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Etiopia, questioni pertinenti sulla guerra in Tigray

Siamo al secondo Natale in guerra per i 115 milioni di etiopi. La guerra civile, iniziata il 3 novembre 2020, si è immediatamente trasformata in un piano di sterminio di 7 milioni di cittadini nel Tigray e nella pulizia etnica tesa a imporre sottomissione ad altri 40 milioni in Oromia.
Dopo l’offensiva militare condotta dall’esercito eritreo con decine di droni da combattimento, giovedì, il governo di Addis Ababa avrebbe ordinato di interrompere l’offensiva in Tigray e di rimanere di guardia nelle arre recentemente riconquistate in Afar e Amhara. Si afferma la prima fase della guerra contro il TPLF e OLA terminata dopo aver costretto le forze democratiche di ritirarsi dalle regioni Amhara e Afar. In realtà il cessate il fuoco è stato subito dalla dirigenza nazionalista Amhara a seguito della decisione presa unilateralmente dal dittatore eritreo di non continuare la seconda invasione del Tigray.
Sia il Premier etiope che la dirigenza Amhara non sono stati particolarmente motivati a celebrare la vittoria ottenuta sul campo, essendo essa troppo al di sotto delle loro aspettative iniziali. Le forze democratiche non sono state annientate e tutt’ora rappresentano una seria minaccia anche se momentaneamente ridimensionata.

Contemporaneamente a questa mezza vittoria, il regime ha annunciato il lancio del dialogo nazionale. Una iniziativa calata dall’alto dal Prosperity Party tesa a promuovere il dialogo e la riconciliazione nazionale per poter gestire al meglio il periodo post bellico. A parte che la guerra, purtroppo, è ben lontana dalla sua fine, questo dialogo nazionale è in realtà una commedia orchestrata dal regime per offrire all’opinione pubblica straniera la falsa immagine di tolleranza, maturità politica e desiderio di pace. Il dialogo nazionale promosso dal Premier Abiy è una messinscena destinata a rafforzare il predominio Amhara sul paese.  I partecipanti al dialogo sono stati scelti dal regime. Ovviamente i principali attori della guerra civile, TPLF e OLA, sono esclusi in quanto organizzazioni “terroristiche”, come le chiama il regime genocidario.

Fino ad ora si è dato molto spazio ai militanti dei diritti umani, giornalisti, blogger che hanno fedelmente riportato gli avvenimenti bellici, i retroscena politici, le alleanza internazionali, i crimini di guerra. Anche il regime con la sua retorica propaganda pan africanista ha trovato spazio tra i media stranieri. Solo la voce del TPLF è stata trascurata.

Focus on Africa vi propone la traduzione di un intervento del Generale Tsadkan Gebretensae ed Capo di Stato Maggiore dell’esercito federale ENDF, attuale membro del Comando Centrale del Tigray, pubblicato sulla piattaforma di informazione africana The Elephant, fondato nel 2016 come piattaforma online per il dialogo e la ricerca della verità. The Elephant è dedicato alla costruzione di una narrazione di un’identità nazionale robusta, generativa e diversificata intrisa dell’esperienza africana consapevole che occorre “dire la verità al potere”.  Un punto di vista certamente di parte ma molto interessante per comprendere le ragioni della lotta del popolo del Tigray e gli eventuali spiragli di pace.

Pertinent Issues on the War in Tigray  

pubblicato il 26/12/2021 su The Elephant .

La guerra etio-eritrea contro il popolo del Tigray è entrata in una nuova fase, a seguito della decisione del governo dello Stato nazionale regionale del Tigray di ridispiegare le sue forze ai confini del Tigray, annunciata dalla dirigenza il 19 dicembre. Per il popolo del Tigray, è fondamentalmente una guerra per la sopravvivenza. La guerra in Etiopia è, in primo luogo, focalizzata a salvare il popolo del Tigray da un assalto genocida che include la fame forzata e, in secondo luogo, di stabilire un governo onnicomprensivo per l’Etiopia nel suo insieme.

Non c’è alcuna intenzione di installare un governo ad Addis Abeba guidato dal Fronte di Liberazione Popolare del Tigray (TPLF). Vogliamo invece che il popolo del Tigray si governi da solo all’interno di un sistema federale multinazionale.

