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Etiopia, la tregua umanitaria per il Tigray non sembra funzionare

Etiopia, la tregua umanitaria per il Tigray non sembra funzionare

Il 24 marzo il governo etiope ha dichiarato “tregua umanitaria a tempo indeterminato” per poter agevolare l’invio e la consegna di supporto e materiale umanitario in Tigray.

Il governo del Tigray ha preso posizione dichiarando di “attuare una cessazione delle ostilità con effetto immediato” ed esortando anche la governance etiope ad accelerare la consegna di materiale umanitario e di prima necessità.

Mentre il mondo, in quelle ore, era impegnato a congratularsi con il premier etiope per la dichiarazione di “tregua umanitaria”, da indiscrezioni trapela la notizia che nella mattinata di sabato 26 marzo 32 autobus che trasportavano militari etiopi con pesanti equipaggiamenti militari hanno attraversato la regione Amhara, da Dessie in direzione di Kobo.

Non si ha certezza sulla reale motivazione.

Per alcuni osservatori ed analisti c’è il rischio che la tregua umanitaria sia solo una mossa per prendere tempo e poter ricompattare il comparto militare per continuare il conflitto e tenere in scacco il Tigray.

Quello che è sicuro è che dalla dichiarazioni di “tregua” da parte del governo etiope, nessuna consegna di aiuti umanitari in Tigray è stata ufficialmente segnalata e consegnata. Per questo un nuovo aggiornamento e comunicato da parte del Governo del Tigray è stato emanato proprio per sottolineare e denunciare che non ci sono stati arrivi di camion o consegne di materiale umanitario da quel fatidico 24 marzo.

Il dislocamento dei soldati della difesa etiope in Amhara, in zona di confine col Tigray fa presumere a qualche analista la possibilità di ricambio di forze militari: per ora sono solo ipotesi. C’è però da tenere alta l’attenzione verso tale attività considerando un paio di precedenti.

Il 21 giugno il premier etiope alle domande di un giornalista della BBC nel giorno di elezioni etiopi, aveva negato che in Tigray ci fosse fame e carestia.

Nello stesso periodo era arrivata anche la dichiarazione di “pace unilaterale” da parte del governo etiope. Pace unilaterale arrivata subito dopo che i partigiani del TDF – Tigray Defence Forces avevano riconquistato la capitale Mekellé. In seguito ci sono stati mesi di escalation su attacchi aerei verso il Tigray: sono stati feriti e uccisi centinaia di civili di ogni età, sesso e ceto rimasti feriti o uccisi. Sono morti anche bambini e rifugiati eritrei in terra tigrina. Colpiti campi IDP, case e scuole: senza la possibilità di cure da parte degli umanitari o dei pochi ospedali funzionanti (perché distrutti nei mesi precedenti dai soldati etiopi ed eritrei e dalle milizie amhara) perché in carenza quasi totale di medicinali e materiale di primo soccorso.

Domenica 27 marzo è uscita la notizia che il generale etiope, vice capo di stato maggiore dell’ ENDF – Ethiopian National Defence Forces, Abebaw Tadesse è andato in volo ad Asmara, capitale Eritrea. Non è trapelata la motivazione. Fin dall’ inizio della guerra in Tigray il novembre 2020, sono subentrati i soldati e le truppe eritrei, alleate dell’esercito etiope e dei soldati amhara. Oggi le truppe eritree sono ancora presenti sul territorio etiope, nonostante le molteplici richieste dalla comunità internazionale di ritirarli: sono ancora presenti nella zona di Irob, area montana, rurale e nord orientale del Tigray, come per altro anche le milizie amhara sono invece occupanti l’area nord occidentale tigrina, confinante col Sudan.

Il generale Tadesse, in una intervista pubblicata ed apparsa in rete a gennaio 2022, aveva affermato che la distruzione dell’economia e delle infrastrutture del Tigray era l’obiettivo della guerra ed è stato raggiunto con successo ed ha aggiunto:

“Finire il capitolo uno significa letteralmente che c’è il capitolo due. Ma Mekelle, il Tigray è il territorio d’Etiopia. Nessuno ci fermerà; entreremo, distruggeremo il nemico. Non c’è niente di controverso al riguardo.”

Ecco perché ad oggi il dislocamento di quei migliaia di soldati in zona di confine, lo scorso sabato, a molti analisti non fa presagire nulla di buono, sommato al fatto che ad inizio aprile 2022, ancora nessun comunicato ufficiale ha dichiarato la consegna o la ricezione di materiale umanitario in Tigray, dopo una settimana dalla “tregua umanitaria”.

L’unica via per i camion umanitari verso il Tigray passa per Semera, regione Afar: area ancora in conflitto, ma per la narrazione comune, forse l’unico tratto stradale percorribile a livello sicurezza, visto che le altre vie di acceso allo stato regionale tigrino sono state bloccate.

Ne ha fatto una analisi esaustiva il ricercatore Emnet Negash che in un suo report di febbraio 2022 ha elencato più di una decina di strade che per variati motivi sono stati volontariamente ed artificiosamente interrotti.

