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Etiopia, Paese sull’orlo della guerra civile

Dal premio Nobel per la pace nel 2019 a un conflitto che potrebbe scatenare una guerra civile nel suo Paese. Dopo aver lanciato un bombardamento a tappeto nel nord dell’Etiopia, il primo ministro Abiy Ahmed, aprendo di fatto un nuovo fonte di crisi nel già turbolento Corno d’Africa, non intende fermare i raid dell’aviazione nella regione del Tigray, roccaforte del Fronte Popolare di Liberazione del Tigray, ribelli anti governativi, nonostante gli appelli internazionali preoccupati per  l’escalation militare.
La Camera alta del Parlamento, nel frattempo, ha votato a favore dell’istituzione di un’amministrazione di transizione nella regione dove dalla scorsa settimana sono scoppiati scontri tra le forze regionali e quelle del governo federale.
La decisione apre alla rimozione della leadership della regione settentrionale, che Addis Abeba considera illegale.
Il potere decisionale è così passato nelle mani del premier il quale ha chiarito che “l’amministrazione di transizione nominerà funzionari, garantirà il rispetto dello stato di diritto, approverà il bilancio della regione e faciliterà il processo di svolgimento delle elezioni”.
I raid non si sono fermati neanche di notte, gli aerei etiopi hanno continuato a bombardare postazioni militari del Tplf ma inevitabilmente hanno causato anche la morte di numerosi civili ai quali potrebbero presto aggiungersi altre vittime. Dalle prime ore della giornata è già iniziato un nuovo round di operazioni militari, mirato a prendere il controllo della città di Dansha, vicino alla zona di confine con Sudan ed Eritrea.
“L’operazione militare è riuscita a raggiungere tre degli obiettivi principali prefissati: contenere l’attacco del nemico mirando alle forze di difesa, alla polizia e alle infrastrutture, proteggere le risorse e le armi da fuoco e indebolire la capacità della fazione ribelle” ha dichiarato Abiy in diretta televisiva parlando alla nazione, aggiungendo che tutte le milizie del Tplf a Badme, Tsorena e Zalanbessa sono state messe fuori combattimento.
Ahmed ha anche annunciato la prosecuzione delle operazioni “volte a garantire la pace e la sicurezza del popolo e del Paese, a rafforzare la capacità e l’abilità delle forze di difesa fino a quando il gruppo ribelle non sara’ portato davanti alla giustizia”.
Il via libera all’’azione militare è in realtà il punto di arrivo delle storiche tensioni tra il governo centrale e il presidente della regione settentrionale Gebremichael, una situazione che sì protrae da mesi e che si è acuita dopo le elezioni nel territorio dissidente lo scorso settembre, che Addis Abeba ha dichiarato illegali.
Il passaggio successivo è stato l’inserimento del partito al potere nella regione nella lista nera del terrorismo e delle organizzazioni criminali.
La situazione sul terreno è ulteriormente precipitata nei giorni scorsi dopo l’attacco a una base militare dell’esercito federale nel capoluogo di Makallé, attribuito alle forze ribelli.
Da quel momento è iniziata l’escalation militare nel nord dell’Etiopia dove è stato  decretato lo stato di emergenza, approvato dal Parlamento. che da’ al governo tutti i poteri necessari per “proteggere la pace e la sovranità del Paese, per mantenere la sicurezza pubblica, la legge e l’ordine”, autorizzandolo anche a sospendere alcuni diritti politici e democratici, come previsto dalla Costituzione.
Ma l’attacco in corso nell’area del Tigray non sarebbe solo un’operazione militare ma un vero e proprio massacro di civili. I morti sbbero già migliaia.
A rilanciare la notizia alcune emittenti locali ma di fatto difficilmente verificabile da fonti indipendenti. Da almeno 48 ore internet e le linee telefoniche risultano bloccate nella regione su cui è stato chiuso lo spazio aereo. La BBC e altre fonti internazionali hanno intanto riportato la notizia di scontri anche  nelle zone di confine tra il Tigray e ad ovest lo Stato vicino di Amahara, etnia che ha visto di recente il massacro di almeno 50 persone nell’attacco dei militari a un villaggio di cui vi abbiamo raccontato nei giorni scorsi. Storicamente il Tigray è un punto militare strategico per l’Etiopia, in quanto Stato confinante con l’Eritrea, Paese con il quale è stata combattuta una lunga guerra conclusa poi nel 2018 con la firma di un trattato di pace, che è valso il Nobel al premier Abiy. A Makellé, capitale del Tigray, si trova una delle basi militari più importanti dell’Etiopia. Lo stesso Stato settentrionale dell’Etiopia ha a disposizione un imponente sistema di difesa militare: secondo un rapporto di International Crisis Group, il partito TPLF può contare su circa 250 mila uomini tra militari e paramilitari. Inoltre, dalla nomina di Abiy a primo ministro nell’aprile 2018 dalla coalizione al governo, dopo le dimissioni del predecessore Hailemariam Desalegn, la collaborazione con i tigrini che in passato ricoprivano incarichi importanti ad Addis Abeba si è interrotta con la formazione del nuovo esecutivo. Sentendosi emarginato, nel 2019 il Fronte di liberazione del popolo Tigray è uscito dalla coalizione al potere ad Addis Abeba. Da quel momento i rapporti sono andati sempre più deteriorandosi arrivando agli scontri di oggi che stanno portando il Paese sull’orlo della guerra civile.

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