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Johny Hycinte Ngbwa, l’arte come connettore tra ambiente e integrazione

Classe 1995, Johny Ngbwa è un incisore amante dell’arte fin dalla tenera età e oggi vanta una formazione multidisciplinare.Il suo percorso si muove tra l’istituto artistico di Forlì prima e gli studi universitari a Urbino poi. Da un lato la xilografia, che rimanda al tradizionale uso del legno nel suo Paese di origine, il Camerun, e dall’altro l’ambiente come costante dei suoi lavori per invitare a riflessioni importanti sulle realtà che ci circondando, delle quali ne siamo parte e con le quali ci relazioniamo ogni giorno.
Cartografie affettivea cura di Silvia Bellotti. è la prima personale italiana del giovane artista ospitata a Firenze alla Fondazione il Bisonte. Noi di Focus on Africa abbiamo conosciuto Jonhy in occasione della sua mostra nella città rinascimentale per eccellenza e con lui abbiamo parlato del suo lavoro, dei suoi studi e dell’impegno in nome di un racconto dell’arte africana meno stereotipato e più fedele alle proprie origini.

Da dove nasce la tua passione per l’arte?
“Fin da piccolo avevo già chiaro in mente cosa volevo fare. Findalle scuole elementari sapevo che il campo artistico sarebbe stato il mio percorso. Non ero certo se scegliere architettura o restauro,  designer o altro ancora, ma ero certo che sarei rimasto in questo mondo. Da bambino ho passato molto tempo in Camerun con uno zio che faceva il falegname. Già allora rimasi affascinato dai suoi lavori e dal vedere i suoi disegni trasformarsi in mobili che potevo toccare con le mie mani. Ho amato e apprezzato il disegno e a scuola ricordo che spesso si rivolgevano a me con frasi come “ Sei un alunno selettivo”. Sceglievo con cura gli oggetti, le inclinazioni, gli stili e a notarlo erano anche le persone attorno a me.  Sapevo verso dove dovevo andare e pian piano l’arte è diventata un motivo di vita. Questo l’ho compreso dopo, grazie all’incontro con i docenti e con altri artisti e con il raggiungimento di una maturità personale che un bambino di nove anni non può certo avere.  Con la scelta dell’artistico mi innamorai del campo del restauro, che leggevo come un invito a fare un salto nel passato mantenendo la cura e un’attenta dedizione per i dettagli. Una volta ottenuta la maturità, ho presentato domanda per continuare con gli studi universitari in Francia, e dopo mille peripezie, ho fatto richiesta anche in Italia, a Urbino. Qui ho poi deciso di studiare.
Quali le tecniche che oggi utilizzi maggiormente?
“Il mio percorso artistico si muove principalmente attorno alla xilografia, che ho imparato in Italia ma che ricollego al Camerun. E ti spiego il perché.  Utilizzo molto il legno, materiale che usiamo tantissimo nel mio Paese di origine e che oggi tra lavoro e passione per quel che faccio è diventato nella mia arte un potenziale connettore tra Camerun e Italia. È come se avessi ricreato un equilibrio tra i due Paesi e la mia storia. Ricordo benissimo del mio bisnonno materno e del suo impegno a costruire tanti strumenti musicali in legno. Da questi ricordi e da viaggi introspettivi oltre confine, ho riportato alla luce rapporti speciali e dato vita alla mia figura di artista.

