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RdC: al via operazione contro terroristi ADF, all’ombra dell’irrisolto caso dell’ambasciatore Attanasio

L’Ugadan People’s Defence Force (UPDF) è stato autorizzato ad entrare nei territori est della Repubblica Democratica del Congo per combattere il gruppo terroristico islamico ADF (Alleance of Democratic Forces) affiliato al DAESH – ISIL e autore del triplice attentato a Kampala del 16 novembre.
L’autorizzazione, data dal Presidente congolese Felix Tshisekedi sotto pressante richiesta del suo omologo ugandese Yowerki Kaguta Museveni, non è stata ancora annunciata ufficialmente da entrambi i governi.
Secondo le informazioni ricevute dal Radio France International (RFI) Thisekedi avrebbe concesso l’autorizzazione venerdì sera. Solo le Nazioni Unite e il contingente di pace MONUSCO sarebbero stati informati che i soldati ugandesi del UPDF avrebbero oltrepassato il confine per combattere i terroristi nel Nord Kivu e nel Ituri.
Questa informazione è stata confermata sabato da una fonte Onu. Secondo questa fonte, le Nazioni Unite sarebbero state informate della volontà di Félix Tshisekedi di far entrare l’UPDF, l’esercito ugandese, nei territori del Nord Kivu e dell’Ituri.
Le operazioni militari del UPDF nelle due province est del Congo sono anche motivate dalla necessità di proteggere gli affari privati del Presidente Museveni. Lo scorso maggio un consorzio ugandese, di cui Museveni possiede quote azionarie, si è aggiudicato la costruzione di diverse strade transfrontaliere che collegheranno i due Paesi.
Per il momento il governo congolese non ha risposto alle richieste di RFI, ma il presidente della Commissione Difesa e Sicurezza dell’Assemblea Nazionale, Bertin Mubonzi, ci ha confermato di essere stato informato della decisione presidenziale. Ha detto, tuttavia, che l’attuazione della decisione deve ancora essere studiata, soprattutto in parlamento.
Secondo nostre fonti la decisione presa dal Presidente Tshisekedi sarebbe stata dettata dalla necessità di offrire un quadro legale ad operazioni militari nella provincia del Ituri dell’esercito ugandese in corso da almeno una settimana.
I soldati ugandesi avrebbero partecipato ai combattimenti contro i terroristi islamici delle ADF avvenuti il 25 novembre presso il villaggio di Manzobe, 35 chilometri dal centro commerciale Komanda nel Ituri. Sarebbe stata una operazione congiunta con l’esercito congolese (Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo – FARDC). L’annientamento dei terroristi ha permesso la liberazione di 54 civili congolesi fatti schiavi dalle ADF dopo l’attacco del 5 novembre a un convoglio, scortato dai militari, che attraversava questo villaggio diretto a Beni, nel Nord Kivu. Tra i rilasciati ci sono 20 bambini e 16 donne.
Ufficialmente la vittoria sulle ADF e la liberazione dei prigionieri è opera solo dell’esercito congolese. Il portavoce delle FARDC, il Tenente Jules Ngongo, nel comunciato stampa rilasciato il 26 novembre non fa alcuna menzione sulla presenza di truppe ugandesi nell’operazione.
Il gruppo terroristico ADF, rafforzatosi nel 2017 grazie alla alleanza con il DAESH – ISIL e la condivisione del comune obiettivo di fondare un Califfato dell’Africa Orientale che comprenderebbe l’est del Congo, Uganda, Ruanda, Kenya e Tanzania, è diventato una concreta minaccia per i governi di Kinshasa e Kampala.
Secondo fonti dell’Intelligence americana nel Nord Kivu e nell’Ituri le ADF usufrirebbero dell’appoggio di “foreign fighters” provenienti dal gruppo terroristico somalo Al-Shabaab e da cellule terroristiche in Kenya e Tanzania. Inoltre le ADF agirebbero in stretta collaborazione con il gruppo terroristico ruandese FDLR, autore del genocidio in Ruanda del 1994 e principale indiziato dell’esecuzione extragiudiziaria dell’Ambasciatore Luca Attanasio, del Carabiniere Vittorio Iacovacci e dell’autista congolese Mustapha Milambo, avvenuta nei pressi del capoluogo di proncinciva del Nord Kivu, Goma il 22 febbraio 2021.
L’esecuzione extragiudiziaria di questo fedele servitore della Repubblica Italiana è avvolta in un mistero e inserita in una oscura rete di interessi economici e politici della regione dei Grandi Laghi in cui vari attori italiani vi sarebbero direttamente o indirettamente coinvolti. Il governo italiano sembra orientato ad archiviare il caso, relegandolo all’obblio come ha denunciato lo scorso ottobre Salvatore Attanasio, padre dell’Ambasciatore in una conferenza online organizzata da Dark Side – Storia segreta d’Italia.
