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Malawi, traffico di esseri umani nel campo rifugiati UNHCR di Dzaleka

Dzaleka, il primo campo profughi del Malawi,  ubicato a circa 40 chilometri a nord della capitale Lilongwe, è stato il teatro di un colossale traffico di esseri umani di cui vittime sono elusivamente rifugiati burundesi. A denunciarlo sono gli stessi rifugiati che hanno presentato un esposto al tribunale mobile composto da giudici e agenti di polizia giudiziaria, allestito all’interno del campo profughi.

Oltre 20 casi di tratta di esseri umani sono stati segnalati alle autorità del Malawi riguardanti tutti giovani e belle ragazze burundesi che sono sparite durante il 2021 senza che nessuno sappia la loro destinazione finale. I genitori delle vittime sospettano che le loro figlie siano state vendute per lavorare in schiavitù nei paesi del Golfo, in particolare in Arabia Saudita. Il tribunale mobile ha immediatamente riferito le denunce al Tribunale distrettuale di Dowa, non lontano dalla capitale.

La recente scomparsa, avvenuta la settimana di Natale, di una giovane rifugiata burundese che vive nel distretto di New Gatuza: Sarah Hatungimana ha portato all’arresto di una donna congolese sospettata di essere coinvolta nel network criminale di trafficanti di esseri umani istallatosi presso il campo profughi di  Dzaleka.

La donna congolese, che viveva anch’essa nel campo profugo, al momento dell’arresto è stata trovata in possesso di cinque carte sim contenenti numeri di telefono dei suoi collaboratori in Arabia Saudita e molti altri contatti. La donna congolese spesso abitava per lunghi periodi (anche un mese) fuori dal campo profughi. Numerose le sue visite presso la capitale. Nel campo è salita la rabbia dei profughi burundesi che hanno tentato di fare giustizia linciando la congolese. Solo l’intervento della polizia ha salvato la donna da una morte orribile: bruciata viva con dei pneumatici.

La polizia ha trovato registrati nelle 5 carte sim numeri telefonici di cittadini burundesi che risiedono nella capitale Lilongwe e numeri di telefono del Burundi. Un’indagine preliminare ha rivelato che i numeri di telefono burundesi appartenevano a funzionari pubblici e ad ufficiali della polizia e del SNR (Service National de Reinseignement) la polizia politica controllata dal Primo Ministro, il Maresciallo Generale Alain-Guillaume Bunyoni.  

L’informazione del presunto coinvolgimento di autorità burundesi ci è stata  fornita da membri della società civile del Burundi che si trovano tra i profughi del campo di Dzaleka ma non trova alcuna conferma presso le autorità del Malawi. Si è appreso che la magistratura di Dowa avrebbe chiesto di contattare il governo burundese. Le motivazioni di questa richiesta rimangono tutt’ora non divulgate.

Dzaleka è il più grosso campo rifugiati gestito da UNHCR. È stato istituito nel 1994 dal governo del Malawi e dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) per accogliere le persone in fuga da genocidi, violenze e guerre in Burundi, Ruanda e Repubblica Democratica del Congo. Fino al 2016  ospitava tra i 10.000 e i 14.000 rifugiati. L’instabilità politica e i disordini sociali nelle regioni dei Grandi Laghi e del Corno d’Africa hanno spinto un flusso continuo di rifugiati nel Malawi per più di due decenni.

Ora il campo  ospita più di 48.000 persone provenienti dai paesi dell’Africa orientale e meridionale, tra cui 11.000 burundesi. Quattro volte più della sua capacità iniziale. Diverse centinaia continuano ad arrivare ogni mese, secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), e ad agosto vi sono nati 181 bambini. Il deterioramento della situazione nel vicino Mozambico sta aumentando ulteriormente gli arrivi.

La tensione tra la popolazione locale e i rifugiati è aumentata di recente a causa dei drammatici aumenti di prezzi di carburante, olio da cucina e altri prodotti alimentari associate ad un aumento delle spese bancarie e delle tasse, che hanno provocato manifestazioni antigovernative. Seppur questi aumenti sono registrati in tutto il paese, la popolazione di Dzaleka hanno accusato i profughi di essere una tra le cause del caro vita.

Da un decennio i rifugiati possono vivere e lavorare fuori dal campo profughi grazie ad un programma di reinserimento socio economica nelle comunità ospitanti promosso da UNHCR e le autorità del Malawi. Ovviamente le accuse ai profughi non hanno basi solide ma rientrano in un contesto di scontro sociale tra essi e la popolazione autoctona che verte sulla divisione delle risorse naturali e delle possibilità di impiego.

