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Lampedusa esiste… com’è cambiata l’isola simbolo della disperazione umana

Quasi ci commuove l’idea che domani, all’inizio del Sinodo, papa Francesco abbia voluto al suo fianco una personalità come Luca Casarini, già animatore delle Tute Bianche, figura centrale del movimento alterglobalista che si affacciò sulla scena mondiale sul finire degli anni Novanta e protagonista, suo malgrado, della tragedia del G8 di Genova. Ci commuove perché sappiamo bene, conoscendo Francesco, che non lo ha invitato solo in quanto punto di riferimento di Mediterranea, l’organizzazione umanitaria che dal 2018 salva vite in mare, ma, più che mai, per la sua storia, il suo percorso limpido e il suo cammino coerente al fianco di un popolo e in nome di un’idea che ora, finalmente, ha trovato ascolto. Ci è voluto il crepuscolo della globalizzazione liberista e disumana affinché avvenisse, ma ora siamo qui, alla vigilia di un evento che potrebbe costituire, nella storia millenaria della Chiesa, un punto di svolta simile al Concilio Vaticano II indetto, a suo tempo, da Giovanni XXIII, e abbiamo il dovere di valorizzare al meglio quest’opportunità.

Ne parliamo oggi perché non dimentichiamo. Non dimentichiamo la corona di fiori gettata in mare da papa Francesco tre mesi prima della tragedia del 3 ottobre 2013. Non dimentichiamo l’impegno della sua Chiesa in favore dei poveri e degli ultimi. Non dimentichiamo il suo Giubileo straordinario dericato alla Misericordia. Non dimentichiamo la sua attenzione alle periferie del mondo, testimoniata anche dall’ultimo Concistoro in cui sono stati creati ventuno nuovi cardinali, provenienti per lo più dai luoghi del dolore e della sofferenza. Non dimentichiamo la sua predicazione del dialogo e dell’incontro in una fase storica segnata dai muri e dall’incomunicabilità elevata a virtù. E non dimentichiamo, in particolare, il suo pensiero alternativo e il suo modo di argomentare in netto contrasto con l’orrore di chi si ostina a non vedere le ingiustizie che stanno straziando il pianeta, a cominciare dall’emergenza climatica e ambientale.

Lampedusa esiste ed esisterà sempre. Esiste un prima ed esiste un dopo. Esiste una critica dell’esistente e trova in quel lembo di terra il suo simbolo più significativo. Non a caso, il 3 ottobre di dieci anni fa costituisce uno spartiacque: nella memoria pubblica e nella coscienza del Paese. E il silenzio e l’assenza delle istituzioni alle celebrazioni della strage qualificano determinati personaggi ma ne segnano anche il declino. E non è una speranza ma una certezza, dovuta al fatto che l’Italia è sì una nazione in affanno, afflitta da innumerevoli problemi e messa in ginocchio da una crisi che non è solo economica ma diremmo quasi esistenziale, ma è anche un paese in cui il cambiamento prodotto da quella mattanza segna un punto di non ritorno. Da allora, infatti, l’immigrazione si è imposta nell’agenda della politica e nel dibattito pubblico, sono sorte organizzazioni umanitarie, come per l’appunto Mediterranea, e il tema dei soccorsi in mare è diventato uno dei cardini del nostro vivere civile. E quando vediamo la popolazione dell’isola, stremata da un afflusso senza precedenti e nell’impossibilità di offrire a ciascuno supporto e accoglienza, che, nonostante tutto, continua a prendersi cura di chi sbarca, ci rendiamo conto che il cattivismo in servizio permanente effettivo può fare breccia in molti ambiti ma non in questo. Perché Lampedusa non è solo Italia ma è l’Europa come dovrebbe essere, e  sta lì a ricordarci le ragioni profonde del nostro degrado.

Oggi, a dieci anni di distanza, ci guardiamo negli occhi e ci sentiamo più poveri, più soli, incapaci di fornire una narrazione alternativa rispetto a quella becera delle destre, spaesati e travolti dai pensieri negativi. Poi riflettiamo sulla grandezza di un Papa che accoglie Casarini al Sinodo, ricongiungendo gli auspici di chi chiedeva vent’anni fa un altro mondo possibile e necessario ai disastri dell’oggi, causati dal modello di crescita e di sviluppo contro cui ci si scagliava sotto i tendoni del Carlini nell’estate del 2001, e ci rendiamo conto che creare un’alternativa non è tanto difficile: basta avere il coraggio di riflettere sui propri fallimenti, fare ammenda e andare avanti. È ciò che, purtroppo, la politica, specie a sinistra, non sa e non vuole fare, mancando così di rispetto alla collettività nel suo insieme ma più che mai, ed è l’aspetto davvero inaccettabile della vicenda, a quelle trecentosessantotto vittime, colpevoli unicamente di sognare un futuro migliore per sé e per i propri figli.

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