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Etiopia, la vittoria di Pirro di Abiy Ahmed

Le elezioni del 21 giugno scorso avevano come unico scopo quello di offrire al Premier etiope una parvenza di legalità democratica e l’impressione che godi ancora del sostegno popolare conquistato tra il 2018 e il 2019, quando la politica di dominio etnico della dirigenza nazionalista Amhara non era ancora chiaramente stata rivelata.

A questo scopo le elezioni hanno visto l’esclusione al diritto di voto di quasi 28 milioni di cittadini etiopi. Oltre un terzo dei seggi elettorali non sono stati aperti e il 20% dei seggi elettorali hanno visto spostarsi il voto in settembre nonostante che i dati definitivi erano previsti per questo mese di luglio. In poche parole i risultati di questo 20% dei seggi elettorali non hanno alcuna importanza.

Le elezioni si sono svolte in un clima di violenza e intimidazione verso l’opposizione e la loro gestione è stata a dir poco caotica e confusa. L’unico ente sovranazionale che ha dato un giudizio favorevole di “libere e trasparenti elezioni” è stato l’Unione Africana, dimostrando la sua incapacità a risolvere i problemi del Continente Africano e rendendo questa istituzione un carrozzone di soldi ed affari più inutile e deleterio delle Nazioni Unite.

Già prima delle elezioni si era deciso di aggiudicare al Prosperity Party dal 60 al 70% dei consensi. La vittoria del TPLF in Tigray e la liberazione di Mekelle hanno oscurato l’importanza delle elezioni. A livello internazionale il castello di fakenews e propaganda del Premier Abiy è crollato dinnanzi alla realtà del fronte tigrino. A livello nazionale il “condottiero” Abiy ha subito una sconfitta militare dopo aver provocato la guerra e sacrificatola vita di decine di migliaia di giovani, soprattutto di etnia Amhara.

Nel tentativo di far risaltare l’esisto elettorale, la direzione nazionalista Amhara ha deciso di esagerare con il presunto “appoggio popolare” al loro porta voce: Abiy Ahmed Ali, superando di gran misura la percentuale di voti a lui predestinata prima delle elezioni. Dal 60 al 70% inizialmente ideato passiamo al 94% dei consensi. Il Prosperity Party ottiene al Parlamento 410 seggi su 436. Il resto dei seggi è diviso dai partiti minori di opposizione che hanno deciso di partecipare alle elezioni, mentre i principali partiti d’opposizione le avevano boicottate.

La decisione di affidare al Premier etiope una vittoria elettorale “Bulgara” è stata presa dalla dirigenza Amhara che ritiene ancora utile giocare la carta del Premio Nobel per la Pace e per questo ha deciso di concedere ad Abiy un altro mandato come Primo Ministro. È questa l’unica notizia di rilievo di queste elezioni non democratiche, non inclusive e non partecipative. Il conflitto interno al Prosperity Party è stato al momento “congelato” o rinviato al fine di presentare alla comunità internazionale un fronte governativo unito contro tre immediati pericoli: Tigray, Oromia e il rischio di conflitto regionale con Egitto e Sudan.

La vittoria bulgara offerta ad Abiy ha ridotto anche le percentuali di voto del partito nazionalista Amhara di estrema destra: il National Movement of Amhara. Tre giorni fa la Commissione Elettorale (NEBE) aveva informato che il NMA aveva ottenuto una schiacciante vittoria in Amhara mentre Abiy aveva ottenuto la maggioranza in Oromia. Considerando che la NEBE non ha alcuna esperienza di voto trasparente ed è controllata al 100% dalla direzione Amhara, cambiare i dati elettorali dall’oggi al domani per convenienze politiche di certo non è un grosso problema.

Tre giorni dopo, la vittoria riportata dal NMA in Amhara si trasforma magicamente in una umiliante sconfitta. Al National Movement of Amhara sono stati aggiudicati solo 5 seggi parlamentari. Seppur non si registra denuncia da parte del NMA, la mossa voluta dalla dirigenza Amhara è destinata ad accrescere i conflitti interni tra nazionalisti “pragmatici” e nazionalisti di estrema destra.

