vai al contenuto principale

Rd Congo, abbattuto un elicottero dell’Onu. Morti otto caschi blu

Un bilancio di morti che fa tremare il Palazzo di vetro. Nella Repubblica democratica del Congo sono almeno otto i caschi blu delle forze di pace delle Nazioni Unite uccisi dall’abbattimento di un elicottero lo scorso 29 marzo.

A diffondere la notizia, confermata dai vertici dell’Onu, le Forze armate congolesi attraverso una nota con la quale hanno informato che  uno dei due velivoli da ricognizione della missione di Monusco, con a bordo otto unità e osservatori delle Nazioni Unite era precipitato nella regione orientale del Nord Kivu dopo un attacco dei ribelli del movimento 23 marzo.

Attivo nell’est del Paese, il gruppo M23 è responsabile nelle ultime settimane di una serie di attacchi al confine con il Ruanda, ma ha negato di aver abbattuto l’elicottero delle Nazioni Unite.

“Quell’aereo e’ stato colpito da una sparatoria delle Fardc (le Forze armate congolesi)” ha dichiarato ai microfoni della “Bbc Great Lakes” il portavoce dell’M23, Willy Ngoma, accusando in sostanza l’esercito  regolare di aver abbattuto l’elicottero mentre attaccava le loro postazioni.

Mercoledì scorso il governo congolese ha convocato l’ambasciatore del Ruanda, Vincent Karega,  a Kinshasa per fare luce sui possibili collegamenti esistenti tra l’esercito ruandese ed il M23.

La decisione è stata assunta dopo l’ultimo attacco dei ribelli contro le posizioni dei militari a Tshanzu e Runyonyi, vicino al confine tra il Ruanda e l’Uganda, e nel quale secondo l’esercito congolese le forse armare del Ruanda hanno appoggiato l’M23, adducendo come prova l’arresto di due militari ruandesi, ritenuti coinvolti nei fatti. “Pensiamo sia giunto il momento di porre fine a questa forma di ipocrisia e di possibile complicità tra l’M23 e il governo del Ruanda. Vogliamo guardare al Ruanda come Paese partner come tanto quanto l’Uganda”, ha dichiarato in conferenza stampa il portavoce del governo congolese, Patrick Muyaya.

In questo quadro di crescenti tensioni, la popolazione continua a subirne le conseguenze. L’Ufficio dell’Onu per il coordinamento degli Affari umanitari (Ocha) ha espresso forte preoccupazione per il deterioramento della situazione della sicurezza nell’area e nella provincia dell’Ituri, ubicata a nord-est del Paese, lamentando la “compromessa capacità delle agenzie umanitarie di fornire assistenza a centinaia di migliaia di sfollati interni”. Secondo Ocha, dallo scorso primo gennaio circa 400 civili sono stati uccisi nella regione e più di 83.000 persone sono fuggite dalle proprie abitazioni a causa delle violenze.

“I rapporti di civili uccisi, feriti o sfollati sono diventati un evento quotidiano”, ha affermato Ocha. Le violenze hanno costretto le agenzie umanitarie a ritardare, sospendere o trasferire le operazioni. Ocha ha dichiarato inoltre che 1,9 milioni di persone sono sfollate all’interno dell’Ituri e circa tre milioni di altre soffrono di grave insicurezza alimentare. Nella provincia operano molti gruppi armati, così come in quella vicina del Nord Kivu, dove la legge marziale in vigore dallo scorso maggio non è riuscita a fermare attacchi e massacri.

Torna su