L’indagine condotta dalla magistratura italiana con il supporto dei Ros, sta continuando ma rischia di essere deragliata da un intreccio di illegalità e coacervo di interessi miliardari gestiti da vari attori congolesi, burundesi ed europei. Il governo italiano non ha avvallato le accuse del governo congolese sui presunti autori dell’esecuzione: i terroristi ruandesi FDLR. All’epoca, una nota lobby religiosa italiana che ha fin troppi interessi tra Burundi e l’est del Congo, aveva addirittura avviato una campagna mediatica di depistaggio in difesa dei terroristi FDLR, accusando senza prove il governo del Ruanda.
Al solo testimone oculare sopravvisuto al massacro, Rocco Leone, vicedirettore della missione in Congo del Programma Alimentare Mondiale, è stato imposto il silenzio dalla stessa Agenzia ONU che oppone l’immunità diplomatica alla leggittima richiesta della magistratura italiana di interrogarlo.
Di fatto il PM Sergio Colaiocco, titolare delle indagini, ha le mani legate. Questa è la sensazione nutrita dal Padre di Luca e dalla moglie di Luca: Zakia Seddiki. Secondo fonti congolesi l’esecuzione extra giudiziaria di Attanasio, Iacovacci e Milambo, sarebbe stata una vendetta dei terroristi FDLR contro il governo italiano che sta cooperando militarmente con il Ruanda offrendo un supporto in operazioni anti terrorismo alle forze armate ruandesi.
Seppur ritenuta probabile da diverse fonti diplomatiche operanti nella regione, la tesi esposta non è oggetto dell’inchiesta della magistratura italiana, tuttavia la cooperazione militare tra i Carabinieri e la polizia ruandese nel quadro della lotta contro i terroristi FDLR, poco conosciuta al pubblico italiano, è stata resa nota dal collega Antonio Mazzeo sul portale di informazione online Africa ExPress lo scorso 16 ottobre.
La collaborazione tra l’Arma dei Carabinieri e la polizia ruandese, affidata al Generale Tullio Del Sette, fa parte di un comunicato redatto il 12 gennaio del 2017 dalla testata giornalistica indipedente specializzata nel settore della Difesa e dell’Industria bellico: Difesa Online, mai ripreso dai media nazionali italiani.
Secondo il padre di Attanasio il governo italiano non è interessato a scoprire la verità. Un’opinione personale ma supportata da troppe zone d’ombra e da un sospetto di voler dimenticare un imbarazzante dossier. Famosa ed estremamente infelice e oltraggiosa la dichiarazione pubblica dello scorso giugno fatta dalla Vice Ministra agli Esteri Marina Sereni, ex Vicepresidente del gruppo DP alla Camera, che scaricò interamente la responsabilità sulle vittime: Attanasio e Iacovacci affermando che l’Ambasciatore era l’unico responsabile della propria sicurezza.
L’oscura vicenda di Attanasio si aggiunge a fin troppe esecuzioni extra giudiziarie di nostri connazionali politicamente motivate avvenute in questi ultimi anni nella regione dei Grandi Laghi e sistematicamente archiviate dal governo italiano. Tra esse ricordiamo il massacro delle tre suore italiane avvenuto in Burundi il 7 settembre 2014 (Lucia Pulici, Olga Raschietti e Bernadetta Boggian) e il misterioso omicidio del chirurgo torinese Franco De Simone, avvenuto sempre in Burundi nel luglio 2017. Secondo fonti della società civile burundese De Simone era stato incaricato dell’autopsia delle tre suore dopo la loro orrenda morte.
La rinascita del gruppo terroristico ugandese ADF, il tentativo di infiltrazione del DAESH – ISIL, le attività terroristiche ruandesi FDLR in stretta collaborazione con la giunta militare burundese del Generale Neva (alias Évariste Ndayishimiye) illegalmente al potre dal giugno 2020, fanno parte di un unico e complicato intreccio di affari che ruota attorno alle immense ricchezze naturali del Congo. Un intreccio che vede tra i vari attori Generali e politici congolesi corrotti, i governi di Uganda e Ruanda, lobby religiose e imprenditori di frontiera italiani, multinazionali straniere.
La presenza dell’esercito ugandese nelle provincie congolesi del Nord Kivu e dell’Ituri è un tema molto delicato che giustifica il tentativo da parte dei governi di Kinshasa e Kampala di non ufficializzarla. Una presenza di certo non desiderata dalla popolazione congolese. I molteplici conflitti scoppiati all’est del Congo dal 1996 ad oggi, dove l’implicazione dell’Uganda è palese, hanno lasciato un segno indelebile nella mente dei congolesi, spesso vittime di inaudite e gratuite atrocità.
Per diversi membri della società civile congolese e osservatori internazionali, le attività militari in corso da parte dell’esercito ugandese rappresentano un’altra minaccia per i civili. Nessuno si fida di un esercito che è stato la causa diretta di massacri nelle due guerre panafricane combattute in Congo (1996 – 1997 e 1998 – 2004) e che ancora oggi rapina senza ritegno le risorse naturali delle province est.

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