vai al contenuto principale
Il segretario di Stato Usa Antony Blinken. credit: Tiksa Negeri/Pool via Reuters

Etiopia. L’esportazione di grano e l’incombente crisi alimentare

Una grande questione di equilibri. L’Etiopia ha iniziato ad esportare grano per aumentare il flusso e le riserve di valuta estera. Un modo semplice per incamerare valuta forte dopo tre anni di stagnazione e di un’economia alle prese con un conflitto – quello nel Tigray – che ha tagliato le gambe al paese più promettente del continente.

L’Etiopia è uno dei sei paesi del Corno d’Africa alle prese con una grave crisi alimentare, dovuta a ben cinque stagioni delle piogge ormai mancanti all’appello. Nonostante ciò, il governo etiope ha annunciato di aver chiuso un accordo con il PAM, il Programma alimentare mondiale per l’esportazione di grano nei paesi colpiti dalla siccità per un valore di 200 milioni di dollari.

Una decisione in controtendenza rispetto le raccomandazioni dell’FMI, il Fondo monetario internazionale, che analizzando la bilancia etiope ha affermato che le esportazioni di grano attuali potranno finanziare un solo decimo delle importazioni di grano utili.

REUTERS/Tiksa Negeri
Merkato, Addis Ababa, Ethiopia, November 30, 2021. REUTERS/Tiksa Negeri

Il PM Abiy Ahmed ha più volte affermato come il paese sia perfettamente in grado di produrre abbastanza grano per sfamare tutti i 120 milioni di cittadini. Un dato che gli osservatori ritengono far parte della campagna internazionale di pubbliche relazioni tesa a ristabilire il ruolo centrale del paese nella regione, attraverso (un esempio per tutti) il riesame della sua sospensione dall’African Growth and Opportunity Act statunitense (AGOA).

US to suspend Ethiopia, Guinea and Mali from AGOA in 60 days

Riammissione richiesta formalmente dal governo etiope al Segretario di Stato Usa, Antony Blinken, durante il tour diplomatico del 15 Marzo scorso.

Il segretario di Stato Usa Antony Blinken. credit: Tiksa Negeri/Pool via Reuters
Il segretario di Stato Usa Antony Blinken. credit: Tiksa Negeri/Pool via Reuters

Durante i colloqui, il Segretario di Stato ha garantito al paese aiuti umanitari per ben 331 milioni di dollari per aiutare le persone colpite dalla siccità che sta battendo forte in alcune aree e dall’insicurezza alimentare dovuta anche al conflitto che ha sconvolto il nord del paese per oltre due anni.

Perché esportare grano in un momento di crisi alimentare come quella attuale?

Perché il paese è ancora dipendente dalle importazioni e sta attraversando una crisi valutaria piuttosto complessa. Il governo sta proporzionando le sue risposte a due grandi problemi: un’economia zoppicante e il rischio di carestia nel paese che potrebbe interessare oltre 24 milioni di etiopi.

C’è da sottolineare come l’Etiopia sia divenuto il più grande produttore di grano del Corno d’Africa e tra i primi tre, insieme ad Egitto e Marocco, nel continente in soli tre anni.

I programmi di sviluppo messi in piedi dal governo come l’Ethiopian Growth and Transformation Plan, il cambiamento apportato nelle colture, il piano per aumentare a 400mila ettari il terreno dedicato alla coltura del grano estivo, stanno dando i loro frutti, ma per coprire le 17 milioni di tonnellate di grano importate nel 2021 occorrerà ancora tempo.

Etiopia, grano, sicurezza, siccità: il fattore tempo in una crisi dimenticata

Nel 2022 il paese ha fermato le importazioni di grano (la guerra in Ucraina e la crisi del grano susseguita ne hanno accelerato il processo) annunciando urbi et orbi che sarebbe divenuta un esportatore netto. Una scommessa che oggi si infrange con il rischio di carestia, nella speranza che essa colpisca solo di striscio la regione.

Dieci mesi fa, sempre su queste pagine scrivevamo: “La mancanza di sicurezza danneggia l’economia del paese, andando a gravare soprattutto sulle esportazioni, che si tradurranno ben presto in un calo fisiologico di valuta estera; la diminuzione dei fondi di investimento diretti dei paesi esteri, altra componente legata alla sicurezza, peserà ulteriormente sul sistema, andando a gravare il carico esistente.Da qui l’aumento del costo delle materie prime, la scarsità di alcuni prodotti, l’aumento dell’inflazione, oggi attestatasi al 36.60%, con un’inflazione alimentare al 42.90%“.

Nessun oracolo, né una scommessa in negativo, una semplice lettura di analisi economiche del Fondo Monetario Internazionale.

La guerra nel Tigray, iniziata il 4 Novembre del 2020 e protrattasi per ben due anni ha rallentato l’ambizione del paese di diventare una nazione a reddito medio entro il 2025. Con il debito estero che cresce da anni, la recessione economica è aggravata dall’aumento dei costi del servizio del debito. L’Etiopia deve più di 29 miliardi di dollari a creditori esterni, secondo il Ministero delle Finanze.

Fonte: World Bank
Fonte: World Bank

Nel 2022 l’Etiopia ha importato beni per 18 miliardi di dollari ma ne ha esportati per soli 4 e se al debito verso i creditori esterni aggiungiamo il costo per la ricostruzione post bellica, che si aggira intorno ai 20 miliardi, si può ben comprendere quale sia lo stato dell’arte.

Stato che preoccupa non solo l’FMI ma anche la Cina, alla quale il paese si è rivolto proprio per la ricostruzione delle infrastrutture andate distrutte durante il conflitto. A temere per l’economia etiope infatti, vi è anche il governo cinese, timoroso di una sovra esposizione che potrebbe mettere a rischio l’intera struttura. Tema al centro dei colloqui con la delegazione etiope guidata dal Ministro delle Finanze Ahmed Shide inviata a Pechino alla fine del mese scorso.

Nonostante ciò i segnali che arrivano dal governo sono piuttosto tranquillizzanti. Mandefro Niguissi, Amministratore Delegato dell’Agenzia etiope per la trasformazione agricola ha sottolineato come il paese abbia “la capacità di nutrire la sua popolazione e di produrre un surplus commerciabile che verrà riversato sul mercato globale“.

Durante la 35esima Sessione Ordinaria dell’Unione Africana del 5 e 6 Febbraio scorso, il Primo Ministro Abiy Ahmed ha detto ai delegati presenti: “Non solo l’Etiopia si nutrirà da sola; siamo fiduciosi di poter contribuire fortemente all’approvvigionamento alimentare globale attraverso le esportazioni“.

Numeri, dati, accordi e dichiarazioni che appaiono lontani dalla vita reale dei 120 milioni di etiopi, che ogni giorno sono alle prese con la difficoltà del mettere insieme il pranzo con la cena.

Lunghi mesi di siccità – si calcola si ala peggiore degli ultimi 40 anni- hanno devastato interi raccolti, portato alla morte oltre 987mila capi di bestiame e stanno costringendo migliaia di persone a lasciare le proprie case in cerca di cibo ed acqua.

In un paese dove l’80% dell’economia rurale è basata ancora sull’agricoltura di sussistenza è inderogabile che oggi tutti gli sforzi messi in campo vadano fatti convergere nel rafforzare la risposta immediata all’emergenza alimentare.

 

 

 

 

 

 

Torna su