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RDC: oltre 50 persone massacrate in un campo sfollati nell’Ituri

Il 1° febbraio i miliziani della Codéco (Cooperativa per lo Sviluppo del Congo), un gruppo armato non governativo, hanno fatto irruzione in un campo profughi nel territorio di Plaine Savo Djugu, nella provincia dell’Ituri, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, al confine con l’Uganda. Secondo la MONUSCO, cioè la missione di peacekeeping delle Nazioni Unite nel Paese, l’attacco ha provocato almeno 53 morti e 40 feriti.
Il massacro sarebbe avvenuto a con i machete e sarebbe stato indiscriminato, colpendo uomini, donne e bambini. Da principio, il primo bilancio è arrivato da un gruppo di ricercatori del Kivu Security Barometer (KST), che si trovano nelle zone di conflitto nella RDC orientale, i quali avevano stimato in “almeno 40” il numero di civili uccisi “da armi bianche”, ma ad un esame più approfondito e ufficiale, le vittime sono oltre 50; e il bilancio è da ritenersi non ancora definitivo.

Secondo un comunicato congiunto, l’UNHCR, Agenzia ONU per i Rifugiati, e l’OIM, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, condannano l’attacco al campo di sfollati “nella maniera più perentoria possibile”, ricordando a tutte le parti “i loro obblighi di diritto internazionale di proteggere e salvaguardare le vite dei civili in ogni momento”. Quel campo, gestito dall’UNHCR e dal partner Caritas, ospitava più di 20.000 sfollati interni, compresi più di 13.000 bambini. Molti dei residenti sono fuggiti nella città di Bule, a tre chilometri di distanza, e attualmente i team dell’OIM e dell’UNHCR si stanno coordinando con altre realtà della cooperazione umanitaria per rafforzare la risposta all’emergenza.

L’eccidio è avvenuto meno di tre mesi dopo l’ultimo attacco ai campi di sfollati di Drodro e Tche, sempre nell’area del territorio di Djugu, quando vennero uccise almeno 44 persone, e decine di migliaia di persone furono costrette alla fuga. Come è risaputo, le provincie orientali congolesi sono da decenni in balia di una guerra che non finisce: attualmente gli sfollati interni della RDC sono 5,6 milioni, la maggior parte dei quali sono concentrati proprio ad est, cioè nelle province del Nord e Sud Kivu, Ituri e Tanganica.
I racconti dei testimoni sono raccapriccianti e, come evidenzia l’UNICEF, i bambini uccisi sarebbero almeno 15, mentre quelli feriti oltre 30.

L’area di Djugu è tra i territori dell’Ituri più colpiti dalla brutale violenza dei miliziani del Codéco, i quali prendono di mira soprattutto i campi degli sfollati, in cui decine di migliaia di persone erano scappate dai propri villaggi in precedenti attacchi. Le atrocità non sono mai cessate e solo pochi mesi fa, tra la fine di novembre e gli inizi di dicembre, in una settimana si erano contati almeno 123 civili uccisi in pochi giorni, sempre tra gli abitanti dei campi profughi. Com’è intuibile, tra la popolazione della regione ormai è psicosi, come riferisce Radio Okapi (gestita dalla MONUSCO): “C’è un’atmosfera di lutto e desolazione; alcuni sfollati sono appostati davanti alle loro capanne, altri preferiscono rimanere all’interno dei loro rifugi improvvisati, altri ancora si sono riuniti sul luogo in cui sono stati raccolti i corpi delle vittime”.
Nei primi giorni dopo la strage, le difficoltà hanno riguardato anche la sepoltura dei cadaveri, infatti la Croce Rossa congolese ha spiegato che a lungo sono mancati i mezzi logistici: “Avevamo bisogno di una macchina per scavare una fossa comune dove seppellite queste persone”, ha spiegato Ernest Dhekana, presidente locale della Croce Rossa, oltre che bare, coperte e vestiti. Dopo tre giorni, infine, la pietosa pratica dell’inumazione è avvenuta il 4 febbraio:

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PS: L’immagine di copertina è tratta da questo tweet.

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