Mi sembra di intuire messaggi importanti e molto intimi che vuoi condividere.
“Assolutamente. Moltevolte ho pensato che l’arte potesse essere uno strumento anche per denunciare le difficoltà che persone con un background migratoriocome il mio vivono ogni giorno. Eppure poi ho capito che avrei avuto altri modi per denunciare queste problematiche e che tanti altri artisti parlano già di questi disagi e delle ingiustizie che tanti cittadini stranieri sono costretti ancora a vivere nel nostro Paese. Rispetto a questi temi non sono certoindifferente e ho scelto di muovermi con delle letture o con dei piccoli miei scritti, ma l’arte doveva restarne fuori in qualche modo. Ho quindi deciso che più che parlare del tema delle difficoltà degli stranieri in Italia, una tematica poco affrontata è quella delle conseguenze a livello socio-culturale causate dal colonialismo in Africa.  Del resto è facile vedere le conseguenze che ci sono sotto il profilo politico-economico, meno facile soffermarsi sull’impatto che determinate azioni hanno avuto e tutt’ora hanno da un punto di vista mentale e culturale. Siamo stati per decenni obbligati a non parlare la nostra lingua, a perdere la nostra identità e a confrontarci con degli ideali di “perfezione” sempre troppo lontani da noi. La mia arte racconta l’ambiente inteso in senso lato e come un legame speciale di armonia tra uomo e natura, come spazio nel quale viviamo e del quale siamo protagonisti. Un ambiente nel quale costruiamo la nostra identità, che ci disegna e con il quale scendiamo in intime confidenze, interagendoci liberamente e vivendolo.
Cartografie Affettive è la tua prima mostra in Italia. Ce ne vuoi parlare?
“Cartografie Affettivenasce dopo la mia partecipazione a tanti concorsi e collettivi a livello nazionale e a seguito di mostre all’estero come a esempio quella in Canada a  luglio scorso. Questa mostra è stata possibile grazie all’opportunità che la Galleria d’Arte della Fondazione Il Bisonte di Firenzemi ha concesso, offrendomi la residenza per tenere dei seminari di xilografia. Considerata la mia grande passione anche per l’insegnamento, ho accettato con grande entusiasmo e poi ecco anche la proposta di ospitare la mia mostra e i miei lavori.  Cartografie Affettive nasce come resoconto di questi mesi ed è una personale rappresentazione delle mappe del paesaggiomarchigiano e fiorentino viste dall’alto. Queste mappe sono simbolo del mio desiderio di raccontare i luoghi in cui mi sono trovato bene qui a Firenze, di mostrare gli spazi a cui mi sono affezionato e che sono diventati occasioni di riflessione importanti per me. Ho costruito ricordi, creato legami e l’obiettivo di questa mostra è narrare la mia interpretazione dei paesaggi e dell’ambiente che ho vissuto”.
Hai in mente di organizzare eventi anche in Camerun?
”Da qui alla fine dell’anno conto ancora nella partecipazione a un progetto della Biennale di incisione a Campobasso. In vista del 2023 stiamo già organizzando una serie di eventi tra cui altre mostre in Italia, all’estero in Europa ma anche in Camerun. La mia idea è quella di portare un approccio esperienziale con una residenza degli artisti che possa permettere di studiare ancora meglio anche a me direttamente. Del resto, io ho una formazione de tutto italiana artisticamente parlando e se da un lato vorrei portare quello che ho imparato qui in Italia in Camerun, dall’altro mi piacerebbe anche prendere dal Camerun nuove conoscenze, mescolarle con quelle che già ho e portarle qui in Italia”.
Credi che il modo di concepire l’arte tra Camerun e Italia sia totalmente diverso?
“L‘Africa è un continente artistico e lo è sempre stato, ma anche qui il colonialismo ha giocato la sua parte e ridotto tantissimo il concetto di arte e di storia. Ho fatto delle ricerche su questi temi per la mia tesi di laurea e mi sono reso sempre più conto di quanto ci sia una lettura superficiale promossa da tanti artisti occidentali nei confronti dell’arte africana. Quando ho deciso di compiere queste ricerche ero consapevole di guardare l’arte del mio Paese con lo sguardo di un giovane con origini camerunensi cresciuto in Italia. Il problema è che ancora troppo spesso oggi si parli di “Africa” come di un grande Paese e soprattutto, ancora di più, è terribile che si utilizzi un approccio del tutto occidentale per parlare di realtà che occidentali non sono. Sono ancora troppi i termini generalisti e razzisti utilizzati nel rivolgersi all’arte africana, alle tradizioni del continente e alla sua ricchezza. Quale l’utilità dell’arte africana? Principalmente educativa. A quale scopo un oggetto piuttosto che un altro? Anche qui dovremmo imparare a contestualizzare quello di cui parliamo. Lo stesso oggetto o la stessa tecnica può avere mille significati differenti se presa in esame in altrettanti diversi contesti”.

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