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Etiopia. La crisi umanitaria dovuta alla siccità nel sud del paese

Mentre le regioni centrali sono colpite da forti rovesci, quelle più meridionali e orientali stanno sperimentando la quinta stagione senza piogge.

I cambiamenti climatici hanno acutizzato i fenomeni meteorologici che si abbattono sul Corno d’Africa, un quadrante di per sé già fragile e bisognoso di attenzioni. Circa 22 milioni di persone sono colpite in tutta la regione, secondo l’ultimo rapporto UNOCHA.

Donne Borana
Donne Borana

Nei territori dove vivono i Borana (una popolazione che abita il nord del Kenya e la parte meridionale dell’Etiopia) ormai non si vede una goccia d’acqua da ben tre anni e anche la stagione delle piogge prevista tra fine Marzo e Maggio è prevista “ben al di sotto della media” come riportato dal Famine Early Warning Systems Network. Tradotto, sarà la sesta stagione consecutiva priva di precipitazioni.

Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: milioni di capi (capre e mucche) morti, circa 150000 persone ospitate in oltre 20 campi per rifugiati interni, 867000 bisognose di assistenza alimentare immediata.

Come ben sanno i pastori Borana, i periodi di siccità ci sono sempre stati, ma mai prolungati come questo, che ormai va avanti da ben tre anni. I pastori hanno tentato di reagire alla siccità venendo capi pian piano per comprare il foraggio per il resto degli animali, ma ad un certo punto hanno dovuto soccombere, vendere le capre, abbattere gli animali morenti o semplicemente vederli morire di stenti.

L'area abitata dai Borana in Etiopia

Una tragedia per questo popolo. I Borana vivono da sempre una regione che valica i confini territoriali tra Etiopia e Kenya e da sempre la loro “ricchezza” si è misurata in capi di bestiame. Le famiglie, che possono arrivare a possedere 500 capi, si spostano in cerca di pascoli da un posto all’altro ed hanno da sempre reagito ai periodi siccitosi aiutandosi gli uni con gli altri nel ripopolamento delle mandrie e delle greggi.

Oggi il sistema dei Borana è messo in crisi. Gran parte di loro hanno dovuto ricorrere ai ripari, trasferendosi nel campo per sfollati interni di Dubuluk (uno dei venti campi ufficiali esistenti), che tra Dicembre 2022 e Gennaio 2023 già ospitava oltre 10000 persone.

La prima emergenza affrontata, quella del bestiame, è stata persa inesorabilmente. Oggi occorre affrontare quella per salvare decine di migliaia di vite umane, nel più breve tempo possibile. Ad oggi la risposta risulta insufficiente, i casi di malnutrizione sono ormai la normalità; l’assenza di cibo, protezione, servizi sanitari e denaro è ormai una costante non più sostenibile.

Situazioni aggravatesi a causa della convivenza forzata nei campi per i rifugiati. Alla crisi infatti si sono aggiunti casi di violenza sessuale, sfruttamento sessuale e di matrimoni forzati. In luoghi dove la maggior parte dei componenti sono donne con bambini, o giovani donne, la situazione potrebbe aggravarsi in maniera costante fino a divenire del tutto incontrollata.

I servizi dediti all’educazione sono insufficienti. Gli insegnanti e le scuole non riescono a soddisfare il numero crescente di sfollati, andando ad influire gravemente al tasso di abbandono scolastico tra i più giovani. Inoltre la mancanza di cibo influisce anche al livello di attenzione degli studenti. A stomaco vuoto, lo studio diviene un’attività impossibile.

Etiopia, grano, sicurezza, siccità: il fattore tempo in una crisi dimenticata

 

 

 

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