Per calmare la popolazione lo scorso aprile il governo  ha emesso un decreto che obbliga oltre 2.000 rifugiati che nel corso degli anni avevano lasciato il campo per integrarsi nella società del Malawi, di ritornare nel campo profughi, citandoli come possibile pericolo per la sicurezza nazionale. Il ritorno forzato al campo è stato ostacolato dai rifugiati. Molti di loro sono sposati con dei Malawiani, hanno famiglia, un’impresa o un lavoro e non vogliono ritornare nel campo profughi perdendo affetti, alloggio e lavoro per vivere della carità altrui.

In dicembre UNHCR ha esortato il governo a riconsiderate la direttiva per il ritorno delle persone al campo, affermando che mentre il Malawi ha il pieno diritto di presentare tale richiesta, l’ordine di rimpatriare le persone in una struttura sovraffollata ha “serie implicazioni sui diritti umani”.

Il traffico di esseri umani organizzato dalla donna congolese getta una seria ombra sulla reale protezione che UNHCR offre ai rifugiati. Abbiamo scoperto che lo sfruttamento e la tratta dei rifugiati è una piaga che affligge il campo di Dzaleka da diversi anni. Dal 2018 sono stati identificati vari tipi di traffico di esseri umani. I bambini vengono trafficati all’interno e all’esterno del campo per lavoro agricolo e domestico. Donne e ragazze vengono sfruttate sessualmente all’interno di Dzaleka, all’interno dell’industria del sesso del Malawi o trasportate a scopo di sfruttamento sessuale in altri paesi dell’Africa meridionale.

I rifugiati maschi sono sottoposti a lavori forzati all’interno del campo o nelle fattorie in Malawi e in altri paesi della regione. Ci sono anche casi di rifugiati che vengono portati nella capitale Lilongwe dove sono costretti a lavorare in bar, negozi o come lavoratori domestici per una paga minima o nulla.

Il campo viene anche utilizzato come punto di transito per le vittime della tratta di esseri umani. I trafficanti reclutano le vittime nel loro paese d’origine con falsi pretesti, fanno in modo che attraversino il confine con il Malawi ed entrino nel campo. I trafficanti avevano pianificato di contrabbandarli in Zambia e poi trasportarli ulteriormente in Sudafrica dove sarebbero stati sfruttati.

Ad aprile, l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC), insieme all’UNHCR e all’Organizzazione internazionale delle Nazioni Unite per le migrazioni (OIM) e in collaborazione con il Ministero della sicurezza interna del Malawi, ha iniziato ad attuare procedure per combattere la tratta di esseri umani nel campo . Il UNODC ha esortato il governo del Malawi a migliorare i controlli ai valichi di frontiera per consentire misure di intervento tempestivo.

L’istituzione di meccanismi adeguati può svolgere un ruolo cruciale nell’identificazione delle vittime potenziali e reali della tratta. L’UNHCR, l’UNODC e l’OIM mirano a sostenere il Malawi nell’adempimento di questo impegnativo compito. La prevenzione della tratta di esseri umani rappresenta uno dei tanti problemi di protezione che la nostra squadra deve affrontare nel campo profughi di Dzaleka e, fino ad ora, risorse limitate sono state dedicate a questo crimine” affermò lo scorso marzo Berhane Taklu-Nagga, Responsabile UNHCR Malawi della protezione dei rifugiati.

Le 20 denunce di ragazze burundesi sparite ha creato un forte imbarazzo a UNHCR che da oltre un decennio è sotto accusa per pesanti lacune nella protezione dei rifugiati in diversi paesi Africani. L’ultimo episodio che ha messo a pericolo la vita dei rifugiati è avvenuto il 2 gennaio 2022 presso il campo per i profughi dal Tigray di Um Rakuba nel Sudan. Circa 250 famiglie sono senza casa. L’incendio, frettolosamente classificato da UNHCR come “accidentale” ma che i rifugiati sospettano la causa dolosa, è il terzo in tre mesi. Il primo incendio è avvenuto il 19 ottobre e il secondo il 11 dicembre.

Le inchieste sulle 20 ragazze sparite dal campo profughi di Dzaleka starebbero portando alla scoperta di un network criminale regionale che coinvolgerebbe non solo la donna congolese ma anche alte autorità del Burundi e ufficiali delle forze dell’ordine locali. Il loro coinvolgimento spiegherebbe il riservo della magistratura del Malawi sul caso, la scarsità di notizie ufficiali e il tentativo di far passare il tutto come l’opera di un singolo criminale: la rifugiata congolese.

