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Perché con Luca Attanasio se n’è andato un pezzo dell’Italia migliore

Io lo sento, come un cupo rumore di fondo che non ha il coraggio di venir fuori. Perché in genere un rumore così non sa cosa è il coraggio ma soprattutto perché frenato oggi dalla qualifica istituzionale (un ambasciatore!) e ovviamente dal dolore che la morte di un uomo così giovane (assieme a un altro ragazzo in divisa e a un altro ancora che non era solo l’autista ma un operatore umanitario) ha provocato in tutti davvero. Eppure quel rumore di fondo, declinato in borbottio o in domande retrosceniste che si interrogano sul dove andava e perché e sul perché senza scorta, mescolate ad analisi più o meno copiaincollate sul Congo paese dai mille traffici, mille pericoli, sterminato teatro della prima guerra mondiale africana mai finita, tesoro di metalli preziosi che scatena appetiti di bande e terrorismi, quel rumore non riesce a dire quello che avrebbe già detto se si fosse trattato di un ragazzo andato in Africa per aiutare il mondo: avrebbe detto che se l’era cercata.
Perché un ambasciatore incontra uomini potenti, classe dirigente, tesse relazioni con ministri e imprenditori, non si avvia su una strada sterrata in mezzo a una foresta solo per andare a vedere cosa si può fare per chi muore di fame. E se lo fa tutto deve essere previsto, tutto deve essere sotto controllo, mezzi blindati e droni compresi.
Mi dispiace il mondo non funziona così e meno male.
E anzi vorrei dire a quel rumore che Luca Attanasio era esattamente quel tipo di ambasciatore che la storia del nostro paese più volte ci ha regalato: uomini di grande competenza ma soprattutto di straordinaria umanità, necessaria a distinguere tra ciò che è giusto e ciò che non lo è e a schierarsi dalla parte di quelli che è giusto aiutare. Inutile che racconti a questo rumore di diplomatici che nelle nostre ambasciate hanno aperto le porte a dissidenti e oppositori alle dittature, perseguitati dai regimi e dalle guerre, a rischio della vita loro e di chi accoglievano, tanto sono cose che non vuole sapere.
C’è stato un periodo recente è vero, in cui un capo di governo li riuniva per spiegare loro che erano soprattutto -forse solo- gli ambasciatori del made in Italy nel mondo, che i consolati dovevano soprattutto -forse solo- aiutare il nostro commercio con l’estero. Per fortuna quel periodo è passato.
E oggi possiamo dire invece di essere orgogliosi di questo ambasciatore ragazzino, e di quelli come lui, l’immagine dell’Italia migliore che ci rappresenta nel mondo.
Per questo il nostro dolore è grande.

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