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La “gioventù bruciata” del Mozambico

Laura António Nhaueleque, originaria di Nampula, nord del Mozambico, ha terminato il dottorato di ricerca in Relazioni Interculturali presso l’Universita Aperta di Lisbona nel 2019. Ha pubblicato vari testi e libri, in Portogallo, Brasile, Mozambico e Italia. Attualmente e ricercatrice presso l’Universita Aperta di Lisbona e docente di Diritti Umani presso l’Universita Tecnica del Mozambico.

Come per tutti i paesi africani, anche nel Mozambico la prevalenza della popolazione giovane è evidente. Soltanto il 7% circa dei suoi abitanti ha più di 55 anni, mentre quasi la metà si trova nella fascia 0-14. Secondo dati ufficiali riferentisi al 2020, il tasso di disoccupazione si attesterebbe intorno al 17,5% (formato quasi esclusivamente da giovani), ma i dati non dicono tutto, anzi… In realtà, le cosiddette attività “informali” dominano l’economia mozambicana. Esse, infatti, danno lavoro a circa l’80% della popolazione attiva, e tale settore (che comprende diverse attività, come commercio, agricoltura, piccolo artigianato) contribuisce per circa il 40% al PIL nazionale.
Le persone, soprattutto ma non esclusivamente giovani e donne che ricorrono al settore informale per sopravvivere spesso compiono questa scelta per mancanza di altre opportunità. Un recente lavoro di terreno fatto in varie città del Mozambico, fra cui Maputo, Tete e Nampula, indica infatti che il settore informale, specialmente il commercio transfrontaliero Mozambico-Africa del Sud da parte dei Mukheiros (a sud), insieme ad attività commerciali praticate in mercati precari (nel centro e nord del paese) riescono a dare anche più del minimo necessario affinché chi lo pratica sostenga dignitosamente le proprie famiglie. Tuttavia, in quasi tutti i casi verificati, si tratta di un ripiego, di attività improvvisate i cui protagonisti preferirebbero lavori più sicuri, formali. È proprio questo il punto debole nella catena del mercato del lavoro mozambicano: oggi, più di 50 fra università e istituti superiori diffusi un po’ in tutto il paese stanno distribuendo titoli di studio accademici, che però non trovano riscontro nelle dinamiche del mercato del lavoro formale, opaco e di difficile accesso per chi non ha santi in paradiso. Non si entra nella pubblica amministrazione, o anche in imprese private di un certo peso se non si fa parte di una qualche rete: quella etnica o familiare – specialmente nel caso delle popolazioni di religione musulmana di origine asiatica, che detengono in pratica il monopolio del commercio, al minuto e all’ingrosso, in tutto il paese -, oppure, sempre di più, quella legata all’appartenenza politica al partito al potere, il Frelimo. Un recente studio di un ricercatore mozambicano, Gildo Cossa, ha dimostrato che i giovani imprenditori di successo fanno tutti parte di reti ben consolidate, e che l’affermazione individuale, basata sul talento, è praticamente impossibile.
Un simile quadro provoca frustrazioni, che spesso sboccano in atteggiamenti e pratiche violente. Al nord, per esempio, le possibilità di reclutamento di manodopera giovane o anche giovanissima da parte dei gruppi terroristi che dal 2017 stanno devastando la provincia di Cabo Delgado e, in parte, di Niassa sono praticamente infinite. Da tutto il Mozambico settentrionale giovani di etnie tradizionalmente escluse dai benefici della gestione del potere del Frelimo (Kimwani e Makhuwa), negli ultimi anni in salsa Makonde, ingrassano per pochi spiccioli le file dei cosiddetti terroristi, unendosi a una causa che risulta da un misto di rabbia, senso di esclusione e nuove appartenenze identitarie, con alla base l’islamismo radicale. Al sud, tradizionalmente controllato dal partito-stato, ultimamente si sono verificati episodi inusuali: pochi mesi fa, a Inhassoro (provincia di Inhambane) un gruppo di giovani ha manifestato contro le politiche della sudafricana Sasol e delle sue ditte satelliti (che da anni stanno estraendo gas in zona), reclamando la possibilità di essere contrattati. Oggi, infatti, la Sasol impiega quasi esclusivamente manodopera straniera o proveniente da Maputo, perché più qualificata, mentre la gioventù locale, che non ha accesso a un’istruzione tecnica adeguata, resta inesorabilmente esclusa dal mercato formale del lavoro. La polizia mozambicana non ha fatto che disperdere i manifestanti, mentre le autorità politiche si sono disinteressate dei motivi di quella manifestazione, peraltro pacifica. Pochi giorni fa è stata la volta di Xinavane, nei pressi di Manhiça, cittadina a un’ottantina di chilometri a nord di Maputo, in cui la fabbrica di zucchero della Tongaat Hulett, di capitale in prevalenza sudafricano, ha visto una manifestazione di lavoratori precari e con salari da fame, che si sono ribellati alle loro condizioni di impiego, definite come miserabili. Anche in questo caso, dopo che la polizia ha proceduto all’arresto di una ventina dei manifestanti, la situazione è degenerata, con la popolazione locale scesa in piazza a manifestare in favore dei reclusi, devastando alcune infrastrutture pubbliche e private, in segno di rabbia e protesta. Risultato, questo, di anni di sofferenza e sfruttamento, e di un sindacato nelle mani del partito-stato, incapace di interfacciarsi con quella che dovrebbe costituire la propria base, ossia i lavoratori.
È in questo quadro complesso che si “brucia” la gioventù mozambicana, senza un apparente sbocco professionale, senza prospettive esistenziali individuali e familiari, senza istituzioni intermedie che possano mediare le richieste di questa parte della popolazione. Nel frattempo, anche nei bacini elettorali monopolizzati dal Frelimo, nel sud del Mozambico, la risposta usuale alle manifestazioni dei giovani lavoratori è la repressione, configurando uno stato sempre più autoritario e sempre meno disposto al dialogo.

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