ripetere che il 20 dicembre non ci saranno elezioni: è quella di Corneille Nangaa, ex presidente della CENI, destituito due anni fa dall’attuale capo di Stato Tshisekedi, il quale ha elencato varie ragioni per spiegare questa sua presa di posizione. Nangaa afferma che “il processo elettorale si basa su bugie e falsità” e che la CENI soffre di “un’incapacità tecnica senza precedenti“; inoltre dice che la CENI ha già impegnato oltre un miliardo di dollari, ovvero 500 milioni all’anno forniti dal Ministero del Tesoro per un processo elettorale biennale che, ad oggi “non ha prodotto alcun risultato“. Si tratta, dice Nangaa, di “un furto elettorale” che ha prodotto “una mappatura elettorale adulterata; un registro elettorale con statistiche false; un database manomesso; schede elettorali con scritte rilevabili“.

Da tempo Nangaa, che risiede all’estero “per questioni di sicurezza“, accusa il presidente Tshisekedi di giocare al piromane e al pompiere allo stesso tempo perché vuole “rinviare il suo mandato al fine di prolungare il suo arricchimento personale” e che il suo è “un regime di incolti, insultatori, incapaci e ladri“.

Al di là di queste posizioni e di questi toni forti, la campagna elettorale congolese si fa effettivamente più dura, che si svolge anche online. L’entourage di Félix Tshisekedi ha fatto sapere che, in base a delle analisi computerizzate, sono stati rivelati “massicci acquisti di follower e Mi piace falsi sugli account Twitter di Denis Mukwege, Moise Katumbi e Martin Fayulu, sollevando dubbi sull’integrità della loro campagna e sul loro impegno per la democrazia“. Secondo Tshisekedi, la legittimità digitale dei suoi avversari è seriamente messa in discussione, sebbene vada ricordato che nella RDCongo il tasso di accesso a internet sia estremamente basso, intorno al 20% della popolazione.

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