Al contrario gli avvenimenti di Dzaleka sarebbe la punta dell’iceberg che nasconde una intensa attività criminale gestita direttamente dalla giunta militare burundese e dai suoi due leader: il Generale Neva – alias Evariste Ndayishimiye illegalmente insediatosi alla Presidenza nel giugno 2020 dopo la morte del dittatore Pierre Nkurunziza e il Primo Ministro Alain – Guillaume Bunyoni indagato presso la Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità e sotto sanzioni ad personam dell’Unione Europea e Stati Uniti.

La giunta militare, che sta affrontando una grave (forse irreversibile) crisi economica, oltre ai traffici di minerali dal Congo (coltan, diamanti e oro) dal 2012 avrebbe iniziato a organizzare un vasto network di traffico di esseri umani in Burundi, Congo, Tanzania e Uganda, arrivando ora anche in Malawi.

La tratta delle schiave organizzata dal regime burundese ha come principali clienti i Paesi del Golfo. Le vittime sono principalmente donne e collaboratrici domestiche. Questo traffico di esseri umani viene svolto a fini di “prostituzione, pornografia e traffico di organi in quanto attività  molto redditizia per il regime burundese con complicità stabilite nei paesi del Golfo.

Nel 2017 questo traffico venne alla luce grazie ad una intercettazione della polizia burundese di un traffico di 12 ragazze che erano in partenza per l’Oman. L’autobus su cui erano salite è stato intercettato sulla strada per l’Uganda da dove si sarebbero imbarcati per l’emirato del Golfo. Secondo informazioni riservate i poliziotti autori del salvataggio non ricevettero ringraziamenti dall’allora dittatore Pierre Nkurunziza ma furono allontanati per aver interferito in affari che non dovevano essere ostacolati.

Nel primo semestre del 2017, l’Osservatorio nazionale per la lotta alla criminalità transnazionale in Burundi (OLCT) ha fatto l’inventario di 338 vittime di questo traffico dirette verso l’Oman e l’Arabia Saudita “Oltre allo sfruttamento economico e sessuale, i bambini trafficati subiscono l’espianto di organi come reni, cuore e fegato che vengono venduti a caro prezzo“, accusò all’epoca Jacques Nshimirimana, presidente della Federazione delle associazioni impegnate nel campo dell’infanzia in Burundi (Fenadeb).

Per ogni ragazza consegnata in Oman, i trafficanti guadagnano fino a 1.000 euro. Le ragazze destinate all’Arabia Saudita sarebbero le più care. Il loro prezzo lordo varierebbe tra i 2.000 e i 3.000 dollari Usa, rivela una ONG del Burundi. Dal 2015, le organizzazioni della società civile stimano che più di 3.500 donne burundesi siano cadute nelle mani dei trafficanti che le hanno portate nei paesi del Golfo. Le associazioni burundesi denunciarono “un laissez-faire da parte delle autorità burundesi“.

Purtroppo non si tratta di una lacuna del governo burundese nel interrompere il traffico di esseri umani organizzato da organizzazioni criminali. Si tratta della gestione diretta del traffico da parte del regime burundese, iniziata per iniziativa del dittatore Pierre Nkurunziza e continuata e rafforzata dal Presidente Generale Neva – Ndayishimiye e dal Primo Ministro Bunyoni.

Entrambi impegnati a promuovere una facciata di aperture democratiche presentandosi alla comunità internazionale come dei riformisti che desiderano voltare pagina sulla dittatura etnica imposta dal defunto loro capo: Nkurunziza. Un marketing politico che al momento non ha ancora convinto l’Unione Europea a togliere le sanzioni economiche decise nel 2016 a seguito dei crimini contro l’umanità commessi dal regime HutuPower del CNDD-FDD di cui Nkurunziza, Ndayishimiye e Bunyoni sono i leader del partito.

Secondo un recente rapporto del OIM , il Burundi è un paese di origine per la tratta di esseri umani, dove i trafficanti sfruttano le vittime nazionali e straniere nel paese, così come i burundesi all’estero. Adulti e bambini possono essere costretti al lavoro forzato, alla servitù domestica, alla prostituzione e ad altre forme di sfruttamento sessuale, in Burundi, in tutta la regione e nel mondo.

Secondo i dati dell’OIM, dal 2017 in Burundi sono state identificate e assistite più di 1.000 vittime della tratta di esseri umani. Nel 2018 il sito di informazione burundese Iwacu pubblicò un lungo dossier dedicato a questa piaga raccogliendo diverse testimonianze che attestavano la partenza verso l’Oman e l’Arabia Saudita di centinaia di donne burundesi.

