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Etiopia, gli ostacoli alla pace: economia, Eritrea, milizie regionali. Quali possibili vie d’uscita?

All’inizio di questo anno, dopo 15 mesi di guerra, sembrava che il conflitto fosse entrato in una nuova fase, tanto da rendere speranzosi anche i più pessimisti.

I costi della guerra nel Tigray, con 500mila morti, oltre 5 milioni di sfollati interni e quasi 70mila nel vicino Sudan, la fine dei combattimenti e l’annuncio della tregua aveva infuso nei diretti interessati e negli osservatori più attenti, un pizzico di speranza.

La shuttle diplomacy messa in piedi dall’inviato dell’Unione Africana Olusegun Obasanjo, dall’inviato americano per il Corno d’Africa e dal Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, aveva portato la comunità internazionale a pensare che gli sforzi per arrivare ad una pace fossero reali e perseguibili.

DIALOGO NAZIONALE

Le operazioni che avrebbero dovuto portare ad un piattaforma per il dialogo nazionale sono risultate lente ed opache; l’esclusione di alcune forze di opposizione dalla Commissione per la pacificazione ed il dialogo nazionale non ha fatto altro che esacerbare ulteriormente gli animi, facendo perdere di slancio tutti gli sforzi per la pace degli attori internazionali e regionali.

La complessità delle rivendicazioni territoriali e delle istanze etnico-nazionalistiche è alla base di questa macchinosa lentezza e della reazione del governo di Addis Abeba alle pressioni dei movimenti nazionalistici nella fase post bellica.

Il primo ministro eletto Abiy Ahmed con la speaker del Parlamento Muferiat Kamil – Reuters

Il governo, in una previsione politica di uno scenario post bellico, aveva previsto l’intensificarsi delle rivendicazioni politiche ed economiche delle organizzazioni formali e non, di livello regionale; l’incapacità di gestione e di contenimento di queste spinte centrifughe ha spinto Addis Abeba ad una reazione di forza, ponendo di fatto uno stop al processo di pacificazione nazionale.

ERITREA

Come sottolineato più volte, il coinvolgimento dell’Eritrea nel conflitto contro la leadership del Tigray non sarebbe stata una sortita mordi e fuggi. La presenza eritrea nelle zone in prossimità del confine è tutt’oggi confermata, così come gli scontri con le forze del TDF, come avvenuto nella notte tra il 28 e 29 Maggio, con il bombardamento della città di Shiraro.

La guerra nel Tigray ha fornito l’opportunità al presidente Isaias Afwerki, di regolare antichi conti con il TPLF e occupare il territorio di confine conteso di Badme. A più riprese la comunità internazionale ha richiesto al Presidente Afwerki di disporre il ritiro dall’Etiopia delle proprie truppe, appelli formalmente accettati, ma mai praticamente rispettati.

Eritrean President Isaias Afwerki, center left, is welcomed by Ethiopia’s Prime Minister Abiy Ahmed, center right, upon his arrival at Addis Ababa International Airport, Ethiopia. (AP Photo Mulugeta Ayene,

Le motivazioni del silenzio da parte del governo etiope, in merito alla presenza eritrea sul suolo nazionale, vanno ricercate nella paura di perdere un partner risultato indispensabile nel contenimento delle operazioni delle truppe del TDF.

Un contesto del tutto favorevole al Presidente eritreo, che da buon giocatore sa fare dell’attesa un plus politico e strategico; una situazione ideale per espandere la propria influenza nella regione, senza dover rinunciare al sogno di un Tigray “libero” dal Tplf.

AHMARA

Come già riportato su queste pagine, sono oltre 4000 le persone poste in detenzione nella regione dalle forze di polizia. Tra di loro attivisti politici, ufficiali delle milizie Fano, giornalisti e leader anziani delle comunità. Le rivendicazioni della comunità ahmara, la contesa delle terre a confine con la regione dell’Oromia, gli scontri avvenuti con le forze federali, secondo il governo sarebbero parte di “movimenti destabilizzatori” tesi ad aumentare l’influenza ahmara sul governo centrale.

