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Somalia, 29 anni dopo l’uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin #noinonarchiviamo

Non sono bastati 29 anni per fare chiarezza sul duplice omicidio della giornalista Rai Ilaria Alpi e dell’operatore Miran Hrovatin, assassinati il 20 marzo 1994 in un agguato a Mogadiscio, in Somalia.
Bugie, depistaggi e cortine fumogene hanno finora ostacolato la ricerca della verità e l’individuazione dei responsabili della loro morte. Ancora numerosi i dubbi relativi alla dinamica dell’aggressione, alla condanna a 26 anni per duplice omicidio di un cittadino somalo venuto in Italia per testimoniare, poi assolto, e alla scomparsa di alcune cassette con le ultime interviste realizzate da Ilaria e Miran in Somalia, tra cui quella integrale al signore della guerra di Bosaso, Abdullahi Mussa Bogor, che aveva riferito di presunti stretti rapporti tra alcuni funzionari italiani con il governo di Mohammed Siad Barre alla fine degli anni ottanta, Alpi e Hrovatin vennero assassinati.
Nonostante dalla relazione finale della Commissione di inchiesta parlamentare sul ciclo illegale dei rifiuti siano emersi nuovi spunti per indagare sulla loro uccisione il procuratore capo di Roma di allora, Giuseppe Pignatone, e il pm Elisabetta Ceniccola chiesero l’archiviazione di tutti in procedimenti in corso. Con un provvedimento di 80 pagine i magistrati avevano evidenziano che non era stato possibile risalire a mandanti ed esecutori materiali del duplice delitto e che non era  stata trovata alcuna prova di presunti depistaggi legati soprattutto alla gestione in Italia di Ahmed Ali Rage, detto Gelle, il testimone chiave che prima chiamò in causa il miliziano somalo Omar Hashi Hassan (scagionato da ogni accusa lo scorso anno nel processo di revisione a Perugia) e successivamente ritrattò tutto. Il 6 luglio del 2022 Hashi è stato ucciso da una bomba sotto il sedile dell’auto su cui viaggiava a
a Mogadiscio dove era tornato per una visita ai familiari.Un altro delitto sagli aspetto oscuri e su cui non ci sono ancora risposte. Nel motivare la richiesta di archiviazione, i magistrati di piazzale Clodio avevano sottolineato l’esito negativo degli accertamenti e “l’impossibilità di raggiungere qualche risultato” anche alla luce della complessa situazione politica “di allora e di oggi” dello Stato africano, della “divisione in clan tra loro ostili, dell’inesistenza di forze di polizia che potessero dare affidamento, e dell’assenza, ancora oggi, di relazioni diplomatiche”.
Ma il giudice per le indagini preliminari di Roma, Andrea Fanelli, pochi mesi dopo aveva rigettato, per la seconda volta, la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura disponendo una nuova tranche di indagini per approfondire una dozzina di punti. In particolare il gio, accogliendo in buona parte le istanze presentate dalle parti offese e in particolare quella dei familiari di Ilaria e di Fnsi, Usigrai e Odg, aveva disposto che venisse ascoltato il direttore dell’Aisi al fine di verificare la “persistenza del segreto” sull’identità dell’informatore di cui si fa riferimento in una nota del Sisde del 1997. Ma ad oggi ciò non è ancora avvenuto.
Negli anni molti documenti sono stati fatti sparire per ottenere l’archiviazione del processo e per tre volte tale richiesta è stata respinta.
Oggi un gruppo di colleghi – tra cui chi scrive – portano avanti la campagna #noinonarchiviamo, con il coordinamento di Articolo 21, non solo per ricordare Ilaria Alpi
29 anni dopo il loro brutale  omicidio, ma anche per dire che al di là  della decisione che prenderanno i tribunali, non archivieremo mai il nome di Ilaria e di Miran e continueremo la battaglia per la verità e per la giustizia.
La promessa fatta a mamma Luciana il 17 aprile del 2018 davanti al tribunale dove l’avevamo accompagnata per far passare chiaro e forte il messaggio che la ricerca della verità non era una questione che riguardava solo le famiglie  Alpi e Hrovatin, ma riguardava tutti noi, tutti i cittadini italiani, non verrà mai meno.
Al di là di ciò che deciderà il tribunale noi non archivieremo e continueremo a cercare la verità.
L’impegno assunto, prima con la vicinanza a mamma Luciana e oggi portato avanti con il costante  ricordo di Ilaria e Miran, a non fermarci neanche se la Giustizia dovesse decidere di abbandonare il caso proseguirà con la richiesta al Parlamento di istituire una nuova commissione d’inchiesta e con un ricorso alla Corte europea affinché  non si spegnino mai i riflettori su questo atroce crimine.
Non permetteremo che Ilaria e Miran siano dimenticati.

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