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Mar Rosso

Etiopia. Abiy Ahmed vuole un porto sul Mar Rosso

Lo sbocco sul Mar Rosso è un’annosa questione che ciclicamente scuote la società etiope. Dal 1993, anno dell’indipendenza dell’Eritrea, la preclusione allo sbocco al mare è divenuto un tarlo che ha corroso interi governi e non per ultimo quello di Abiy Ahmed.

Lo scorso 13 Ottobre, durante una seduta del Parlamento etiope, è stata presentata una bozza di un documento denominato “L’interesse nazionale dell’Etiopia: principi e contenuti”, elaborato – ironia della sorte –  dal Ministero della Pace, nel quale si riaffermano gli interessi nazionali (economici, strategici e politici) sul Mar Rosso.

Alla luce dei recenti sviluppi geopolitici nel Corno d’Africa e alle iniziative economiche e strategiche come la Belt & Road, la nuova via della seta cinese, l’Etiopia mira a riaffermare un suo presunto diritto ad uno sbocco sul mare, dove poter creare un proprio hub logistico e controllare in maniera strategica il Golfo di Aden.

Il paese teme l’esclusione forzata dal grande progetto strategico e commerciale della Cina, attualmente primo partner commerciale etiope. Il 17 Ottobre il primo ministro dell’Etiopia Abiy Ahmed Ali è volato in Cina per partecipare al terzo Belt and Road Forum per la cooperazione internazionale ed è stato accolto dal presidente Xi Jinping nella Grande Sala del Popolo. Xi Jinping si è congratulato con l’Etiopia per aver aderito al meccanismo di cooperazione BRICS su invito e ha sottolineato che l’Etiopia è un partecipante importante allo sviluppo dell’iniziativa Belt and Road (BRI).

La presenza di numerose potenze straniere, in special modo nei porti di Djibouti e la regione Afar, dal 1993 senza uno sbocco sul mare, hanno portato il PM Abiy Ahmed a ripensare il Mar Rosso come base dello sviluppo del paese.

Non a caso, intervenendo a. margine dell’incontro, non si è lasciato sfuggire l’occasione per sottolineare il punto: “Il Mar Rosso e il Nilo sono determinanti per l’Etiopia, sono la base del suo sviluppo o in alternativa potrebbero sancire la sua scomparsa“.

Un obiettivo divenuto dominante nell’agenda politica del governo in pochissimi giorni, tanto da portare il Primo Ministro ad affermare che il paese è pronto a intraprendere qualsiasi strada, sia essa diplomatica che militare, per raggiungerlo. La rivendicazione di un diritto naturale, un principio di “equità e giustizia” al quale il paese deve tendere e che deve rivendicare a gran voce.

Vogliamo lavorare per l’ottenimento di un porto con mezzi pacifici, ma se ciò non fosse sufficiente, siamo pronti all’uso della forza”, ha affermato, salvo poi fare una marcia indietro qualche giorno dopo, durante le celebrazioni per la 116ma “Giornata dell’Esercito” tenutesi a Meskel Square il 26 Ottobre, durante le quali ha posto l’accento sul fatto che ” l’Etiopia non ha un programma da realizzare attraverso l’uso della forza“, cercando di smorzare le preoccupazioni emerse recentemente riguardo ad un potenziale conflitto sulla questione.

Durante il suo discorso, il Primo Ministro Abiy ha rassicurato le forze di difesa e l’opinione pubblica etiope che il Paese non ha alcun programma nascosto che richieda l’uso della forza. Invece, l’Etiopia mira a promuovere relazioni di cooperazione con le nazioni vicine al fine di ottenere benefici condivisi, sviluppo e prosperità. Ha aggiunto: “Non useremo la forza contro i nostri fratelli per imporre i nostri interessi“.

Ma facciamo un piccolo passo indietro. E’ il settembre del 2018, la nave commerciale etiope “Mekelle” attracca nel porto eritreo di Massawa; un evento storico dovuto al riavvicinamento dell’Etiope al paese fratello, dopo venti anni di guerre e tensioni, in parte rientrati con l’ascesa al governo del Primo Ministro Abiy Ahmed, che ha cercato di ricucire le relazioni tra le due nazioni.

In seguito l’autorità portuale eritrea improntò un vasto programma di manutenzione e allargamento dei porti di Massawa ed Assab, impegnando ben 58 milioni di dollari per far si che i due hub riuscissero a gestire 2,5 milioni di tonnellate di merci come da obiettivo.

L’Etiopia ha successivamente improntato una delegazione etiope di alto livello guidata da Alemu Sime (PhD), ministro dei trasporti e della logistica del governo etiope, con il governo del Somaliland per lo sfruttamento del porto di Berbera e del Kenya per catalizzare i vari progetti infrastrutturali presenti nella regione (come il Lamu Port-South Sudan -Ethiopia Transport denominato LAPSSET).

Tour diplomatici e commerciali che non avevano preoccupato più di tanto gli altri attori regionali, non come le recenti dichiarazioni del governo etiope che invece hanno fatto salire il livello d’allerta dei vicini, timorosi che le ultime posizioni possano far scatenare un ultimo conflitto nella regione.

Ad oggi l’Etiopia dipende da Djibouti per l’85% delle proprie esportazioni ed importazioni che avvengono via mare, ma le recenti frizioni tra il governo etiope e quello eritreo, dovute anche alla guerra nel Tigray ed agli strascichi ad essa connessi, come la perdurante presenza di truppe eritree nel nord della regione (al netto della firma degli accordi di Pretoria che hanno messo fine al conflitto), hanno riacceso le frustrazioni etiopi legate alla perdita dei porti di Massawa ed Assab conseguenti alla guerra con l’Eritrea, con la quale quest’ultima raggiunse l’indipendenza.

 

 

 

 

 

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