L’apporto delle milizie Fano alla guerra contro il Tplf, la loro partecipazione ai combattimenti contro l’Oromo Liberation Army (OLA) in Oromia e nel Benishangul Gumuz ha reso le milizie sempre più essenziali per la sicurezza nazionale. In tal senso il tentativo di regolarizzare le Fano nel novembre 2021, ponendole sotto il controllo delle forze di sicurezza federale. Tentativo andato immancabilmente a vuoto.

Nel Marzo 2022, il governo ha proceduto all’incarcerazione di alcuni ufficiali della milizia e a disarmare migliaia di combattenti presenti nella regione, salvo poi riarmarne un certo numero per utilizzarli in Oromia contro i combattenti dell’OLA.

Arresti a cui sono seguiti quelli di giornalisti, attivisti politici e leader di organizzazioni civili. Arresti che potrebbero portare la regione a divenire un nuovo serbatoio per l’opposizione al Primo Ministro Abiyh Ahmed Ali, con il rischio che si saldi con altri ben più noti in tal senso.

AFAR

Anche in questo caso, il risentimento verso il governo centrale è alto. La fondamentale partecipazione delle milizie Afar alla seconda fase della guerra contro le forze del TDF, arrivate a 160 km dalla capitale e respinte attraverso un’energica azione di contrattacco sulla direttrice A1 (che collega Dessie a Semera, nella regione Afar) ha portato il governo regionale Afar credere ad un apporto altrettanto sostanziale durante l’occupazione del nord della regione da parte dei tigrini.

I combattimenti sono andati avanti per mesi (l’ultimo tentativo dei tigrini di aprire una via di accesso agli aiuti umanitari) ed hanno portato la guerra le zone 2 e 4 della regione, coinvolgendo in maniera particolare i distretti di Abala, Berhale, Dalol, Erebti, Koneba e Megale, provocando 220mila sfollati in una regione geograficamente impervia e climaticamente inospitale.

Al centro delle accuse da parte tigrina, il governatore della regione Afar, Awol Arba. Al netto del tentativo di liberare i camion degli aiuti alimentari fermi nella regione da mesi e destinati al Tigray, secondo il portavoce del Tplf, Getachew Reda, l’occupazione dei territori in prossimità del confine regionale, avrebbero avuto ragione a causa delle operazioni manovrate dalle milizie e dall’esercito eritreo, al fine di determinare lo sgretolamento progressivo del Tigray, attraverso una pressione costante sui confini ed il blocco degli aiuti umanitari.

OROMIA

Gli scontri armati nell’East Wellega con i combattenti dell’OLA, registrati nelle ultime due settimane, hanno reso il confronto con il governo ancora più acceso. I membri dell’OLA hanno accusato più volte le milizie Fano e i militari dell’ENDF di atrocità nei confronti di contadini e pastori oromo.

Gli oromo, all’indomani dell’annullamento delle elezioni, hanno rivendicato a gran voce l’autodeterminazione della loro autonomia in direzione contraria rispetto alla centralizzazione del potere di cui accusano il Primo Ministro.

Secondo il portavoce dell’OLA, Odaa Tarbii“c’è una campagna di propaganda mirata a cancellare non solo l’OLA ma il popolo Oromo nel suo insieme. La milizia Amhara ha commesso omicidi efferati e ha tentato di fomentare conflitti etnici”.

Dietro le accuse degli oromo vi sarebbero rivendicazioni di “terre ancestrali” da parte della comunità ahmara; rivendicazioni per le quali avrebbero più volte chiamato alla mobilitazione gli uomini in età adulta.

ECONOMIA

L’aumento dell’inflazione e la carenza di valuta forte, stanno facendo salire il prezzo del dollaro al mercato nero. Come riporta Bloomberg, il birr è stato scambiato sul mercato informale. a 82 birr per dollaro quando il cambio ufficiale è a 52 per dollaro; un meno 26% rispetto al mese precedente.

