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Rd Congo, le contraddizioni e le omissioni del delitto Attanasio

Una settimana intensa, con interrogatori e acquisizione di materiale video, eppure la missione dei Carabinieri del Ros nella Repubblica democratica del Congo è riuscita solo in parte ad imprimere una svolta all’indagine della Procura di Roma sull’omicidio dell’ambasciatore Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e dell’autista che li accompagnava, Mustapha Milambo, uccisi il 22 febbraio dell’anno scorso nella zona del Virunga national park.

Secondo le ricostruzioni a colpire il convoglio sarebbe stato un gruppo armato in un tentativo di sequestro.

I militari dell’Arma hanno interrogato le cinque persone arrestate dalle autorità locali ma da indiscrezioni le informazioni acquisite non avrebbero convinto fino in fondo su questa ipotesi.

Gli inquirenti italiani hanno anche acquisito una copia degli atti di indagine raccolti dalla magistratura congolese: in particolare ci sono una quarantina di video sugli arrestati e sui sopralluoghi che hanno effettuato con i magistrati di Kinshasa.

Sulla base di questi atti i magistrati del Congo si apprestano a formulare l’atto di accusa.

Una volta visionate le immagini acquisite, l’indagine coordinata dal Procuratore di Roma Francesco Lo Voi e dall’aggiunto Sergio Colaiocco potrebbe arrivare a conclusione e gli atti trasmessi e gli elementi di prova raccolti determinare il rinvio a giudizio per gli accusati anche da parte degli inquirenti in Italia.

Già è pendente a piazzale Clodio un’altra richiesta di processo, quella nei confronti di Rocco Leone e Mansour Rwagaza, già ritenuti responsabili di “omesse cautele” nella sicurezza della missione e pertanto della morte del nostro ambasciatore e delle altre due vittime dell’agguato.

Se su questo troncone dell’inchiesta non abbiamo alcun dubbio sugli elementi raccolti dai magistrati che sono certi della colpevolezza dei sue funzionato del World food programma, sugli arresti di gennaio dei presunti autori dell’omicidio, presentati come probabili membri del gruppo armato ribelle Balume Bakulu e sull’operato delle autorità congolesi restano grandi perplessità.

Dopo l’annuncio congolese, la procura di Roma aveva fatto immediata richiesta di acquisire i verbali delle dichiarazioni rese al momento dagli arrestati per esaminarli e riscontrare l’eventuale responsabilità oggettiva dell’agguato. Ma solo oggi, sei mesi dopo, gli inquirenti hanno potuto avere quegli atti e interrogarli nella capitale congolese.

I carabinieri del Ros hanno raggiunto a fatica l’obiettivo di interrogare direttamente gli arrestati e grazie all’intervento del nuovo ambasciatore italiano nella Repubblica democratica del Congo, Alberto Petrangeli, hanno ricevuto collaborazione dagli investigatori a Kinshasa.

In un’intervista rilasciata alla tv pubblica congolese il generale Ndima Constant, governatore militare del Nord Kivu, ha assicurato che da “tempo su stava operando per scavare in direzione delle prove acquisite”. “Lasciateci il tempo di investigare su chi ha partecipato a questo assassinio”, aveva detto Constant, nominato dal presidente Felix Tshisekedi quale supervisore  dello stato di emergenza imposto lo scorso anno con la legge marziale su tutta la regione per tentare di arginare il proliferare dei gruppi armati.

Il generale ha anche ribadito che “è stato permesso alle autorità italiane di partecipare ai lavori fin dall’inizio delle indagini spostandosi in Rdc”.

Ma a noi questo non risulta, ancora oggi i nostri inquirenti non hanno potuto effettuare un sopralluogo sul luogo dell’agguato nel Nord Kivu.

E dunque tutto ciò che ci arriva come certo dal Congo risulta poco credibile…

A cominciare da quanto riferito in conferenza stampa lo scorso gennaio dal comandante della polizia della provincia del Nord Kivu, Aba van ang Xavier, che aveva mostrato come trofei alla stampa cinque dei sette sospettati, poi reo confessi, di aver partecipato all’agguato.

Tuttavia, secondo quanto dichiarato dallo stesso comandante, gli esecutori materiali del delitto, in particolare il capo della

banda Amos Mutaka Kiduhaye – soprannominato”Aspirant” – sono ancora in fuga.

Stando alle dichiarazioni del funzionario, quando “Aspirant” ha sparato all’ambasciatore gli altri membri della banda si sarebbero “molto dispiaciuti” perché intendevano rapire il diplomatico e chiedere in cambio un milione di dollari per il suo rilascio.

Peccato che quegli stessi uomini hanno dichiarato ai carabinieri del Ros di non sapere che la persona nelle loro mani era un diplomatico.

Secondo Xavier, il gruppo a cui appartengono questi uomini – arrestati in circostanze da lui non specificate – è responsabile anche di altri recenti rapimenti nella regione, in particolare di membri di organizzazioni umanitarie.

Oltre ai presunti responsabili dell’omicidio Attanasio, a gennaio le autorità di Kinshasa hanno arrestato anche i componenti di altri due “gruppi” accusati dalla polizia di aver commesso vari omicidi e attentati efferati.

In conclusione, delle sei persone fermate, secondo il

portavoce del governatore militare del Nord Kivu, Sylvain Ekenge, quattro avrebbero partecipato direttamente al tentato sequestro dell’ambasciatore, ma uno solo avrebbe sparato…

Lo stesso portavoce ha anche percosso che l’azione di questi “banditi attivi in zona a fini di riscatto” si distingue da atti “terroristici” di gruppi armati contro cui l’esercito ha lanciato da mesi un’offensiva nelle regioni orientali del Paese.

Insomma tante chiacchiere e poca sostanza, soprattutto a fronte dell’ammissione che non ci sia alcuna “evidenza” su chi sia il mandante dell’attacco.

Sul punto abbiamo interpellato sia le autorità congolesi che italiane ma “preferiscono” sulla questione “non diffondere per ora altre informazioni per non mettere a rischio le operazioni in corso”.

Di quali operazioni si tratti, visto che negli ultimi sei mesi non ci sono stati progressi nelle ricerche dei “fuggitivi”, non è dato sapere…

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