Con intimo dolore e grande tristezza condivido il ricordo di Focus on Africa che annuncia la scomparsa di Silvestro Montanaro, giornalista dalla schiena dritta, impegnato a illuminare le periferie devastate dalla nostra globalizzazione senza solidarietà e che fa pagare ai più poveri il prezzo drammatico delle nostre scelte economiche e geopolitiche. Silvestro era un giornalista in presa diretta sulle realtà scomoda che i media mainstream si rifiutano di raccontare o raccontano con stereotipi e cliché superficiali. Ha viaggiato e raccontato il continente africano negli anni drammatici del genocidio ruandese, delle guerre in Sudan, del genocidio del Darfur; ha svelato e denunciato le piaghe dell’uso dei bambini soldato, degli stupri etnici come arma di guerra; ma soprattutto ha denunciato gli interessi economici colossali che si nascondevano dietro le guerre cosiddette etniche in Angola, in Sierra Leone e in Liberia. Quelle immagini, quei volti, quelle sofferenze sugli schermi della TV pubblica rimarranno come pietre d’ inciampo a ricordare il prezzo fatto pagare ai popoli dai nostri modelli di consumo e di produzione.
Durante la stagione delle mobilitazione per un mondo alternativo alla globalizzazione turbo, ci siamo ritrovati spesso con Silvestro a fare conferenze sull’Africa, il neocolonialismo, le dittature, le società civili africane in marcia, le colpe delle multinazionali del petrolio, dei diamanti e del coltan. I momenti più belli di quelle conferenze erano le cene che seguivano, con Sisvestro che, formidabile ed instancabile narratore, ci nutriva dei suoi racconti di viaggio e dei suoi incontri. Guerre, sfruttarnento, fame ma anche africani coraggiosi ed eroici che osavano convocare la speranza in Africa. È il caso del suo strepitoso racconto della stagione Thomas Sankara in Burkina Faso.
Negli ultimi anni della mia carriera in in RAI, in un momento difficile del mio rapporto con l’azienda pubblica, Silvestro mi accolse nella redazione della trasmissione « C’era una volta ». Ho visto e ho assistito in prima persona al suo laboratorio televisivo, quell’artigianato delle immagini e delle parole che giungevano diretti e immediati al telespettatore come un pugno in faccia per scuotere le coscienze, suscitare consapevolezza e spingere all’azione. Lo chiamavo “mwalimu” (maestro in swahili) e lui, con quel suo sorriso dolce è furbo, rispondeva: tu sei maestro. Stima e amicizia che non sono mai venute meno anche quando non eravamo d’accordo su alcune puntate. Ho imparato molto dal tuo modo di concepire il ruolo di giornalista del servizio pubblica.
L’ultima volta che abbiamo parlato insieme, abbiamo discusso della stagione che sta vivendo il nostro paese con la negazione dei diritti degli ultimi; sull’eclisse dell’Africa dai radar del servizio pubblica, della speranza da ricostruire partendo dai fatti anche lontani e dagli ultimi, dai “naufraghi dello sviluppo” per un mondo dove l’ecologia ambientale si coniuga e si accompagna con l’ecologia sociale fatta di giustizia e solidarietà.
Addio “mwalimu”. Che gli Antenati di quell’Africa che hai tanto amato ti aiutino ad attraversare con serenità il fiume della Pace eterna !