La banca centrale etiope notando un aumento consistente dell’uso di criptovalute, ha spinto il governo a renderle illegali. L’uso di criptovalute infatti, verrebbe -a detta del governo- “utilizzata per flussi finanziari illeciti e riciclaggio di denaro”.

I prezzi al consumo sono aumentati del 37% annuo ad aprile, principalmente a causa dell’aumento dei costi di cibo e carburante, come mostrano gli ultimi dati disponibili dell’Agenzia centrale di statistica, e i costi hanno continuato ad aumentare anche a causa delle difficoltà insorte e legate alla guerra tra Russia ed Ucraina.

1 birr – Valuta nazionale etiope

Il governo, quindi, ha reagito procedendo a importanti tagli alla spesa per cercare di diminuire la pressione sui prezzi, riducendo le allocazioni in valuta estera al settore privato. Questo ha portato molti importatori di valuta a sfruttare il mercato nero. Questa stretta sulla valuta estera, sulla quale già pesava il controllo ferreo da parte della Banca centrale etiope, si sta traducendo secondo Irmgard Erasmus, economista di Oxford Economics, in una carenza di prodotti, determinato anche dall’accumulo di scorte da parte delle aziende (in previsione di tempi di magra).

Il governo potrebbe agire, deprezzando in maniera controllata la valuta nazionale, ma ciò comporterebbe in maniera immediata ad un picco dell’inflazione.

Come detto, sembra una vera e propria tempesta perfetta.

QUALI VIE D’USCITA?

Come riuscirà l’Etiopia a gestire problemi così complessi? Un paese nel cui architrave risiedono queste complessità, che ne hanno fatto un paese affascinante e storicamente unico al mondo, si trova oggi ad affrontare spinte centrifughe alla propria unità, come mai fino ad oggi, se consideriamo la storia recente dal 1991 ad oggi.

Perseguire un progetto di pacificazione nazionale inclusivo, anche delle forze dichiarate come “terroristiche”, come il Tplf e l’OLA, creando fiducia e affrontando le preoccupazioni sull’imparzialità del processo, potrebbe essere una risposta, almeno iniziale.

A ciò andrebbe sicuramente aggiunta l’estensione della tregua anche all’Oromia, per far cessare i combattimenti con l’OLA e valutare il rilascio di civili oromo, ahmara e tigrini, detenuti sulla base di una profilazione etnica; ad oggi sono decine di migliaia le persone incarcerate solo in base alla loro appartenenza etnica.

La complessità dei rapporti tra le regioni ed i popoli che le abitano, possono anche dipendere da procedimenti lunghi, ampi, che tengano conto di dinamiche storiche, politiche e sociale.

Ciò che è certo è che solo perseguendo tale corso, in maniera costante e coraggiosa, si potrà arrivare ad un risultato: ad esempio, sfruttando gli strumenti a disposizione, come la Camera della Federazione etiope, costituzionalmente autorizzata a risolvere le controversie sui confini interregionali.

Affrontare la crisi alimentare, economica e sociale, la siccità, permettendo alle agenzie internazionali di inviare gli aiuti alimentari dove occorrono, con un occhio di riguardo al Tigray, letteralmente devastato dalla guerra, regione in cui si registra una delle crisi umanitarie più gravi al mondo.

L’insicurezza è un freno alla crescita del paese, un peso che si abbatte su tutto.

Potrebbe apparire una pace sfuggente ed allo stato attuale lo è a tutti gli effetti, ma l’alternativa potrebbe essere il colpo finale alla tenuta del paese, identitaria e sociale.

L’aggravarsi della situazione alimentare mondiale, dovuta all’aggressione russa all’Ucraina, potrebbe divenire in alternativa e ben presto, il fattore che deciderà tutto, senza osservazioni, distinzioni né particolare attenzione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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