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Neocolonialismo monetario, la rivolta dei paesi africani contro il franco Cfa

Quando le colonie africane ottennero l’indipendenza, all’inizio degli anni ’60, la Francia mise in atto un formidabile gioco di prestigio. Essa infatti riconobbe ufficialmente la sovranità politica dei nuovi Stati, mantenendo però al contempo il controllo delle loro economie grazie a un’arma tanto potente quanto invisibile: il loro sistema monetario.


Dalla creazione del franco delle Colonie Francesi in Africa (CFA), nel 1945 l’acronimo si è evoluto per indicare due valute: Comunità Finanziaria Africana (Africa occidentale) e Cooperazione Finanziaria Africana  (Africa centrale).



Ma è Parigi a decidere il valore esterno di queste valute, la zona del franco, assicurandosi il controllo economico delle colonie e garantendo ancora oggi all’economia francese un vantaggio comparativo sul continente africano.

Il 25 dicembre 1945 il decreto firmato dal presidente del governo provvisorio, il generale De Gaulle, dal ministro delle Finanze e dal ministro delle Colonie, Jacques Soustelle, creò il franco delle Colonie francesi del Pacifico (CFP) e il franco delle Colonie Francesi d’Africa (CFA).

Il franco CFA fu dunque coniato all’epoca della creazione di un nuovo sistema monetario internazionale in seguito agli accordi di Bretton Woods, firmati nel luglio 1944 da quarantaquattro Paesi. Questo regime sancì l’egemonia degli Stati Uniti e diede vita a nuove istituzioni sovranazionali con sede a Washington: il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (che poi diventerà Banca Mondiale).

In base a questo sistema, tutte le valute devono essere registrate presso il FMI e hanno una parità fissa e regolabile rispetto al dollaro, l’unica valuta convertibile in oro fino al 15 agosto 1971. Questo sistema è noto come “tasso di cambio fisso”.

Il governo francese, il 25 dicembre 1945, dichiarò all’istituzione di Bretton Woods la nuova parità del franco francese con il dollaro statunitense.

Il giorno dopo Parigi dichiarò quella  tra franco francese e franco CFA, acquisendo così quest’ultimo uno status ufficiale nel sistema monetario internazionale. Lo stesso giorno l’Assemblea Costituente francese ratificò gli accordi di Bretton Woods. In questa occasione il Ministro Pleven affermò che la creazione del franco CFA, mettendo fine all’unificazione monetaria tra la Francia e i suoi territori africani, segnò di conseguenza anche la “fine del patto coloniale”.


Da quel momento si evitò che gli utenti del franco CFA venissero a conoscenza del meccanismo che si celava dietro le tre enigmatiche lettere: un camuffamento, in termini di propaganda, volto a  garantire il mantenimento di un certo tipo di egemonia su quelle colonie che ormai a gran voce proclamavano l’indipendenza.

Nel 1950, ad esempio, alcune banconote circolanti nell’impero coloniale raffiguravano il simbolo della Repubblica francese (Marianne) che, rassicurante, sorreggeva sulle sue le spalle due figure africane, eleggendo se stessa come “madrepatria protettiva”.

Lo scopo del franco CFA era in realtà ben diverso: esso doveva garantire il controllo economico dei territori conquistati e facilitare il drenaggio delle loro ricchezze verso una fragile metropoli all’epoca ancora reduce dell’appena terminato conflitto mondiale.

Oggi Parigi può affermare che il franco CFA è diventato una “moneta africana” gestita da africani, ma di fatto è il Tesoro francese a determinare il valore esterno della moneta. La Francia rappresenta dunque l’unico paese al mondo a gestire direttamente un sistema monetario distinto dal proprio.

Il lessico spesso utilizzato dai francesi ricorre in termini di solidarietà e altruismo: agli occhi delle ex-colonie la Francia si deve mostrare il più disinteressata possibile.

Come vedremo questo sistema rimase legato alla medesima funzione per la quale è stato creato nel 1945. Più che una semplice moneta, il franco CFA ha lo scopo di garantire relazioni economico-finanziarie e politiche con alcune delle ex colonie: è un sistema di dominazione neo-coloniale Françafrique usato come arma già dalla vigilia dell’indipendenza africana per celare i vantaggi del cosiddetto “patto coloniale”. Una storia che mescola colonialismo, economia, affari, geopolitica e diplomazia in un contesto di repressione visibile o discreta: una Francia che ancora non vuole voltare le spalle al suo passato coloniale.

Al contrario, ad esempio, nel corso della Conferenza Internazionale Sull’Emergenza Dell’Africa (CIEA) del 2017, l’allora presidente Alpha Condè della Guinea parlò di “tagliare il cordone ombelicale” e di dare fiducia agli intellettuali e agli investitori africani ponendo le basi per uno sviluppo autonomo.

Durante gli anni Cinquanta, il movimento anticoloniale acquistò slancio in tutto il mondo, spinto dalla recente sconfitta francese in Indocina nel 1954 e dalla conferenza dei Paesi “non allineati” tenutasi a Bandung (Indonesia) nell’aprile 1955.

In alcuni territori, come il Camerun e l’Algeria, la Francia represse ferocemente i movimenti indipendentisti e si organizzò per non perdere completamente il suo impero coloniale.

Con la legge quadro Defferre (legge e-619 del 23 giugno 1956) si cercò di allentare le tensioni concedendo maggiore autonomia alle colonie.