Il network gestito dalla giunta militare si estende in Uganda trasformando il vicino paese in un hub logistico di partenza delle schiave verso i Paesi del Golfo. Nel 2020 la polizia ugandese salvò 29 donne e ragazze burundesi che erano in transito per Oman e Arabia Saudita. La direzione per le indagini criminali e di intelligence ricostruì il network criminale che stava organizzando la vendita di queste 29 donne arrivando a scoprire il coinvolgimento di autorità governative burundesi. L’allora portavoce del ministero degli interni burundese: Pierre Njurikiye, affermò che il suo governo non era a conoscenza di queste attività criminali.

Da fonti fidate ugandesi si apprende che la pista che portava al governo burundese scoperta dalla polizia ugandese non fu trasmessa ai media nazionali grazie all’intervento del Presidente  Yoweri Kaguta Museveni, alleato del regime CNDD-FDD di Nkurunziza. Le stesse fonti informano della creazione di un network criminale ugandese che coinvolgerebbe uomini d’affari e politici che collaborano con la giunta militare burundese per vendere centinaia di donne agli arabi. I soci ugandesi hanno aperto almeno 6 uffici di reclutamento per coprire le attività di schiavismo.

Un’accusa forte rigettata dal governo ugandese che afferma di essere impegnato nel stroncare la tratta degli esseri umani nella regione. Sta di fatto che il monitoraggio da parte della polizia delle partenze di donne burundesi dall’Uganda è notevolmente diminuito mentre le associazioni in difesa dei diritti umani sostengono che questo traffico dal Burundi è in costante aumento in Uganda.

La giunta militare in Burundi gestirebbe il traffico tramite agenzie di collocamento per lavori nella Penisola Araba gestiti da prestanome per conto dei gerarchi del regime. Queste agenzie sono private ma è palese la collaborazione con le autorità militari e civili del regime. Le vittime preferite sono giovani ragazze provenienti dalla campagne o dai quartieri urbani più poveri e degradati. Sono facili da manipolare con la promessa di facile guadagni e onesti lavori nei Paesi arabi del Golfo. La presenza all’interno di questi uffici di collocamento di funzionari del governo e della polizia rassicura le vittime che si tratti di un servizio di reclutamento serie e controllato dal governo. Solo quando giungono a destinazione scoprono di essere state vendute come schiave.  

Alcune donne burundesi uscite da questo inferno hanno denunciato i maltrattamenti a cui sono state sottoposte. È il caso di Zuwena, una giovane burundese tornata dall’Arabia Saudita nel 2019 dove lavorava come donna delle pulizie. “Se dovessi farlo di nuovo, non me ne andrei“, ha detto al sito di notizie di Iwacu. “Ero come un prigioniero. Non mi è stato permesso di uscire. Ho ricevuto 160 euro al mese. Non ero mai stato pagato una somma simile. Ecco perché ho accettato tutti i maltrattamenti che stavo attraversando “, spiegò Zuwena.

La tratta di schiavi del regime è molto florida in Tanzania grazie alla complicità delle autorità tanzaniane, storicamente alleate del regime etnico burundese per legami politici e ideologici. Le maggiori attività si registrano nei campi profughi di Nduta, Nyarusugu e Mtendeli, nella regione tanzaniana di Kigoma al confine con il Burundi gestiti da UNHCR che ospitano attualmente 154.000 rifugiati burundesi. Dal 2017 i rifugiati burundesi ospitati nei tre campi sono vittime di arresti arbitrari, sparizioni forzate, torture e rimpatri forzati.

Queste violenze sono direttamente gestite dalla milizia paramilitare burundese Imbonerakure, dagli agenti della polizia politica del SNR con la complicità dei funzionari e poliziotti tanzaniani. Nei tre campi le Imbonerakure e la SNR gestiscono anche la tratta di esseri umani verso i Paesi arabi. Nonostante alcune proteste, fino ad ora UNHCR non è riuscita a interrompere queste violenze e crimini, compromettendo seriamente il suo mandato di protezione dei rifugiati.

Il network criminale gestito dalla giunta militare di Gitega si è espanso all’est del Congo a Goma (provincia del Nord Kivu), Bukavu e Uvira (provincia del Sud Kivu). La giunta di Gitega fa ottimi affari trafficando giovani ragazze congolesi con la falsa promessa di un lavoro onesto e ben remunerato nei paesi del Golfo con la partecipazione attiva nel colossale affare della autorità amministrative locali e ufficiali dell’esercito e polizia congolesi.

