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I legami nascosti tra genere, razza e classe nella comprensione dei processi migratori

Studi e ricerche sui rifugiati hanno messo in luce da tempo come i sistemi di welfare dei paesi di arrivo  tentino, a volte inconsapevolmente, di ridurre rifugiati e richiedenti asilo in soggetti dipendenti e poveri, senza una propria idea di emancipazione, di giustizia e di libertà. Quello che invece merita ancora di essere indagato con profondità, è la declinazione di genere, sesso e “razza” dei processi migratori. Il contributo dei femminismi postcoloniali e afroamericani può aprire strade inedite per riconoscere e recidere le diverse radici del razzismo.Parola di Nancy Fraser (ndr nella foto con l’autrice dell’articolo).
Sin dai loro esordi, gli studi sull’asilo politico hanno riflettuto sul ruolo di controllo esercitato da enti umanitari e dalle politiche di protezione affiancando tale postura alla critica conferita ai regimi di sorveglianza e dei confini direttamente agiti. Su un altro versante, i modi con cui la sessualità entra nei sistemi di controllo dello Stato verso l’intera popolazione hanno interessato la ricerca; in particolare quella che, con una posizione femminista, ha guardato a questi sistemi mettendo al centro la prospettiva intersezionale, ovvero le connessioni strette fra genere, tecnologie della “razza” e della classe sociale. Tuttavia, il legame tra politiche umanitarie, funzioni di controllo, razzializzazione delle politiche e sessuazione dei corpi, e più concretamente come i sistemi di regolazione della mobilità umana siano iscritti sulle linee del colore della pelle, della sessualità e della classe sociale, rimangono, in particolare nel campo dell’asilo politico, ancora sullo sfondo.
Così, se la ricerca sui rifugiati ha messo in luce come i sistemi di welfare dei paesi di arrivo abbiano costantemente tentato di trasformare rifugiati e richiedenti asilo in soggetti dipendenti e poveri, privandoli di una propria idea di emancipazione, giustizia e libertà, la declinazione di genere, sesso e “razza” di tali processi di impoverimento, dipendenza e deprivazione di un sé etico ha ricevuto meno attenzione.
Questa sottovalutazione ha nel tempo reso sempre più vulnerabile il soggetto di diritto e non è stata priva di finalità, se si pensa ai tentativi di giustificazione e facilitazione di respingimenti, deportazioni, esclusione.
La forma plastica di questi processi si ha lungo tutti i confini d’Europa, così come nelle vaste aree urbane dell’intero Nord del globo. Sul fronte del genere, il ruolo, per esempio, di “eccezione umanitaria” assegnato alle donne nelle politiche di salvataggio al confine marittimo si estende anche alle linee di salvezza morale cui devono rispondere successivamente. Per esempio, nel dover rispettare i codici morali della vittima sofferente da emancipare al fine di essere considerate senza ragionevole dubbio come soggetti ammissibili alla protezione e alla comunità morale. Insomma, il ruolo della sessualità nei sistemi di regolazione delle migrazioni e la codificazione morale etnico-razziale dei corpi e molto utile a comprendere cosa realmente “filtrano i confini (e quali corpi sono considerati degni di una vita sociale e politica), visto che anche criteri di eccezionalità umanitaria e compassione si sono riconfigurate alla luce di rafforzamenti di norme nazionaliste e razziali.
Che il genere inteso nella sua accezione intersezionale (ovvero, solo un’analisi congiunta degli assi di oppressione legati a genere, sesso, “razza”, classe può mostrarne la potenza) possa essere una prospettiva radicale per lo studio delle forme del potere non è argomento nuovo alla letteratura, alle battaglie politiche e ai movimenti di protesta per il riconoscimento di collettività rese marginali dalla storia (per esempio, dalla schiavitù e dalla segregazione razziale-sessuale). Non è inedita altresì la configurazione del margine come luogo di resistenze e di lotte, come ben insegna il femminismo afroamericano.