Undici mesi fa, dopo il primo round di combattimenti in cui il popolo del Tigray stava affrontando una campagna coordinata di distruzione da parte dei governi di Etiopia ed Eritrea, la leadership del Tigray, compreso il TPLF e altri, si è riunita per decidere come rispondere. Il Comando Centrale è stato istituito per servire come il più alto organo decisionale per quanto riguarda lo sforzo bellico. Il comando centrale sotto il governo regionale del Tigray sta guidando l’intero sforzo bellico, comprese le attività delle TDF, forze di difesa del Tigray.

Sono un membro del Comando centrale, ma le opinioni che esprimo qui sono le mie opinioni personali e non dovrebbero riflettere le opinioni del governo del Tigray e del Comando centrale.

A giugno, dopo che le nostre forze hanno liberato gran parte del Tigray, il Comando centrale ha presentato una proposta in otto punti per avviare colloqui con il governo federale del primo ministro Abiy Ahmed, che speravamo avrebbe portato a un cessate il fuoco e a una soluzione pacifica. Abiy non ha risposto a quelle proposte e ha continuamente respinto gli sforzi degli interlocutori internazionali.

Si è rifiutato di soddisfare la nostra precondizione non negoziabile che consiste nel porre fine al crimine di guerra della fame consentendo aiuti umanitari e ripristinando i servizi essenziali. Sebbene la fame della nostra gente non sia sui vostri schermi televisivi, è reale. Ogni giorno, i bambini e le loro madri muoiono di fame. La nostra gente sta morendo inutilmente per malattie curabili perché i nostri ospedali non hanno medicine.

Abiy ha chiarito perfettamente che intendeva schiacciare lo spirito della resistenza alla sottomissione nel Tigray attraverso un assedio per fame. In questo contesto il Comando Centrale prese la decisione di proseguire la guerra, unendo le forze con altri gruppi per costituire un Fronte Unito. Ciò include organizzazioni di Oromo, Somali, Afar, Agaw e altre. Il più grande di questi gruppi è l’Esercito di Liberazione Oromo. C’era e c’è ancora il desiderio di includere altre forze politiche, comprese le forze politiche di Amhara.

Stiamo combattendo per proteggere i principi della Costituzione federale dell’Etiopia, a partire dalla cara affermazione che la legittimità sovrana risiede nelle nazioni, nazionalità e popoli dell’Etiopia. Abiy, invece, sta lottando per ribaltare la costituzione. Le élite di Amhara parlano continuamente di un’Etiopia che è più grande della sua gente. Sono pronti a uccidere per questa ideologia e stanno mandando migliaia di giovani a morire per essa.

Queste élite rivendica la legittimità solo per il loro gruppo, guardando indietro all’era in cui l’Etiopia era un impero governato dagli Amhara. Abbiamo sperimentato questo tipo di ultra nazionalismo in passato e non ha assicurato l’integrità territoriale nazionale né ha protetto il governo centrale dal collasso. Invece, il progetto di un impero etiope centralizzato ha portato alla guerra e alla distruzione in tutti gli angoli del nostro paese. Per questo la costituzione etiope del 1995, tutt’oggi in vigore, definisce il Paese come l’unità volontaria dei suoi popoli all’interno di un sistema federale.

Il comando centrale del Tigray ha proseguito la guerra per costringere il governo a negoziare in condizioni di parità e, in mancanza, per sostituirlo con un governo di transizione onnicomprensivo. Le forze politiche estere e interne temevano una “ripetizione del 1991”, riferendosi alla vittoria militare del TPLF e dei suoi partner di coalizione in quell’anno. Abbiamo chiarito che il panorama politico sia in Tigray che in Etiopia è cambiato così tanto che non c’è alcuna opzione per uno scenario del genere.

Inoltre, il Tigray non può assumersi la responsabilità della ricostituzione dello stato etiope, soprattutto senza alcun accordo politico interno concordato e un chiaro sostegno internazionale. Le nostre discussioni politiche all’interno del Fronte Unito e di altre forze politiche che dovevano ancora far parte della coalizione stavano procedendo più lentamente della nostra avanzata militare, che ha raggiunto la periferia della città di Debre Birhan, a soli 145 km da Addis Abeba.