I conflitti sia all’interno del fronte nazionalista Amhara che al partito della Prosperità saranno oggetti di un duro scontro politico interno per la creazione del governo. Nel tentativo di trovare accordi politici a porte chiuse, il nuovo governo verrà formato solo in ottobre. In questi due mesi Abiy dovrà cercare di imporre il più alto numero dei suoi “uomini”, cercando di limitare l’influenza (ormai già visibile e preoccupante) della dirigenza Amhara sul Prosperity Party. Questa è la vera battaglia politica che Abiy dovrà affrontare dopo le elezioni farsa e i risultati decisi a tavolino.

La Commissione elettorale è stata ben attenta a non fornire cifre precise sulla affluenza alle urne. Una lacuna di certo non causale. Secondo le nostre fonti l’affluenza delle urne del corpo elettorale (dopo essere stato decimato dal governo centrale) non avrebbe superato il 50% dei aventi diritto del voto.

La comunità internazionale e in special modo, Unione Europea e Stati Uniti, dimostrano una tendenza ad accettare passivamente i fantasiosi risultati della NEBE per un motivo pratico. Per risolvere le crisi in Tigray e Oromia e tentare di stabilizzare il paese evitando la sua balcanizzazione, le potenze occidentali necessitano di un interlocutore governativo, di conseguenza è diplomaticamente conveniente accettare la vittoria bulgara stabilita dalla dirigenza nazionalista Amhara.

A confermare che le elezioni siano state una farsa sono stati i ricorsi presentati dai partiti minori di opposizione che hanno partecipato alle elezioni. Oltre 200 i ricorsi per frodi elettorali, irregolarità di voto e scrutinio, intimidazione e violenze sui candidati dell’opposizione.

Nel tentativo di rendere più credibile le elezioni (contrastando i pareri negativi espressi fin prima del voto da Washington e Bruxelles) la dirigenza Amhara ha costretto la commissione etiope per i diritti umani (EHRC) a rinnegare le osservazioni fatte dopo il voto.

Il 22 giugno la EHCR aveva denunciato che alcuni collegi elettorali avevano subito “arresti impropri” di oppositori, intimidazioni agli elettori e molesti di osservatori e giornalisti. Aveva anche denunciato diversi omicidi politici in Oromia avvenuti nei giorni precedenti il voto. Nel comunicato della EHRC di ieri tutte le segnalazioni di gravi irregolarità e abusi sono sparite. Al loro posto vi è l’assicurazione che “non ci sono state violazioni dei diritti umani gravi o diffuse” durante le elezioni.

Il secondo mandato di Abiy inizia con una guerra interna per il potere tra lui e la dirigenza Amhara. In questi 8 mesi di guerra civile, il Premier etiope ha perso la sua credibilità, distrutta definitivamente dalla sconfitta militare subita in Tigray. Questo ha comportato una progressiva erosione del controllo sul partito da lui stesso fondato (il Prosperity Party) a favore della dirigenza Amhara.

Dopo la sconfitta subita in Tigray, Agegenehu Teschager(presidente dell’​Amhara) e Temesgen Tigruneh (Direttore della polizia politica NISS) hanno seriamente analizzato l’eventualità di rimuovere il Premier che si è dimostrato incapace di vincere una guerra da lui voluta. Il principale nemico politico (il TPLF) non solo non è stato sconfitto ma ora si trova in una posizione di forza.

L’opzione di rimuovere Abiy e di creare un governo transitorio Amhara è stata provvisoriamente scartata in quanto avrebbe aggravato i rapporti già tesi con le potenze occidentali. Difficilmente la dirigenza Amhara avrebbe ottenuto approvazione e riconoscimento internazionali. Quindi si è giocata a carta della presunta “legittimità elettorale”, decidendo di servirsi ancora per qualche tempo del “uomo immagine”: Abiy.

Questa decisione comporta dei rischi per Tescahger e Tigruneh. Il Premier etiope utilizzerà la possibilità del secondo mandato a Primo Ministro per ridurre la loro influenza all’interno del Prosperity Party per evitare di essere sopraffatto politicamente all’interno del suo stesso governo. Come ha precedentemente tradito il TPLF (che lo aveva nominato Premier nel 2018) ora Abiy si appresta a tradire anche la dirigenza Amhara che lo ha sostenuto nella folle avventura militare in Tigray. La riuscita del suo piano (potere assoluto mettendo in disparte anche la direzione Amhara) dipende dalla sua capacità di convincere gli investitori internazionali, le lobby di potere e gli imprenditori etiopi che è ancora il “cavallo giusto” su cui puntare.

