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Rd Congo, tensione sempre più alta. Decine di manifestanti uccisi

Sale a 50 il numero delle vittime della repressione delle manifestazioni contro la missione delle Nazioni Unite dispiegata nella Repubblica democratica del Congo.
La scorsa settimana le autorità congolesi hanno concesso il nulla osta per i funerali di 30 persone uccise nella zona orientale del Paese durante le proteste anti-Onu ma potrebbe non autorizzarne altri vista la crescente tensione.
Le prime esequie si sono svolte quattro giorni la cerimonia di tributo per i quattro caschi blu Onu, anch’essi morti durante le manifestazioni.
Le proteste sono scoppiate la scorsa settimana nella città di Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu, quando i civili hanno accusato la Missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite in Congo (Monusco) di aver fallito nella loro missione di contrastare i gruppi armati.
Volantini con le parole “Bye bye Monusco” sono stati distribuiti nella capitale mentre gli attivisti chiedevano  alle persone di chiudere le loro attività e dedicare la giornata in memoria di coloro che sono morti a causa dell’inefficacia dell’azione della Monusco.
Le proteste hanno il fine di costringere i caschi blu a lasciare il Paese.
La maggior parte delle oltre 30 persone uccise aveva meno di 30 anni: il più giovane era un bambino di solo 11 anni.
Nei giorni scorsi il portavoce del governo della Rdc, Patrick Muyaya, ha affermato che il ritiro delle forze di pace delle Nazioni Unite dal Paese potrebbe essere anticipato.
In un’intervista all’emittente “Bbc” il portavoce ha dichiarato che i colloqui in corso tra il governo e la missione Monusco potrebbero accelerare il ritiro delle forze di pace.
“Il piano che abbiamo con Monusco è che debba ritirarsi entro la fine del 2024. Dopo la riunione tecnica, possiamo ipotizzare che sarà possibile effettuare il ritiro prima della fine del 2024”, ha affermato Muyaya.
La riunione si è tenuta dopo che le proteste contro la missione Onu – la seconda più grande al mondo – si sono trasformate in violenze mortali nelle ultime due settimane con l’uccisione di decine e decine di persone.
La crisi si è intensificata i primi di  agosto, quando due forze di pace hanno aperto il fuoco uccidendo tre civili e ferendone 15 a un valico di frontiera vicino all’Uganda.
Nei giorni scorsi il presidente Felix Tshisekedi ha presieduto un incontro con i presidenti delle due camere del parlamento, il primo ministro e funzionari della provincia orientale del Nord Kivu, mentre dallo scorso 25 luglio le proteste continuano a fasi alterne nel capoluogo del Nord Kivu, Goma, e nelle regioni vicine.
Lunedì scorso le forze di sicurezza congolesi sono nuovamente intervenute a Beni, nel Nord Kivu, per disperdere i manifestanti, mentre altre persone sono rimaste ferite nella provincia settentrionale di Tshopo.

Le proteste, non autorizzate dalle autorità locali, sono degenerate dopo che i manifestanti hanno attaccato la sede locale Monusco a Butembo e la sua base logistica, arrampicandosi sulle pareti prima di saccheggiare i locali, prendendo mobili, attrezzature e oggetti di valore e costringendo diversi membri del personale Onu ad essere evacuati in elicottero. La missione Monusco è da mesi nell’occhio del ciclone per non essere riuscita a riportare la pace nella Rdc orientale negli oltre 20 anni in cui la forza è stata dispiegata nella regione dilaniata dal conflitto. Con oltre 15 mila uomini, Monusco rimane la più grande forza delle Nazioni Unite a livello globale.
L’est della Rdc ospita più di 100 gruppi ribelli, tra cui il Movimento 23 marzo (M23), che ha conquistato diverse aree situate a poche decine di chilometri da Goma.

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