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La dipendenza dalla droga in Afghanistan

La dipendenza dalle droghe in Afghanistan ha una lunga storia, la coltivazione del papavero ed il traffico della droga è un argomento caldo e questo paese è sotto la lente d’ingrandimento da molti decenni. La discussione riguarda il motivo per il quale una grande percentuale di giovani, anche giovani con un’elevata scolarizzazione, sia diventato dipendente dalle droghe. Ecco che sta esplodendo letteralmente il consumo di droghe sintetiche, come la metamfetamina, più a buon mercato dell’eroina.
Guerra, emigrazione, disoccupazione, mancanza di libertà fondamentali…tutti argomenti strettamente legati al nome Afghanistan!” ci dice il professor Rafiullah Rasooli, docente di Discipline pittoriche all’Università di Herat. “La guerra è una delle grandi sciagure che ha fagocitato questo paese, causando il collasso dell’ordine sociale e non vi è dubbio che la guerra abbia prodotto enormi benefici per coloro che l’hanno guidata, uno dei quali è stata proprio il controllo dei territori coltivati a papavero, la cui coltivazione in molte provincie ha provocato una dipendenza sempre maggiore e, di conseguenza, il fatto che molti giovani si siano uniti all’armata nera.”.

“Normalmente si ritiene che l’unica strada da percorrere per riportare ad una vita normale una persona dipendente dalle droghe sia avere il supporto della famiglia, che sostenga la disintossicazione, che cooperi affinchè il drogato non sia lasciato al suo destino, in strutture dedicate…ma non è possibile nel nostro paese, anzi la prima conseguenza è essere completamente ripudiati e allontanati dalla propria famiglia, perché la dipendenza è considerata un disonore, una disgrazia per la famiglia. Un drogato è considerato alla stregua di un criminale, nonostante sia solo una vittima del sistema. Naturalmente è un serpente che si morde la coda…la disperazione per essere trattato come un reietto, rinnegato anche dalla propria famiglia, spinge a cercare conforto nei propri simili. Si creano dei veri e propri ghetti di disperati ancora più disperati. Un capitolo a parte riguarda le donne sposate con uomini dipendenti dalle droghe, che sono in una situazione, se possibile, ancora più triste. Decidere di divorziare in Afghanistan non è così scontato. Le donne non hanno un’indipendenza tale che possa consentire loro di separarsi, quindi restano congelate in matrimoni allucinanti, solo perché non hanno possibilità di andare altrove. La cultura tradizionale prevede che sia l’uomo a provvedere ai bisogni familiari, ma l’alto tasso di disoccupazione sta minando alla base ogni certezza. La disperazione dovuta al fatto di non poter sfamare la propria famiglia rende gli uomini sempre più fragili, schiacciati dal ruolo che gli compete. Chi può, prova a trasferirsi nei paesi vicini, in Iran o in Pakistan, attraverso le pericolose strade dei contrabbandieri, accettando condizioni di lavoro molto dure pur di sfamare le proprie famiglie. In un paese allo stremo, ecco che la fuga nelle droghe è il rifugio più a buon mercato e il commercio del papavero da oppio la coltivazione più remunerativa.”
Per anni l’Afghanistan è stato il principale fornitore mondiale di oppio, addirittura nel 2022 avrebbe prodotto l’80% della fornitura globale della droga.

Secondo un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato a fine novembre 2023, la coltivazione del papavero da oppio in Afghanistan sarebbe crollata del 95%, da quando i Talebani l’hanno proibita nell’aprile del 2022 (fonte: AGI). L’ufficio Onu per la droga e la criminalità (Unodc) ha dichiarato che nell’ultimo anno si è passati da 233.000 ettari coltivati ad oppio a circa 10.800, quindi dalle 6.200 alle 333 tonnellate prodotte. Di conseguenza, sarebbe crollata anche la produzione di eroina, passata dalle 350-580 tonnellate del 2022 alle 24-38 tonnellate dell’anno appena concluso. Tranne che nella provincia di Kandahar, roccaforte dei talebani, che detiene il 33% dell’intera produzione, in 24 dei 44 distretti afghani la coltivazione del papavero è stata addirittura eliminata. Di per sé potrebbe essere una buona notizia, se contemporaneamente questo crollo nella produzione del papavero non avesse scatenato una crisi economica ancora più grave, in un paese già afflitto da una grave crisi alimentare.

Il tentativo di riconvertire le colture a cotone, a grano, anziché a papavero, si sta rivelando molto complesso, anche a causa della siccità che affligge il paese per il terzo anno consecutivo. Anche le colture tradizionali, come melograni, mandorle e pistacchi, richiedono molti anni per essere redditizie, oltre che investimenti notevoli. Per questo molti contadini stanno affrontando una crisi economica molto importante. Per molti il papavero ha rappresentato sopravvivenza, l’ultima risorsa per sfamarsi.
Un paese di millenaria cultura meriterebbe un futuro diverso.

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