La prospettiva che saremmo entrati nella capitale ha causato il panico soprattutto tra gli internazionali e in una certa misura anche tra gli etiopi. Comprendiamo quella paura. Vogliamo anche che coloro che sono costernati per la sicurezza della capitale comprendano l’intollerabile sofferenza e la minaccia di un continuo genocidio che il popolo del Tigray sta vivendo ogni giorno. Questo è stato il motivo della nostra decisione di marciare verso Addis Abeba. Speravamo che per allora anche gli sviluppi politici, sia internazionali che interni, si sarebbero aggiornati. Questo non è successo.

Apprezziamo che molti in tutto il mondo, inclusi gli Stati Uniti, l’Unione Europea e i media internazionali, abbiano denunciato le gravi violazioni contro il nostro popolo e chiesto che si fermassero. Eravamo fiduciosi che la questione sarebbe stata sollevata al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che avrebbe agito in base ai suoi obblighi di sostenere le norme fondamentali sull’umanità e avrebbe agito energicamente per promuovere una risoluzione pacifica del conflitto. Ma la Cina e la Russia hanno costantemente bloccato qualsiasi sforzo.

Ci sembra che lo abbiano fatto perché hanno visto la guerra in termini di equilibrio del potere geo-strategico e hanno sacrificato i principi per il punteggio politico, abbandonando le persone a morire per la loro ristrettezza mentale. Purtroppo, le azioni delle nazioni occidentali non sono andate oltre la retorica. Hanno fatto appello per la cessazione delle ostilità e per l’accesso umanitario, ma in pratica si trattava di gesti vuoti. Non hanno usato gli strumenti diplomatici ed economici nelle loro mani.

Peggio ancora, la retorica dei governi occidentali e il silenzio dell’Unione Africana hanno dato ad Abiy il pretesto per adottare slogan di anti imperialismo e panafricanismo che a loro volta hanno permesso a Cina e Russia, insieme a Iran, Turchia ed Emirati Arabi Uniti, di vendere armi. Tigray ha parole, Abiy ha armi. Il meglio che si può dire per coloro che sostengono Abiy è che i suoi sostenitori credono di proteggere lo stato etiope dal collasso.

Sono male informati. Stanno salvando un governo solo di nome. Le nostre forze lo incontrano sul campo di battaglia: il soldati del ENDF indossano uniformi e dispongono di attrezzature moderne, ma combattono come un’orda disordinata di guerrieri feudali, sostenuta da un’aeronautica e droni forniti da stranieri .

Le strutture amministrative sono crollate in tutto il paese. Gli stipendi non vengono pagati, gli scolari vengono mandati a mietere i campi. Il Ministero degli Esteri  è stata sostituitp da campagne su Twitter e Facebook. L’architettura di pace e sicurezza per il Corno d’Africa, che è stata faticosamente costruita dai diplomatici e dalle forze di pace etiopiche in collaborazione con l’Unione africana e le Nazioni Unite, è stata demolita sommariamente.

In effetti, Abiy sta implementando il progetto di Isaias Afwerki, dittatore dell’Eritrea. Questo per costruire un trio di autocrati: Isaias, Abiy e il presidente somalo Mohamed Farmaajo. Per l’Etiopia questo significa accettare un dittatore che governa uno stato debole e frammentato, tutto sotto il tallone dell’Eritrea. Lo stato etiope sotto Abiy Ahmed e i suoi interlocutori Amhara viene utilizzato come cavallo di Troia per l’ambizione sfrenata e sovradimensionata di Isaias Afewerki, che lui stesso serve come agente dei paesi del Medio Oriente.

La regione del Corno d’Africa sarà gestita secondo il dettato del dittatore eritreo. La comunità internazionale, l’Africa e la regione sono disposte a convivere con lo scenario imminente? Se la risposta alla domanda posta è no, il momento di agire è adesso.

Il governo etiope ha pregato, preso in prestito e venduto i suoi beni per ottenere armi da potenze straniere che hanno poca conoscenza del paese e meno buona volontà. Nessuna quantità di retorica sciovinista può nascondere che Abiy ha trasformato l’Etiopia in un mendicante. Coloro che oggi gli mettono le monete nel piatto vorranno che domani canti per loro.