Quella riportata da Abiy è una vittoria decisamente di Pirro se sianalizza il contesto generale del Paese. La guerra in Tigray non è finita. Al contrario è destinata a continuare su nuove forme: scontro tra Tigray e Amhara o scontro tra Tigray ed Eritrea.

La crisi umanitaria nel Tigray è lontana dall’essere risolta. Il governo di Addis Ababa continua a bloccare l’accesso agli operatori umanitari per due ragioni. La prima rientrante nel piano di genocidio di 7 milioni di cittadini etiopi. La seconda per impedire al TPLF un riconoscimento politico.

L’attuale situazione in Tigray vede il governo democraticamente eletto nel settembre 2020 riprendere le sue funzioni nella regione nord etiope. Questo significa che ogni operazione umanitaria in Tigray non potrà essere condotta ignorando il TPLF. La sua agenzia umanitaria: REST e il dipartimento umanitario della Diocesi cattolica di Adigrat sono gli unici partner locali in grado di assicurare efficaci operazioni umanitarie da parte delle Agenzie ONU e ONG Internazionali. Entrambi sono avversi al governo centrale.

I principali partiti di opposizione Oromo: il Oromo Liberation Front (OLF) e il Oromo Federalist Congress (OFC), che avevano deciso di non partecipare alle elezioni a causa dell’arresto della maggioranza dei loro leader, hanno dichiarato nulle le elezioni dello scorso 21 giugno. Con un comunicato del 1o luglio il OLF e il OFC annunciano l’istituzione di un governo di transizione nazionale nella regione della Oromia. I due principali partiti Oromo annunciano di essere stati costretti ad assumere il dovere di sostenere le aspirazioni del popolo Oromo formando tale governo di transizione che è composto anche da intellettuali, professionisti e leader della società civile che non appartengono al OLF e al OFC.

Tra le rivendicazioni del governo di transizione dell’Oromia vi è la formazione di un governo di unità nazionale provvisorio a livello nazionale che favorisca il dialogo inclusivo di tutti gli attori etiopi e l’organizzazione di libere e trasparenti elezioni nazionali. Il Prosperity Party è escluso da questo governo di unità nazionale e Abiy considerato un usurpatore che occupa illegalmente la posizione di Primo Ministro.  

Nonostante che questo governo di transizione formato da OLF e OFC, può esercitare il suo potere solo nei territori della Oromia sotto controllo dell’opposizione armata, la sua proclamazione assume una importante valenza politica a seguito delle recenti vittorie militari riportate dal Oromo Liberation Army (OLA). Il movimento guerrigliero dei “giovani rasta” che ha ripreso la lotta armata lo scorso febbraio rivendica una serie di importanti vittorie contro l’esercito federale.

Il portavoce del Oromo Liberation Army (OLA): Odaa Tarbii ha dichiarato un’offensiva in atto contro le forze governative nelle zone centrali dello Stato Regione dell’Oromia: West Shawa e West Arsi, distanti circa 40 km dalla capitale Addis Ababa. L’offensiva sarebbe ancora in corso e al momento i miliziani dell’OLA avrebbero lanciato 21 attacchi contro l’esercito federale uccidendo 250 soldati nemici nella zona del West Walaga, Oromia centrale. Odaa Tarbii proclama inoltre di aver assunto il controllo della città di Kobara.

Le vittorie militari del OLA e la creazione del governo transitorio, in netta contrapposizione al governo regionale dell’Oromia del Prosperity Party, fanno sorgere due rischi maggiori per il Premier etiope. Quello che il conflitto in Oromia subisca una indesiderata escalation portando la guerra nella capitale: Addis Ababa e il rischio di una alleanza politica militare tra TPLF, OLA, OLF, OFC che di fatto darebbe il colpo di grazia all’attuale fragile e impopolare governo dominato dall’etnia Amhara.

