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Mediterraneo, niente di nuovo sul fronte occidentale delle migrazioni

La Conferenza di Roma è stata certamente un successo per la Presidente del Consiglio Meloni che ambisce a avere una proiezione sulla scena politica europea e internazionale. Altrettanto, per motivi diversi, è stata un successo per i Paesi africani che vi hanno aderito ricevendo così in cambio la promessa di ingenti risorse finanziarie da ottenere e di accordi commerciali favorevoli. Molto meno rispetto alla questione fondamentale che intendeva affrontare, relativa ai flussi migratori sempre più massicci provenienti dall’Africa sulle nostre coste.

Se si mettono da parte il lustro della cerimonia e i proclami propagandistici che solitamente fan da corollario alle dichiarazioni ufficiali, la sostanza della Conferenza si riassume in un solo, semplice dato finale. Il differimento del problema, conseguito pagando chi accetta di accollarselo in nostra vece. Non importa come, non importa dove. Purché ciò avvenga lontano dall’Italia e, di conseguenza, dall’Europa. Una soluzione a metà fra i muri di Trump e di Orbàn e il sostanzioso obolo versato a Erdogan per bloccare chi arriva alle frontiere della Turchia.

Niente di nuovo, dunque sul fronte occidentale. di serio. Pensare di incidere sul fenomeno migratorio cancellandolo dalla propria vista è un’operazione del tutto vana se non irresponsabile. Non solo perché quando i muri virtuali così innalzati crolleranno per una qualche ragione – non del tutto impossibile da immaginare nel panorama geopolitico instabile in cui si colloca questa parte di mondo – la massa di persone che si riverserà sul continente europeo sarà molto maggiore. Ma anche perché il problema non risiede negli arrivi, bensì nelle partenze. E le partenze non si limitano ai Paesi costieri. La situazione è, dunque, più complessa di come l’iniziativa presa dal governo italiano vorrebbe lasciarla intendere. Gli sbarchi numerosi sulle coste italiane che, favoriti dalle buone condizioni del mare, sono continuati senza sosta mentre la Conferenza era in corso, ne sono un segnale eloquente.

Certo, aver posto il Mediterraneo al centro della discussione e aver richiamato l’attenzione generale sull’Africa che è la fonte del problema è un passo avanti apprezzabile. Ma pensare di “fermare definitivamente il fenomeno dell’immigrazione illegale” – per ripetere le parole dette dalla Meloni nella conferenza stampa – usando lo schermo difensivo dei Paesi di transito è una falsificazione ideologica dell’intera questione migratoria. Il fenomeno non si arresta spostandolo altrove così da sentirsi – con la compiacenza affatto disinteressata di chi vuole lucrare su di esso autorizzati a ignorarlo perché non ci tocca più direttamente. E davvero la massima di Confucio – secondo cui se non vedo, non sento e non parlo, il fatto non esiste – alla quale assomiglia l’atto di delega che la Conferenza di Roma ha celebrato, giova a mettere un po’ d’ordine in un fenomeno così complesso e allo stato attuale irreversibile? O rischia di essere un espediente inutilmente costoso – al di là delle valutazioni etiche che certe foto strazianti, condonne e bambini morti di stenti e abbandonati nel deserto, non ci risparmiano dal dover fare – come già gli accordi libiciinconcludenti, dopo l’effetto iniziale, di alcuni anni fa?

Le barriere, di qualunque genere, non bastano a arrestare flussi epocali che hanno motivazioni ben più profonde e forti degli ostacoli frapposti. Questi ultimi possono soltanto deviarne la forza d’urto verso altri esiti, dall’impatto imprevedibile. Non proprio una alternativa alla quale ambire, se si guarda al futuro prossimo.

Se le ragioni che provocano le massicce migrazioni dall’Africa e dal vicino oriente non possono essere imputate in modo palese all’Italia e all’Europa né, realisticamente, essere passibili di una soluzione immediata, data la complessità delle situazioni che ledeterminano, possono almeno venir considerate ponderabili sulla bilancia delle azioni da intraprendere per trattare in maniera appropriata e seria la questione, prima che essa diventi un problema di proporzioni maggiori e per molti versi insostenibile.Con ripercussioni sulla vita di tutti.

Del resto, l’esternalizzazione delle frontiere, per allontanare dai propri confini un fattore di disagio al quale non si sa dare unagiusta risposta, è una procedura che ha già avuto precedenti poco lusinghieri per la civiltà occidentale negli anni ’30/40, quando fu applicata al trattamento degli ebrei con gli esiti storici che tutti conosciamo. Anche in quella circostanza storica si preferì accantonare una questione spinosa, affidandone a altri la soluzione, per poi ritrovarsela addosso in tutte le sue colpevoli conseguenze con le quali l’intera Europa è stata costretta a fare drammaticamente i conti.

 

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