Ospite a Roma a Villa Mirafiori, sede della Facoltà di Filosofia della Sapienza, per la sua lectio magistralis sui legami nascosti tra genere, razza e classe, la filosofa femminista statunitense Nancy Fraser, docente alla New School for Social Research a New York ed esperta di filosofia politica ed etica normativa, afferma: È in quest’ottica che forse tenere uno sguardo sul futuro riprendendo lotte e riflessioni di chi dai margini si è riappropriato della storia può costituire un buon punto per leggere il nostro  presente. Guardando alle scene politiche attuali, la prospettiva abolizionista, in particolare nella sua declinazione femminista, e le istanze portate avanti dai femminismi postcoloniali e afroamericani ci appaiono fornire chiavi analitiche per interpretare il governo delle popolazioni (in particolare, qui riferito allemobilità umane) centrato sulle intersezioni tra “razza”, classe e genere, e per investigare la configurazione nel presente di dinamiche storiche e strutturali di razzializzazione. La prospettiva abolizionista femminista e le istanze avanzate dal femminismo nero dagli anni Settanta possono costituire un metodo e una prassi nella ricerca quanto, in senso più ampio, nella critica sociale dei processi di criminalizzazione e razzializzazione di soggetti e popolazioni, come rifugiati e migranti. Mettere in discussione i meccanismi di subordinazione non può che passare da un’analisi dei processi di gerarchia, esproprio ed esclusione che si fanno corpo in una vulnerabilità gerarchicamente distribuita che per alcuni gruppi umani e sociali comporta anche una morte certa e prematura”.  
Queste prospettive mettono al centro del dibattito i movimenti anti-razzisti. Riarticolando queste visioni nel campo delle migrazioni, si fa strada l’idea di abolizione dei confini come metodo di analisi critica centrata sui processi di razzializzazione enella categorizzazione di alcuni soggetti come “migranti”. Tale approccio permette altresì di assumere le lotte di migranti e rifugiati come lente analitica dinanzi ai molteplici meccanismi di confinamento, la loro funzione di filtro e di costruzioni gerarchiche iscritte sulle differenze di genere, corpo, “razza”, classe.
Nancy Fraser è nota principalmente per il suo lavoro sulle concezioni filosofiche di giustizia e ingiustizia sociale: sostiene che la giustizia può essere intesa in due modi separati ma interconnessi, quella distributiva (in termini di una più equa distribuzione globale delle risorse) e quella del riconoscimento (l’ uguale riconoscimento di diverse identità o gruppi all’interno di una società). Esistono due forme corrispondenti di ingiustizia: la maldistribuzione e il misconoscimento.
Da alcuni anni, il lavoro di Fraser si è incentrato sul collegamento tra politica dell’ identità con il crescente divario tra ricchi e poveri, in particolare per quanto riguarda il femminismo liberale, che Fraser definisce l’ “ancella (handmaiden) del capitalismo.
Continua la Fraser: Queste riflessioni rinforzano l’idea che siano proprio coloro che si presentano sulla scena geopoliticamondiale infrangendo sicurezze, superando le differenze del colore della pelle, del genere e della classe a offrire posizioni radicali per esplorare i poteri dello Stato, della subordinazione e della distribuzione gerarchica dei diritti e delle risorse. Va da , pertanto, che discutere di rifugiati e migranti significa mettersi in una prospettiva vantaggiosa per lo studio del governo della popolazione mondiale nel suo insieme, dei modi con cui gerarchie sociali legate a razzismo, sessismo, impoverimento economico e dipendenza dalle strutture governative, codici morali e altro ancora costruiscono discrimen di non/ammissione al di là di un erto confine geografico.  Questa prospettiva sostiene la centralità della valenza politica dei corpi e delle biografie di chi ha fatto esperienza di regimi coloniali, segregazione razziale, sessismo, razzismo, migrazioni e sradicamenti, per rileggere la storia sociale nel suo insieme, con la sua sfera politica e le sue logiche escludenti, e per riscrivere insieme nuove grammatiche di relazioni sociali e progettare comuni rivendicazioni di diritti civili e umani.

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