Abiy dovrà anche affrontare il rischio di un conflitto con Egitto e Sudan per le acque del Nilo. La dirigenza Amhara, in disperata ricerca di valuta pregiata, ha deciso di attuare la seconda fase di riempimento del bacino della diga GERD al fine di poter esportare energia elettrica entro il 2022. Questo ha compromesso ogni possibilità di soluzione pacifica sulla disputa della mega diga etiope.

Egitto e Sudan hanno esortato il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a intraprendere una “diplomazia preventiva” e chiedono un accordo legalmente vincolante per risolvere una controversia con l’Etiopia sulla disponibilità di acqua dalla sua diga sul fiume Nilo. Il Cairo e Khartoum hanno affermato che 10 anni di negoziati con l’Etiopia sono di fatto falliti. La seconda fase del riempimento del bacino viola l’accordo del 2015 e rappresenta una minaccia esistenziale per 150 milioni di egiziani e sudanesi che vivono lungo il fiume sacro.

Il ministro dell’acqua etiope Seleshi Bekele Awulachew ha riferito all’ONU che il riempimento del bacino idrico faceva parte della costruzione della diga e che il Consiglio di Sicurezza non dovrebbe essere coinvolto nella questione delle acque del Nilo, affermando che nessun problema è più lontano dal suo mandato di garantire la pace e la sicurezza internazionali. Il governo di Addis Ababa nello stesso giorno ha affermato che non riconoscerà alcuna decisione scaturita dal Consiglio di Sicurezza in quanto la questione può essere risolta solo dall’Unione Africana, ben consapevole che questa debole e corrotta istituzioni sovranazionale accetterà di buon grado le posizioni etiopi.

Dinnanzi alla intransigenza e al doppio gioco etiopi, la possibilità di un conflitto regionale è ora molto più alta di qualche mese fa. Nella situazione attuale Addis Ababa non sarebbe in grado di sostenere un tale conflitto. Cairo e Khartoum intensificheranno il loro “presunto” sostegno militare e politico al TPLF e al OLA, forze politiche e militari etiopi che hanno già garantito (durante colloqui riservati) un approccio radicalmente diverso e amichevole sulla questione della diga GERD qualora arrivassero al potere.

La dirigenza Amhara e il loro portavoce, Abiy, dovranno affrontare anche la sfida di rilanciare l’economia collassata dalla pandemia da Covid19 e dal costo delle due guerre in atto (Tigray e Oromia). Il piano di rilancio economico previsto da Abiy nel 2019 prevedeva la privatizzazione delle migliori aziende statali per “stimolare l’economia nazionale e aprirla al libero mercato”. Il processo di privatizzazioni (iniziato con la EthioTelecom) si è di fatto arenato. Gli investitori stranieri (arabi, cinesi e russi compresi) necessitano di un clima di pace per affrontare ingenti investimenti in Etiopia. Un clima che al momento non esiste. Anzi, nel immediato futuro i due conflitti hanno tutte le possibilità di aggravarsi, considerando anche che il principale alleato militare: il dittatore eritreo Isaias Afwerki che si sta ritirando dal conflitto per tentare di mantenere il potere in Eritrea.

Con gli Stati Uniti dichiaratamente sul piede di guerra e una Unione Europea che si pone al rimorchio della Casa Bianca in virtù del Patto Atlantico, alla dirigenza Amhara non rimane altro che rafforzare l’alleanza con Pechino e Mosca, ben consapevole che il Dragone Rosso e l’Orso Russo sono alleati che tendono a rendere schiavi i loro partner.

Dinnanzi alla realtà sul terreno la vittoria “bulgara” delle elezioni farsa del 21 giugno non ha alcuna importanza politica. I giochi tra Abiy e la dirigenza Amhara, tra governo centrale, Tigray e Oromia, tra Addis Ababa, Cairo e Khartoum verranno decisi a seconda dei rapporti di forza dei rispettivi contendenti che esulano dai risultati elettorali e dal “presunto” supporto popolare ad Abiy. Rapporti di forza che si concentrano sulla potenza militare, di cui, ahimè il governo etiope deficita dopo 8 mesi di pesanti sconfitte registrate nel Tigray.

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