Ad Uvira il regime del Generale Neva e del Maresciallo Generale Bunyoni è attivo anche nel traffico degli organi umani di bambini. Tale traffico è stato accidentalmente scoperto il 28 giugno 2021 quando la polizia congolese ha fatto irruzione (su segnalazione anonima) all’interno di una chiesa protestante trovando una bambina di 10 anni ancora in vita a cui era stato prelevato molto sangue e i resti di un bambino di 14 anni nascosti all’interno di un sacco. Al momento dell’irruzione i gendarmi hanno arrestato quattro medici burundesi. Altri burundesi sono stati successivamente arrestati, per un totale di 20 individui. Otto congolesi sono stati arrestati al momento dell’irruzione.

Un certosino lavoro di indagine di due giornalisti congolesi del settimanale online Linterview scatenò il putiferio. L’indagine dimostrò sia il coinvolgimento delle autorità burundesi sia la complicità di quelle congolesi. I due coraggiosi giornalisti congolesi scoprirono che 5 giorni prima della macabra scoperta presso la chiesa protestate, il deputato nazionale Claude Misare, originario di Uvira, aveva avvertito il sindaco della città della presenza di un network criminale di compra vendita di organi umani transfrontaliero che stava agendo in Uvira.

Claude Misare chiese al Sindaco e ai servizi di sicurezza di controllare la città di Uvira e le frontiere otre a cercare casi sospetti e persone prive di documenti di identità. Misare affermò che la popolazione era pronta a collaborare nelle indagini, terrorizzata dalla sparizione di fin troppi bambini. Sindaco e forze dell’ordine decidono di ignorare Misare.

Il sindaco della città di Uvira, il pastore Kiza Muhato, fu costretto dalle rivelazioni dei due giornalisti, ad ammettere in una conferenza stampa l’arresto di qualche burundese sospettato di rapimento di bambini. Nonostante questa confessione Muhato non è stato perseguito dalla magistratura di Uvira. Al contrario è stato l’artefice della fuga di tutti i burundesi arrestati all’interno della chiesa durante l’irruzione della polizia. Tutti questi criminali rientrarono in Burundi senza avere delle “noie” dalla magistratura e dal “governo” burundesi.

Il traffico di esseri umani e di organi umani gestito dalla giunta militare burundese sta venendo alla luce in quanto ha assunto dimensioni talmente grandi che è difficile ignorarlo o coprirlo. Già diversi giornalisti dei Grandi Laghi hanno offerto ampie prove sul network criminale, attirando l’attenzione della comunità internazionale.

Lungi dall’interrompere il lucroso business, la giunta militare burundese sta adottando lo stratagemma di una finta collaborazione con le autorità internazionali. Una tattica di depistaggio che sembra funzionare per il momento.

Nel rapporto 2021 sulla tratta di persone pubblicato giovedì 1 luglio, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha annunciato che il Burundi ha compiuto notevoli progressi nella lotta alla tratta di esseri umani. Il rapporto 2021 indica che il Burundi è riuscito a passare dalla classificazione della watchlist di livello 3 a quella di livello 2. Il Burundi è ora uno dei paesi i cui governi hanno compiuto sforzi considerevoli per soddisfare gli standard minimi per la watchlist. , anche se non sono ancora pienamente conformi agli standard minimi. È la prima volta che il Burundi sale in questa classifica.

Nell’ultimo anno, il governo del Burundi afferma di aver notevolmente aumentato le indagini e il perseguimento dei reati di tratta, trafficanti condannati e vittime salvate e indirizzate all’assistenza. Il regime afferma anche di aver istituzionalizzato la formazione nella lotta alla tratta di esseri umani per funzionari delle forze dell’ordine, pubblici ministeri e funzionari giudiziari.

Il presunto impegno delle autorità burundesi alla lotta contro il traffico di esseri umani è supportato dal OIM, Agenzie ONU e da organizzazioni della società civile burundese. Il Dipartimento di Stato americano afferma preventivamente che nonostante questi progressi, resta ancora molto da fare per migliorare la prevenzione, la protezione e l’azione penale nel paese.

Quello che non capiscono (o non vogliono capire) la Casa Bianca, il OIM e le Agenzie ONU è che il team predisposto per lottare contro la tratta degli schiavi non è assolutamente credibile in quanto è composto da dei politici e militari già colpevoli di numerosi crimini contro l’umanità e da associazioni della società civile create dal regime stesso. La vera società civile burundese è stata decimata e costretta all’esilio. Molti dei suoi più famosi rappresentanti sono stati condannati nell’aprile del 2021 all’erogatolo per attività “sovversive” contro il Burundi.

Come si può pretendere che un governo sospettato di organizzare il traffico di esseri e organi umani, combatta seriamente contro questo fenomeno criminale che sarebbe una delle sue fonti più importanti di guadagno?

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