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Etiopia, in Oromia giovane giustiziato in pubblica piazza

Crisi e diritti umanitari violati non solo in Tigray. Si apprende da Addis Standard che l’ Ufficio Comunicazioni della zona di Kellem Wollega, nello stato Regionale dell’ Oromia, ha pubblicato un post su Facebook in cui annunciava che in città avevano “catturato e preso misure” verso “un membro di ‘Abba Torbe’ – Un nome associato ad un gruppo armato che opera sotto ‘Shene’”.

Shene, nome ufficioso con cui il Consiglio dei Ministri etiope il primo maggio ha chiamato l’ OLA – Oromo Liberation Army e che da quel giorno, assieme al TPLF vengono considerati dal governo etiope alla stregua di organizzazioni terroristiche.

Il post dell’ Ufficio Comunicazioni ha accusato il giovane senza nominarlo per nome, di “assassinare civili”.

Il citato “e preso misure” nei confronti del giovane, è una metafora orribile per dire che le forze di sicurezza lo hanno giustiziato in pubblica piazza, dopo essere stato “ferito e catturato”.

Secondo l’amministratore di Dembi Dollo, dopo aver attaccato un uomo chiamato Gemechu Mengesha e aver menzionato la recente uccisione del giornalista Sisay Fida, il giovane è stato colpito da colpi di arma da fuoco e ferito ad una gamba mentre cercava di svincolarsi dalla cattura.

Ore dopo questo annuncio, un filmato del giovane interrogato da membri armati delle Forze Speciali Oromo è stato pubblicato sulla stessa pagina Facebook con il titolo:

“Sono state prese misure su un membro di ‘Abba Torbe’”.

Il giovane si vede malconcio, i suoi abiti strappati, sanguinante per le ferite multiple e le mani legate dietro la schiena. Nel video si vede che ha anche una pistola appesa al collo, mentre risponde alle domande della sicurezza.

“Il mio nome è Amanuel Wondimu Kebede. Sono nato nel ’07’, zona Kellem Wollega, città di Dembi Dollo”, raccontava nel video.

Successivamente è emersa sui social media una foto di Amanuel, caduto ed esanime nello stesso punto in cui è stato girato il video: questo scatto ha provocando un’ ondata di indignazione generale.

Diversi testimoni oculari dicono che è stato giustiziato sul posto.

Un residente di Dembi Dollo, in maniera anonima ha testimoniato ad Addis Standard che l’ esecuzione è avvenuta in maniera pubblica.

“La situazione a Dembi Dollo è spaventosa” ha continuato riferendosi alla forte presenza delle forze di sicurezza in città.

“Ero nella zona conosciuta come ‘Manahariya’. Quando ho sentito degli spari, ho sùbito cercato di scappare. Pochi istanti dopo l’area è stata circondata dalle Forze Speciali Oromo che ci hanno portato alla rotonda. È stato allora che abbiamo visto un ragazzino, con una pistola appesa al collo.”

Ha dichiarato di aver sentito parlare un membro delle forze speciali Oromo verso i civili presenti, spiegando che il ragazzo era un membro degli “Abba Torbe”, una squadra della morte.

Continua il testimone:

“Abbiamo guardato più da vicino e siamo rimasti sorpresi di vedere che era un ragazzo che conoscevamo e del nostro quartiere, un alunno di nona elementare. Non potevamo crederci.”

Secondo lui, i suoi genitori sono stati portati sulla scena e gli è stato detto che il loro figlio era un membro di “Abba Torbe” e stava andando in giro a uccidere “molte persone”.

“Gli hanno sparato più volte mentre tutti lo guardavano” ha aggiunto.

“Il video che hai visto è stato registrato da membri delle Forze Speciali Oromo”.

Secondo il testimone il nome di nascita di Amanule è Gemechu Wondimu ed ha anche aggiunto che il suo funerale si è tenuto il giorno prima della sua dichiarazione (il 5 maggio).