Laddove le potenze mediorientali hanno riversato armi e denaro e la comunità internazionale ha riconosciuto un governo solo di nome, non vediamo stabilità. In Libia, Siria e Yemen vediamo la realtà del crollo dello stato. Il governo diventa un cliente dei suoi più grandi finanziatori e il paese viene bloccato in un conflitto senza fine.

Dobbiamo salvare l’Etiopia da questo destino. Il governo degli Stati Uniti ha espresso la sua seria preoccupazione per il mantenimento e la continuità dello stato etiope. Ha dichiarato la sua intenzione di portare una rapida risoluzione alla guerra attraverso il negoziato. Washington DC si oppose apertamente all’avanzata del TDF verso Addis Abeba, minacciando il governo del Tigray di sanzioni se le nostre forze si fossero avvicinate alla città. D’altra parte, gli Stati Uniti non hanno espresso alcuna strategia (almeno per noi) per porre fine alla guerra se non per placare Abiy Ahmed con l’adulazione.

La politica di pacificazione non ha portato alcuna soluzione prima e non porterà ora a una rapida risoluzione del conflitto e non salverà nemmeno lo stato etiope. Secondo me il modo più veloce per porre fine al conflitto è risolverlo. In questo contesto, la TDF sta combattendo da solo. Non ha alleati internazionali e non ha assistenza militare o materiale dall’estero. Il popolo del Tigray non riceve nemmeno aiuti umanitari.

Il popolo tigrino è poco, impoverito ma galante e con un forte senso di identità. Abbiamo una lunga e orgogliosa storia di lotta contro gli invasori della nostra terra e stiamo ripetendo le gesta eroiche dei nostri predecessori. Le nostre forze non sono avanzate su Addis Abeba. Nelle ultime due settimane, gli effetti degli sciami di droni sulle posizioni avanzate del TDF e sulle linee di rifornimento sono stati notevoli. Il personale delle divisioni corazzate eritree combatte quotidianamente nei ranghi del ENDF. Le forze eritree occupano ancora parti sostanziali del Tigray.

In queste circostanze, con linee di rifornimento lunghe e vulnerabili, il governo dello stato regionale del Tigray attraverso il comando centrale ha deciso di ritirarsi in posizioni difensive per consolidare le nostre forze. Un ritiro sotto il fuoco dei droni è un’operazione militare difficile che abbiamo portato a termine con successo. Siamo imbattuti.

Negli ultimi giorni, le forze della coalizione etio-eritrea hanno tentato di penetrare nelle nostre linee, da sud, ovest ed est. Sono stati respinti con pesanti perdite. Dopo queste battute d’arresto, il regime di Addis Abeba ha annunciato di aver completato la “fase uno” della sua operazione e di non continuare i suoi attacchi.

Questa dichiarazione, unita alla posizione precedentemente annunciata del governo regionale nazionale del Tigray per un cessate il fuoco, apre l’opportunità alla comunità internazionale, guidata dal Kenya, di premere per la cessazione delle ostilità e avviare colloqui di pace.

Se ciò non accadrà, la guerra continuerà non solo nel Tigray ma anche in altri luoghi dell’Etiopia. Ci saranno più perdite di vite umane; la distruzione economica e qualunque tessuto politico e sociale che potrebbe essere sopravvissuto fino ad ora verrà distrutto, il che significa che salvare lo stato federale multinazionale etiope come lo conosciamo diventa molto difficile.

Ora il regime di Abiy Ahmed potrebbe prepararsi ad avviare un “dialogo inclusivo” controllato e monitorato da solo. Sta cercando di far credere al mondo di aver “sconfitto i ribelli” e di offrire loro di far parte di questo dialogo inclusivo, come individui non come il TPLF. Anche alcuni nella comunità internazionale potrebbero sostenere la sua idea. Questo processo non funzionerà.

Qualsiasi dialogo inclusivo dovrebbe essere svolto da organismi neutrali con la partecipazione delle principali forze politiche in Etiopia sponsorizzate e sostenute dalla comunità internazionale. Il meccanismo potrebbe essere elaborato con l’assistenza di esperti del settore. Ci auguriamo che i paesi africani siano all’altezza della sfida di ospitare e facilitare la conferenza.

