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Monetizzare i bisogni. Una soluzione imperfetta ai problemi dell’Africa

Il summit tenuto a Parigi per iniziativa del Presidente Macron e al quale anche l’Italia ha partecipato, rappresentata dal Presidente Draghi, ha avuto grande risonanza perché, fra le diverse questioni diplomatiche trattate – prima fra tutte la distensione dei rapporti fra l’Europa e il Continente africano, dopo il non felice passato coloniale, alla quale ha giovato il riconoscimento del colpevole coinvolgimento francese in alcune drammatiche operazioni sanguinarie  – ha preso due iniziative economiche salutate con soddisfazione da tutti. La cancellazione dei debiti contratti da alcuni Paesi africani con la Francia per dare un appoggio ai partiti e alla società civile impegnati in governi di transizione dopo periodi di dittatura, e l’aumento delle riserve monetarie per i Diritti speciali di prelievo del FMI agli Stati africani. Alle quali va aggiunta l’intenzione di mobilitare notevoli investimenti privati per finanziare le start-up negli Stati africani.

Il summit ha rappresentato una apertura importante all’Africa per più ragioni, già sottolineate da molti osservatori. Ha promosso a partner paritari Paesi finora considerati subalterni, aprendo a nuove relazioni che contribuiscano a contrastare la sempre maggiore influenza politico-economica esercitata dalla Cina e dalla Russia a discapito dell’Europa.  Ha coinvolto in questa iniziativa altri Paesi europei fra i più vicini all’Africa e i vertici della Unione Europea, trasformando in un problema comune la situazione difficile del Continente, da affrontare insieme. Ha postodecisamente l’accento sulla minaccia rappresentata dal terrorismo islamico nel Sahel e contribuito a rafforzare la volontà di tutti i governi africani di trovare nuove strategie per combatterlo.

Poche le voci critiche che si sono levate. In particolare, contro la connivenza tuttora esistente con alcuni regimi non propriamente democratici da parte francese, in nome di una realpolitik non del tutto giustificata dal nuovo spirito di riconciliazione. E ancor meno sono state le obiezioni sollevate verso il modo di concepire la risoluzione di problemi sociali e la risposta da dare ai bisogni avvertiti dalle popolazioni in termini esclusivamente monetari e d’ordine economico-finanziario.

L’incremento delle riserve alle quali attingere per i Diritti speciali di prelievo del FMI comporta in realtà un aumento del debito dei Paesi africani che vi fanno ricorso. Il condono dei debiti non mette al riparo dal rischio che alcuni Paesi ne approfittino per aumentare le spese belliche e continuare a perpetrare crimini e soprusi in regioni dove sono tuttora in corso terribili guerre civili, nel totale disprezzo di tutti i diritti umani. In Etiopia e in Eritrea, per esempio. Il finanziamento delle start-up, in un Continente che fatica a uscire da una complessiva crisi sistemica che la persistenza di condizioni di vita fatte di violenza e brutalità, di sfruttamento delle risorse senza scrupoli e accaparramento delle immense ricchezze, mal si concilia con le speranze che dovrebbero suscitare nelle giovani generazioni alle quali soprattutto dovrebbero essere destinate.

Achille Mbembe, filosofo e storico dell’Università di Johannesburg, nell’intervista rilasciata al settimanale Le Point, ha spiegato che il sentimento più diffuso fra i giovani con cui si trova a parlare è di profonda sfiducia nella riuscita di tali interventi. Sono convinti che sia la loro vita a essere stata, in realtà, impegnata da un debito insolvibile che non porterà alcun giovamento all’Africa. La maggior parte di loro non ha che una cosa in testa: partire, qualunque sia il prezzo da pagare. Sognano una vita altrove, non importa dove, purché non sia lì.

Per ridare speranza all’Africa e riconciliarla con l’Europa, dopo le colpe del post-colonialismo, occorre, piuttosto, ripartire daicosiddetti fondamentali, suggerisce Mbembe. Ossia, dai valori umani della vita, quali la libertà, i diritti, gli ideali profondi senza i quali nessuno ha niente da dividere con nessun altro e i rapporti diventano del tutto inesistenti. Inodori come tutto ciò che si risolve in denaro e viaggia con esso, indifferente alle mani che lo scambiano.  Fare affari con la Cina o la Turchia piuttosto che con l’Europa è la stessa cosa, per gli Stati africani, se non esistono altre ragioni valoriali per scegliere una invece che un’altraopzione internazionale.

Certo, quello compiuto da Macron è un primo passo e importante. Ma non dobbiamo smettere di pensare che vi siano anche altri, migliori modi di rispondere ai bisogni umani che non sia solo quello della loro monetizzazione al quale una visione della vita,che dell’economia e della finanza fa il filo conduttore del mondo,ci ha abituato.

Del resto, il fallimento delle politiche di cooperazione portate avanti dalle ONG in Africa negli anni Ottanta e Novanta, che non hanno affatto contribuito al progresso dei territori e al miglioramento della vita delle persone, ma si sono trasformate in pura assistenza, dovrebbe far riflettere su quanto sia illusorio credere che i soccorsi finanziari bastino a soddisfare i bisogni delle persone senza che intervengano altri, più profondi cambiamenti nella vita delle società, adatti a riparare un tessuto civile lacerato e ricomporne con pazienza e cura i pezzi.  Cosicché le persone siano in grado di recuperare una dimensione di vitadignitosa, che permetta loro di poter contare sulle proprie energie per superare i problemi e riacquistare speranza e fiducia.        

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