Alla domanda sul perché Gemechu non sia stato assicurato alla giustizia invece di essere stato giustiziato pubblicamente, il capo dell’ufficio di sicurezza della zona di Kellem, Tesema Wariyo, ha detto a BBC Amharic:

“È stato confermato che Amanuel era un criminale”

Ameha Mekonnen, avvocato e attivista per i diritti umani, contrariamente ai commenti di Tesema, ha spiegato ad Addis Standard che questa azione è una grave violazione dei diritti umani in quanto un sospetto che è sotto custodia merita di essere messo sotto processo e  formalmente giudicato in tribunale.

Ameha ha anche sottolineato che il sospetto è stato colpito mentre era disarmato e non rappresentava una minaccia per le sue immediate vicinanze, il che costituisce un “omicidio di primo grado”.

Ha detto: “Gli ufficiali e l’amministrazione della zona dovrebbero essere ritenuti responsabili per non aver assicurato il giovane alla giustizia e per l’omicidio extragiudiziale”.

Ciò arriva pochi giorni dopo che la Commissione etiope per i diritti umani (EHRC) ha pubblicato un rapporto che descrive in dettaglio la massiccia repressione dei civili sospettati di essere membri o sostenitori di “Shene” nella regione di Oromia: un’accusa che è stata negata dal procuratore generale in Oromia.

La commissione ha espresso seria preoccupazione per il trattamento dei prigionieri detenuti senza che sia stata aperta un’indagine formale nei loro confronti e per il fatto che non erano stati portati dinanzi al tribunale entro i tempi previsti dalla legge.

Alcuni dei detenuti che hanno dato la loro testimonianza all’EHRC hanno affermato di essere stati portati in altri luoghi senza la loro volontà e di essere stati costretti a indossare uniformi della milizia e parrucche dove sono stati filmati mentre impugnavano armi da fuoco. Alcuni degli amministratori della prigione hanno ammesso all’EHRC il trasferimento dei detenuti in altri centri di detenzione, ma hanno negato di averli filmati o offerto altre spiegazioni.

Nel rapporto, il commissario EHRC Daniel Bekele (PhD) ha affermato che “è necessaria un’attenzione particolare per garantire che i processi di persone sospettate di crimini siano gestiti solo dai tribunali regolari e che gli ordini dei tribunali siano debitamente rispettati dalle autorità regionali”.

I ripetuti tentativi di Addis Standard di contattare sia il capo dell’ufficio di comunicazione della Regione dell’ Oromia che il comandante delle forze speciali Oromo sono stati inutili e senza risposta.

Il caso di questo ragazzo potrebbe sembrare un caso isolato, su più di 110 milioni di abitanti che conta l’ Etiopia, ma purtroppo a guardar bene è tutto connesso.

La guerra iniziata tra il 3 ed il 4 novembre in Tigray voluta dal Premier Abiy Ahmed Ali per stanare, bloccare e destituire il TPLF, capofila di una coalizione che ha governato l’ Etiopia per quasi 30 anni, ha scoperchiato il vaso di Pandora.

La veloce azione di polizia che voleva Abiy, si è trasformata ben presto in guerra etnica: si sono viste fin da subito le evidenze di repressione dei tigrini: licenziati dai posti di lavoro, conti correnti bloccati (per prevenire eventuali “donazioni” alla causa di supportare il TPLF nella guerra), allontanamento di personale militare di etnia tigrina dall’ esercito governativo etiope (si ipotizza che siano 17000 soldati tigrini al fermo e destituiti).

Il primo maggio 2021 il governo etiope ha legittimato questa repressione con la dichiarazione ufficiale da parte del Consiglio dei Ministri di classificare i membri del TPLF e del’ OLA – Oromo Liberation Army come organizzazioni terroristiche.

Con questa mossa governativa, azioni come l’ uccisione extragiudiziale di Amanuel avranno piede libero se il governo di Abiy non arriva a mettere un freno alle tensioni etniche pregresse alla guerra in Tigray.

L’ Etiopia unita cercata e voluta con tutte le forze da Abiy Amhed Ali e da tutto il mondo politico occidentale che lo supporta, non potrà mai esserci se rimarrà volontà di uno e non condivisa da tutto il popolo etiope.

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