  • Massaua – Addi Kuala – Adwa: chiusa dall’Eritrea
  • Massaua – Tsorona – Enicho: chiusi dall’Eritrea
  • Massaua – Senafe – Adigrat: chiusi dall’Eritrea
  • Assab – Semera – Kuneba/Ab’ala/Weldiya – Mekelle: chiusi a volte dalle autorità Afar, più check point dal governo etiope, e da due settimane principalmente da grandi guerre
  • Gibuti – Semera – Ab’ala – Mekelle: chiusa dall’Etiopia e frequenti guerre
  • Gibuti/Addis – Weldiya – Alamata – Mekelle: chiuso dalla regione di Amhara
  • Dessie – Lalibela – Sekota – Korem/Samre/Yechila – Mekelle: chiuso dalla regione di Amhara
  • Bahir Dar – Debark – May Tsebri – Shire: chiuso dalla regione di Amhara
  • Bahir Dar – Gondar – Dansha – Addi Remets – Shire: accessibile solo fino ad Addi Remets; successivamente chiuso dalle milizie ENDF e Amhara
  • Bahir Dar – Gondar – May Kadra – Humera – Shire: chiuso da ENDF, EDF e Amhara
  • Port Sudan – May Kadra – Humera – Shire: chiuso dall’Etiopia
  • Port Sudan – Tesseney – Shire: chiuso dall’Eritrea

Il 29 marzo 2022 il governo etiope emana un comunicato in risposta alle diverse accuse del governo del Tigray che gli recriminava la mancata fornitura di alcun materiale umanitario dal giorno della “tregua umanitaria”.

Nella nota governativa si può leggere:

“Da notare che il governo etiope ha fermato il conflitto per amore dell’umanità per fornire aiuti umanitari alle persone bisognose e salvare le persone che si trovano in grosse difficoltà. Il governo etiope sta facendo molti passi da quando è stata presa la decisione [di tregua umanitaria n.d.r.]. I voli di due settimane da effettuare quotidianamente per diversi paesi.”

Queste parole sono l’ammissione che il governo aveva la capacità in tutti questi 17 mesi di guerra di inviare aiuti via aerea in Tigray, ma si è mosso solo dopo più di un anno per fornire supporto ai più di 6 milioni di tigrini.

Supporto che ancora oggi però è inconsistente: voli come una goccia nell’oceano, invio camion ed accesso in Tigray non ne sono ancora arrivati.

Il direttore dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, che ha dichiarato un Tigray bloccato “de facto” mesi fa è stato tacciato e denunciato dal governo etiope di essere colluso con i “ribelli” tigrini del TPLF – Tigray People’s Liberation Front: per altro, al tempo, anche lui fece parte del partito ricoprendo la carica di ministro della sanità etiope dal 2002 al 2012 durante il governo TPLF, partito capo coalizione che durò per 27 anni prima che arrivasse la governance del premio nobel per la pace Abiy Ahmed Ali.

Nuovamente in questi giorni di “tregua umanitaria” ancora sostanzialmente non praticata, il Dott. Tedros ha fatto sentire la sua voce per tutti gli etiopi bisognosi, recriminando il mancato arrivo di forniture umanitarie in Tigray: riconfermando implicitamente così che esiste e sussiste ancora un “blocco de facto” all’accesso ed alla consegna umanitari.

Ricordiamo che la guerra iniziata in Tigray il novembre 2020, si è svolta fin dall’inizio in un Tigray in blackout comunicativo ed elettrico, isolato dal resto del mondo. Solo dopo parecchi mesi è iniziato a trapelare quello che è capitato.

Oggi quel territorio è ancora in balia di guerra e volontà politiche che lo rende inerme, in agonia ed isolato, ed il suo popolo, più di 6 milioni di etiopi, sta solo aspettando aiuti, in mancanza di cibo, acqua, medicinali. I conti correnti ancora bloccati e le linee di comunicazione ancora non attive, come per altro gran parte delle infrastrutture sanitarie, ospedali saccheggiati o distrutti. Le aree rurali, se già prima della guerra erano poco praticabili, il conflitto le ha rese quasi totalmente irraggiungibili non solo per i residenti, ma anche per gli operatori umanitari.

Il conflitto sfociato anche nelle regioni vicine Amhara ed Afar, ha gettato così tutto il nord etiopia in una crisi umanitaria ad oggi più che allarmante producendo milioni di sfollati.

Secondo i ricercatori guidati dal professore Jan Nyssen dell’Università di Gand in Belgio, negli ultimi 17 mesi ben 500.000 persone sono morte a causa di guerra e carestia nella regione del Tigray, nel nord dell’Etiopia. La stima include da 50.000 a 100.000 vittime di omicidi diretti (massacri di massa ed anche uccisioni extragiudiziali), da 150.000 a 200.000 morti per fame e più di 100.000 morti aggiuntive causate dalla mancanza di assistenza sanitaria. Sarebbero invece più di 120.000 donne di ogni età e ceto sociale ad aver subìto sistematicamente stupro ed abusi perché etiopi di etnia tigrina. Sono ancora decine di migliaia i tigrini arrestati e in stato di arresto in campi di detenzioni, alcuni in luoghi non ben precisati e dalle modalità che ledono i diritti umani, come dichiarato da report di agenzie come HRW – Human Rights Watch.

Questo è un video di HRW del 22 novembre 2021 :

“Etiopia: sostenere le vittime sopravvissute allo stupro, consentire l’accesso di aiuti nel Tigray”

 

La diffusione del Coronavirus sale del 40% a Mekelle, nel Tigray, e la mortalità dei pazienti è salita al 21%.

I medici dell’ospedale di Ayder chiedono alla comunità internazionale e alle organizzazioni umanitarie di fare pressione sul governo etiope affinché finisca il blocco all’accesso in Tigray.

Mentre l’ultimo aggiornamento umanitario dell’UNOCHA ha rivelato “la pervasività della scabbia continua a essere una grande preoccupazione nel Tigray, con i casi in aumento di 8 volte da 384 casi individuati all’inizio dell’anno a più di 3.100 casi identificati durante la settimana del reportage.”

Al momento della pubblicazione di questo articolo, 1 aprile 2022, sono passati 514 giorni dall’inizio della guerra, dai risvolti etnici e genocidi, e di una crisi umanitaria che non sembra avere ancora fine.

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