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Manute Bol, il gigante sudanese del basket

Appartenente all’etnia Dinka e originario dell’attuale Sud Sudan, il campione di Basket Manute Bol nasce a Turalei, nello stato di Warrap, il 16 ottobre 1962. Figlio di genitori che superano entrambi i 2 metri di altezza, con i suoi 231 cm e consapevole del suo talento, all’età di 20 anni, dopo essere stato respinto da varie squadre di calcio, Manute decide di trasferirsi negli States per tentare il successo nel Basket. All’inizio le cose non sono facili per lui, soprattutto a causa della sua scarsa conoscenza della lingua inglese, ma dopo le prime difficoltà Manute, (diventato famoso oltre che per le sue doti atletiche anche per essere il giocatore più alto della storia del basket al pari con il rumeno Gheorghe Mureșan), comincia a conquistare pubblico e critica e finalmente approda nel mondo NBA. Facciamo un riassunto del suo percorso sportivo: tra il 1984-1985 partecipa al campionato giovanile con i Bridgeport P. Knight. Nel 1985 è tra le file dei Rhode Island Gulls. Nel 1985-1988 entra a far parte dei Washington Bullets. Negli anni 1988-1990 è la volta dei G.S. Warriors. Negli anni 1990-1993 entra nei Philadelphia 76ers. Dal 1993 al 1994 nei Miami Heat. Nel 1994 gioca con la maglia dei Washington Bullets e quella dei Philadelphia 76ers. Nel 1994-1995 ritorna nei G.S. Warriors . L’anno seguente è con i Florida Beach Dogs. Nel 1996 comincia la sua breve avventura italiana con la Libertas Forlì, dopo che al suo rientro in Sudan viene contattato dall’allenatore Massimo Mangano. A questi si aggiunge anche la sua presenza con la nazionale sudanese negli anni 1982-1983. Dopo anni di soldi, fama, gloria e successo, Manute decide di chiudere la sua esperienza decennale con il basket e di fare ritorno in patria. Qui inizia a donare soldi ai bisognosi e ai membri dell’etnia Dinka. Fonda anche varie associazioni, prima fra tutte la Ring True Foundation, per dare aiuto e sostegno ai bambini poveri sudanesi e contribuisce al finanziamento dell’esercito popolare in lotta per la liberazione del Sudan. Di conseguenza sono anche molti i soldi persi a causa del governo sudanese che lo mette alle strette, che gli ritira il passaporto e che lo isola soprattutto per motivi religiosi. A questo si aggiungono anche alcuni finanziamenti sbagliati negli Stati Uniti. Nell’anno 2000, decide infine di ritornare in America dove lo aspettano moglie e figli dal suo ritorno in terra sudanese. Negli Stati Uniti, pur di raccogliere fondi per le sue cause, accetta di partecipare nel 2003 al Celebrity Boxing Show, celebre trasmissione nella quale a bordo di un ring vecchie e nuove celebrità si sfidano ad un incontro di boxe. Manute vince l’incontro e intasca il premio di 35000 dollari. Nello stesso anno si cimenta anche nell’hockey su ghiaccio. Gioca una sola partita ma raggiunge il suo scopo di ottenere fondi. Queste scelte per denaro, anche se per buone cause, lo portano nel corso degli anni ad essere preso di mira da quelli che oggi noi chiamiamo “Haters” (odiatori) che iniziano a dargli del fallito e del venduto. Ma la voglia di attivismo è troppo forte per il campione, che continua a cimentarsi in svariate attività. Fino al giorno della sua morte. Infatti, dopo una vita di successi ma anche di difficoltà, il gigante sudanese muore a causa di un’insufficienza renale acuta insorta come complicanza alla sindrome di Stevens-Johnson, il giorno 19 giugno 2010 a Charlottesville, in Virginia, negli Stati Uniti, alla giovane età di di 47 anni, mettendo la parola fine ad una favola cominciata in Sudan e terminata oltreoceano, ma che considerando la sua permanenza a Forlì, rende protagonisti anche tutti quanti noi.

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