Ci deve essere una soluzione politica alla guerra in Etiopia. Che questo includa o meno Abiy è secondario. L’importante è che la crisi umana che deve affrontare il popolo del Tigray sia scongiurata e che la soluzione di questa guerra porti stabilità, democrazia e sviluppo. La mia visione per questo è la seguente. Il Tigray deve reggersi in piedi e deve avere garanzie ferree che gli assalti genocidi dell’ultimo anno non si ripeteranno mai più.

Faremo affidamento su noi stessi, come abbiamo dimostrato di poter fare, ma contiamo anche sull’Africa e sulla comunità internazionale per assicurarci di non essere soli se dovessimo ancora affrontare nemici determinati a distruggerci. L’Etiopia è una nazione di nazioni e l’unico modo per andare avanti per il paese è riconoscerlo.

Non ci può essere ritorno alla costruzione dell’impero o al dominio di un gruppo su un altro. Il Tigray è una civiltà antica, un luogo dove il cristianesimo ha radici profonde e dove la pacifica convivenza e simbiosi tra musulmani, cristiani ed ebrei risale a quattordici secoli fa. Riconoscere e preservare questo è la pietra miliare per la stabilità dell’Etiopia, dei nostri vicini nel Corno d’Africa e dei paesi dell’altra sponda del Mar Rosso.

Il Tigray è una nazione africana. Abbiamo contribuito alla nascita della civiltà africana e abbiamo contribuito alla visione di un’Africa stabile, sicura e indipendente dalle potenze esterne, siano esse Europa, America, Medio Oriente o Asia. I tigrini sono orgogliosi del nostro contributo alla diplomazia e al mantenimento della pace dell’Etiopia, che è stato un pilastro della stabilità e dello sviluppo nella regione del Corno d’Africa. Siamo orgogliosi del nostro contributo all’integrazione economica regionale, comprese le infrastrutture idriche, elettriche e di trasporto che uniscono i paesi vicini.

L’intera comunità internazionale, compresa la Russia, la Cina e tutti i paesi del Medio Oriente, ha una responsabilità nei confronti dell’umanità che dovrebbe prevalere su qualsiasi differenza politica possa avere con America ed Europa. Quella stessa responsabilità comune si estende alla protezione di un patrimonio culturale, fermando la guerra contro un popolo che è stato il custode di questo incrocio unico di fedi e culture.

Il Corno d’Africa è una regione in cui le grandi potenze mondiali hanno tutte interessi legittimi. Il mondo ha bisogno della sicurezza marittima, cerca di debellare l’estremismo violento e vuole scongiurare lo spettro di una massiccia migrazione di emergenza guidata da conflitti, carestie e collasso statale.

Noi in Tigray lo riconosciamo. Data la nostra vicinanza e la nostra storia, vogliamo essere un giocatore costruttivo assicurando il nostro interesse nazionale e il legittimo interesse nazionale di altri giocatori nella sottoregione. Il mondo non dovrebbe consentire una ripetizione della Siria, dello Yemen o della Libia nel Corno sul fianco occidentale del Mar Rosso. Questo non è un gioco a somma zero.

L’Etiopia dovrebbe essere il luogo in cui questi interessi internazionali e regionali convergono in un patto multilaterale. Tutti gli etiopi hanno bisogno di un cessate il fuoco e di negoziati politici. I nostri obiettivi politici sono chiari e abbiamo ribadito la nostra proposta di cessate il fuoco. Questo può iniziare con una cessazione delle ostilità. Deve poi trasformarsi in un cessate il fuoco completo e permanente, che è un’operazione militare complicata che richiede professionalità da entrambe le parti.

Una componente essenziale di un cessate il fuoco è il monitoraggio e la verifica da parte di terzi. L’Africa ha una vasta esperienza in questo e siamo fiduciosi che i nostri fratelli africani saranno in grado di fornire le competenze e le capacità necessarie. L’Etiopia è unica, ma è anche un paese africano in cui i principi e la saggezza dell’Africa sono molto necessari.

Negli ultimi trent’anni, a partire da quando ho avuto l’onore di servire come capo di stato maggiore delle forze di difesa nazionali etiopiche, l’Etiopia è diventata parte integrante dell’architettura di pace e sicurezza dell’Africa, estendendo i nostri servizi in diplomazia e mantenimento della pace in tutto il continente in un spirito di fratellanza e solidarietà.

Chiediamo ora ai nostri fratelli africani di tendere la mano con lo stesso spirito.

Grazie

 

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