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Kenya 2022: Un Esempio di Maturità Democratica in Africa

Le settimane che precedono le elezioni presidenziali sono sempre un periodo di grande fermento per le Organizzazioni Internazionali. Nel 2022, ero a Nairobi in qualità di Senior Staff Counsellor per l’UNHCR e collaboravo con il dipartimento di sicurezza per preparare lo staff in vista delle elezioni del 9 agosto. Organizzavamo esercitazioni di evacuazione degli edifici, simili a quelle antincendio, ma includevamo anche simulazioni di uno stato di “assedio”, durante il quale le porte blindate si chiudevano lentamente per proteggerci da possibili attacchi esterni. La tensione era tangibile e cresceva di giorno in giorno. Il Kenya è una democrazia relativamente stabile, tuttavia gli effetti delle elezioni in molti stati africani sono ben noti. Il copione è spesso simile: un candidato vince, talvolta di stretta misura, il perdente non accetta il risultato e denuncia le elezioni come nulle, invocando brogli o ingerenze estere (anche se talvolta ciò può essere vero, è diventato una reazione quasi automatica per i politici). Quindi, si incita la popolazione a scendere in strada per rivendicare il “giusto” risultato, le città si incendiano e i morti si accumulano. Dopo un certo periodo, i due leader raggiungono un accordo e il ciclo ricomincia. Recentemente, abbiamo assistito a una simile corruzione del processo democratico anche negli Stati Uniti.

Ho vissuto un esempio concreto di questa dinamica in Costa d’Avorio, dove la rivalità tra Laurent Gbagbo e Alassane Ouattara ha devastato un paese che un tempo garantiva stabilità e prestigio alla regione. Un conflitto mi ha costretto a rimanere barricato in ufficio per settimane, sopravvivendo con le razioni k pakistane e osservando i cecchini che ci prendevano di mira dagli edifici vicini.

Abidjan, un tempo soprannominata la “Parigi dell’Africa” per la sua ricchezza culturale e il suo ruolo stabilizzatrice nella regione, ha visto il suo progresso arrestarsi brutalmente dal processo elettorale del 2010, che ha scatenato una guerra civile le cui ferite sono ancora aperte. Come da regola non scritta, gli artefici di quel conflitto hanno ora formato nuove alleanze per tornare al potere.

Una situazione simile si era verificata in Kenya nel 2007, dove le elezioni avevano provocato 1200 morti, saccheggi e distruzioni, in particolare nelle aree di Mombasa, Eldoret, Kericho, Kisumu e Nakuru, con attacchi prevalentemente diretti contro l’etnia Kikuyu. Le baraccopoli di Nairobi sono state teatro di alcune delle peggiori violenze, alcune di natura etnica, altre espressioni di indignazione per l’estrema povertà, e altre ancora fomentate da bande criminali. Solo con l’adozione del National Accord and Reconciliation Act nel 2008, le divisioni etniche e politiche hanno iniziato a stemperarsi, grazie alla formazione di un governo di coalizione.

Di fronte alle elezioni del 2022, non era irragionevole aspettarsi una reazione simile, sebbene forse con un eccesso di afro-pessimismo. Molti colleghi avevano scelto di portare le loro famiglie in vacanza fuori dal Kenya, in coincidenza esatta con il periodo elettorale.

Nonostante ciò, dopo 15 anni di esperienze nei paesi dell’Africa subsahariana, quando ormai sono convinto di averne capito i palpiti e gli umori, la vivacità delle società proteiformi presenti nel continente riesce ancora piacevolmente a sorprendermi.

Le elezioni presidenziali del 9 agosto 2022 in Kenya sono state un ottimo esempio di democrazia funzionante, con un processo elettorale pacifico e trasparente

William Ruto, del partito UDA (United Democratic Alliance), ha vinto con il 50.5% dei voti. Come da copione, il suo avversario politico, Raila Odinga del partito Azimio la Umoja, con il 48.85% dei voti, ha contestato il risultato. Questo ha generato agitazioni tra la popolazione, specialmente considerando che la commissione elettorale si è divisa sull’esito: quattro commissari hanno contestato il risultato, mentre il presidente e altri due lo hanno sostenuto. Sono rimasto sorpreso quando ho assistito all’annuncio della vicepresidente della Commissione elettorale, Juliana Cherera, rilasciare un’intervista ufficiale dal Serena Hotel nel centro di Nairobi, un luogo sicuramente non istituzionale. Si era rifugiata nell’hotel assieme ad altri tre commissari per dichiarare che non supportava la decisione finale, dichiarando i risultati “opachi”. Mi aspettavo il peggio.

Tutavia, è stato Odinga a invitare alla calma, scegliendo di percorrere la via legale. Il 22 agosto, il suo partito ha presentato un ricorso alla Corte Suprema del Kenya, contestando il risultato annunciato da Wafula Chebukati, presidente della Independent Electoral and BoundariesCommission. Sia la richiesta, che il comportamento contenuto della società kenyota sono state due piacevoli novità nella mia personale esperienza. Il 5 settembre, la Corte Suprema ha rigettato il ricorso, confermando la vittoria di Ruto, una decisione rispettata da Odinga, che tuttavia si considera ancora il legittimo vincitore. Questo atteggiamento onorevole da parte del rappresentante del gruppo etnico Luo è degno di nota, specialmente considerando che questo era il suo quinto tentativo di diventare presidente del Kenya.

Penso sia importante ricordare che in Kenya vi sono 42 gruppi etnici differenti, ma dei cinque presidenti del Kenya, tre sono stati Kikuyu e due Kalenjin, due delle comunità più grandi del Paese sebbene la varietà etnica nazionale non veda un gruppo dominante per numerosità. L’appartenenza etnica è stata spesso politicizzata e legata allo status sociale, e la presenza di soli due gruppi al potere per 59 anni ha creato tensioni e sensazioni di ingiustizia.

“L’etnia non è fissa o primordiale ma malleabile. Gli individui sono membri di grandi gruppi etnici, sottoinsiemi di essi e clan che diventano politicamente rilevanti in momenti diversi, in contesti diversi, spesso a causa delle loro dimensioni. In Kenya, il colonialismo ha unito la geografia all’etnicità e ne ha consolidato l’importanza.”

E’ notevole riuscire ad adottare uno spirito democratico in un contesto di sfida rappresentato da una molteplicità di gruppi etnici, da un passato coloniale e un presente neo-coloniale, da un’ingerenza neoliberista molto forte, in un paese che è un hub essenziale per molte risorse utilizzate in Occidente.

Vi sono nazioni africane che sono spesso citate come esempio di democrazia funzionante: Mauritius, Botswana, Capo Verde, Namibia, Senegal, Ghana. Sono sollevato nel vedere che la lista si allunga progressivamente e che il Kenya si stia aggiungendo a quell’elenco.

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