Tra maggio e giugno 1958, in seguito alla crisi interna all’impero, l’allora presidente René Coty richiamò in politica il general De Gaulle nelle vesti di Primo Ministro e Ministro della Difesa. Si diede così avvio alla V° Repubblica con la proposta di creare la “Communauté” che avrebbe riunito la Nazione francese con i territori d’oltremare, garantendo un certo grado di autonomia alla ex colonie eccetto che in materia di politica estera, difesa, economia, finanziaria, delle materie prime e ovviamente monetaria poichè intese come “dominio comune”.

Il 28 settembre 1958 venne organizzato un referendum nel quale i cittadini di ciascuno degli stati africani interessati furono chiamati a esprimersi in favore o contro quella proposta. La maggioranza dei voti fu favorevole ovunque, con l’unica eccezione della Guinea di Sekou Touré, il quale nell’immediato dichiarò l’indipendenza affermando che i guineani preferiscono “la libertà nella povertà alla ricchezza nella schiavitù”. Il 2 ottobre 1958 la Guinea ottenne ufficialmente l’indipendenza, uscendo dal sistema del Franco CFA il 1° marzo 1960; ad oggi è ancora l’unico paese dell’area interessata ad avere una moneta propria.

Con l’avvio della “Communauté” l’acronimo CFA verrà ufficialmente inteso come “Communauté française d’Afrique”.

A differenza delle altre ex potenze coloniali, la Francia è stata l’unica a mantenere la propria zona monetaria in Africa. Al fine di salvaguardare la sua “riserva” subsahariana, Parigi ha insistentemente cercato di tenere al potere i leader di sua scelta e ha sviluppato un arsenale di condizioni che le avrebbero permesso di mantenere un certo grado di influenza.

La Francia ha fatto firmare una lunga serie di accordi, chiamati di “cooperazione”, che di fatto rappresentano una cessione di sovranità: in cambio dell’indipendenza politica formale, l’obbligo di affidare allo Stato francese la gestione proprio di quei settori già annunciati da De Gaulle.

Dal 1962 in poi la zona del franco comprendeva solo gli Stati dell’Africa subsahariana, un totale che oggi ammonta a 14 paesi suddivisi tra loro in due gruppi: Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale (UEMOA) e Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale (CEMAC).

Per ciascun gruppo è stato istituito un tipo di Franco CFA diverso rispetto all’altro e una propria banca centrale: per l’UEMOA la Banque centrale des États d’Afrique de l’Ouest (BCEAO) e per il CEMAC la Banque des États d’Afrique centrale (BEAC).

Ma come avviene in concreto il trasferimento di capitale, l’acquisto di titoli o gli investimenti finanziari tra questi paesi e la “madrepatria”?

Questo trasferimento di fondi non è soggetto a restrizioni di cambio, come lo è invece tra le altre valute.

Si tratta di fatto di una convertibilità illimitata gestita dal Tesoro francese impegnato a prestare denaro alle banche centrali delle due zone del Franco CFA in caso di esaurimento dei loro attivi esterni.  L’obiettivo è conservare sempre valuta estera e regolare quotidianamente i pagamenti esterni o le transazioni in altra valuta.

Al di fuori di questo quadro, il franco CFA non è convertibile. A differenza delle banconote in dollari o euro, cambiabili praticamente ovunque nel mondo, le banconote Franco CFA possono essere solo cambiate nella loro zona di emissione. Per esempio un cittadino senegalese che va in Francia con banconote CFA non troverà un ufficio preposto per il cambio ufficiale in Euro; un turista italiano che torna dalle sue vacanze con banconote Franco CFA non potrà farci nulla, se non tenerle come oggetto da collezione o aspettare il prossimo viaggio in uno dei Paesi della zona di emissione.

È stata altresì introdotta la centralizzazione delle riserve valutarie: la BEAC e la BCEAO hanno l’obbligo di depositare una quota dei loro attivi esteri in Francia, in cambio della garanzia di convertibilità.

Nessuno sa per quanto tempo ancora questa storia andrà avanti. Tuttavia, per ragioni politiche, economiche e demografiche, il futuro del franco CFA è sempre più incerto. Senza necessariamente disporre di tutti gli elementi tecnici, un numero crescente di cittadini africani è consapevole dell’impossibilità di decidere realmente del proprio destino senza un’effettiva sovranità monetaria.

Negli ultimi anni, sempre più voci si sono levate nelle strade, sui social network, dall’organizzazione Urgences Panafricanistes (URPANAF); quest’ultima una ONG internazionale africana, fondata nel 2015, presieduta dall’attivista anticolonialista Kemi Seba, il quale ha fatto nascere un anno dopo il Front Anti-Cfa (cioè Fronte Anti-Colonialismo Francese in Africa). Si tratta di una rete che riunisce un grande numero di organizzazioni panafricane contro la Françafrique, divenendo promotrice della questione riguardante la sovranità monetaria.

Il 19 agosto 2017, data in cui è stata organizzata una grande mobilitazione internazionale, l’attivista Kemi Seba, presente in quel momento a Dakar in Senegal, ha bruciato, come atto simbolico e di protesta pacifica, una banconota da 5.000 franchi CFA, dichiarando che “nel 21° secolo, normalmente, ogni popolo ha il diritto di possedere la propria moneta e di decidere il proprio futuro politico. Ma nessun futuro può essere deciso senza dominare la sua economia”. Per questo atto è stato per qualche giorno arrestato dalle autorità senegalesi in quanto avrebbe, secondo loro, offeso le istituzioni; in realtà fu un atto contro uno dei simboli della Françafrique.

Con Urgences Panafricanistes Italia e Stra Vox il 6 giugno 2022 abbiamo organizzato un festival della resistenza collettiva con l’intento di denunciare il neocolonialismo monetario, la Françafrique e discutere della migrazione dall’Africa verso l’Europa.

Il conto alla rovescia potrebbe essere iniziato.

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