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Eritrea. Scontri interni alla diaspora in tutto il mondo. Cosa c’è dietro?

In diversi paesi europei e del Medio Oriente, durante l’estate, sono scoppiati scontri violenti tra fazioni diverse interne alla diaspora eritrea. In Canada, Svizzera, in Svezia, Norvegia, Paesi Bassi, Germania ed Israele, gli scontri si sono avuti sempre a margine di festival culturali, additati da una parte della diaspora come “tour propagandistici” del regime di Isaias Afwerki.

Durante l’ultimo weekend di Agosto, scontri violenti si sono registrati a Tel Aviv. Alcuni manifestanti anti-governativi, hanno tentato di forzare un cordone di sicurezza a difesa di un evento culturale organizzato dall’ambasciata eritrea, scatenando la reazione della polizia israeliana, che ha respinto i manifestanti con gas lacrimogeni, granate assordanti e infine proiettili veri, mentre militari a cavallo hanno disperso i manifestanti.

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Appartenenti al gruppo filo regime eritreo Eri-Mekhete durante gli scontri di Tel Aviv dell’Agosto scorso.

Ne sono nati tumulti violentissimi tra le fazioni avverse di manifestanti, che hanno lasciato sul campo oltre 170 feriti. Casi che hanno sconvolto la società civile israeliana, tanto da interrogare il governo di Benjamin Netanyahu, che in quell’occasione aveva intimato di non oltrepassare “la linea rossa” , ordinando alle forze di polizia di allontanare tutti “gli infiltrati illegali” tra i migranti africani.

Rivolte che hanno riportato la questione della presenza di migranti africani al centro dell’agenda politica israeliana, tanto da indurre il Primo Ministro a scagliarsi contro la Corte Suprema, a sua detta, colpevole di aver bloccato sul nascere il tentativo del governo di rimpatriare migliaia di migranti subsahariani.

Lo scorso 4 Agosto una protesta pacifica si è trasformata in una vera e propria guerriglia nella periferia di Stoccolma; il tutto è avvenuto durante la prima giornata del “Festival Scandinavo della Cultura Eritrea”, festival che si tiene annualmente dal 1990, percepito da una parte della diaspora come uno strumento di propaganda del regime e accompagnato da fortissime critiche. Gli scontri hanno provocato 52 feriti e ben 100 arresti.

Ieri, a Netanya, in Israele, un uomo eritreo è stato accoltellato a morte durante una rissa che ha lasciato a terra altri otto feriti. Uno dei filmati che riprendono via Herzl, dove è accaduto il fatto, mostrerebbero la rissa interrotta dall’arrivo della polizia, costretta a sparare in aria per disperdere i presenti. La polizia israeliana sospetta che l’accoltellato fosse un manifestante contro il regime eritreo.

A seguito di ulteriori indagini sono state arrestate dieci persone, trovate in possesso di bastoni ed armi bianche e in procinto di organizzare altre aggressioni in seno alla comunità eritrea.

Un caso che ha chiuso una scia di aggressioni, succedutesi nell’ultima settimana, che hanno sconvolto anche la città di Tel Aviv, con un uomo ucciso a coltellate e due persone in gravi condizioni finite in ospedale.

Secondo Mirjam van Reisen, docente di relazioni internazionali presso l’Universita di Tilburg, in Olanda, ciò che starebbe accadendo lo si deve soprattutto alla presenza di frange di supporter del regime eritreo, organizzate, supportate e foraggiate dal regime stesso, denominate EriBlood, 52 o Eri-Mekhete e 4-G (la G starebbe per generazione).

Questi gruppi non sarebbero affatto unioni di cittadini improvvisate, bensì la lunga mano del regime, gruppi ben strutturati, di contrasto (il termine “mekhete” si riferisce alla difesa, alla lotta da nemici esterni) al dissenso all’interno della diaspora, pronti anche ad azioni violente e ad imbracciare armi, come più volte documentato, anche negli scontri avvenuti in Israele.

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Un frame di un video ripreso da una telecamera di controllo, durante gli scontri di Tel Aviv. Le immagini mostrano chiaramente come alcuni degli appartenenti al gruppo Eri Mekhete fossero armati.

A Opfikon, un Comune vicino a Zurigo, il 2 settembre, circa duecento persone si sono affrontate rendendo necessaria un’importante operazione di polizia; almeno 12 persone sono rimaste ferite, e due festival previsti a Un festival simile era stato programmato a Rüfenacht, vicino a Berna, e a Canton San Gallo, sono stati cancellati per motivi di sicurezza.

La diaspora eritrea è fortemente divisa, tra i manifestanti contro il regime di Isaias Afwerki, al governo del paese dal 1993 (anno dell’indipendenza) ed i sostenitori del Fronte Popolare per la Democrazia e la Giustizia (PFDJ), il movimento politico attualmente al potere in Eritrea, successore del passato Fronte di Liberazione del Popolo Eritreo (EPLF) e unica entità giuridica politica esistente in Eritrea.

Una divisione fortemente ancorata anche ad una questione generazionale. Una parte non indifferente dei migranti eritrei presenti in Europa è arrivata nel continente prima del 1993, ed è fortemente legata alla storia nazionale della lotta per l’indipendenza, alla figura di Isaias Afwerki come eroe nazionale, al Fronte di Liberazione del Popolo Eritreo (EPLF).

Una posizione nettamente diversa rispetto a chi invece è emigrato negli anni 2000, arrivato attraverso la rotta del Mediterraneo, ed ha sperimentato la vita sotto il regime di Afwerki, la repressione del dissenso interno, il servizio di leva obbligatorio e a tempo indeterminato, la mancanza totale di libertà di espressione e di una stampa libera.

Costoro infatti, sostengono che i festival eritrei, organizzati da enti culturali ed associazioni legate alle ambasciate ed ai consolati, siano un modo per reclutare nuovo materiale umano per la causa, raccogliere denaro sotto forma di erogazioni liberali in valuta estera e controllare il dissenso all’interno della diaspora.

Posizioni all’interno delle quali trovano gioco forza le pressioni alle quali il continente africano è sottoposto in campo geopolitico. Se da una parte, le parti della diaspora filo-regime si identificano con posizioni pro-Russia, i manifestanti anti-regime invece, sono chiaramente e pubblicamente legate a valori filo-occidentali.

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Manifestanti eritrei arrestati nei recenti scontri di Stoccarda. Jason Tschepljakow/dpa/picture alliance

L’Eritrea sta alimentando il conflitto tra gli emigrati all’estero?

Secondo una parte della diaspora è proprio questo l’obiettivo; l’essere fuggiti dalla propria patria non è sufficiente, perché il regime vuol sapere che non smetterà mai di cercare i cittadini eritrei, nemmeno nei paesi dove hanno trovato rifugio.

L’Eritrea non gode affatto di buona salute nel campo dei diritti umani e i migranti che vivono all’estero dicono di temere la morte se dovessero tornare nella loro patria. Ciò però non si famerebbe ai confini nazionali, ma andrebbe oltre, colpendo al di fuori dei confini, attuando stratagemmi per metterli in conflitto con i paesi ospitanti.

Una percentuale molto alta di migranti eritrei, infatti, gode nei paesi europei dello status di rifugiato politico. In Germania, all’86% di costoro è stato concesso l’asilo politico nel primi sei mesi del 2023.

Oltre all’alto prezzo delle spese di polizia, alle spese mediche sostenute dalle nazioni che ospitano i migranti eritrei, ci sono altre implicazioni sociali, politiche e diplomatiche. La politica interna di un paese ospitante deve rispondere anche a logiche legate al consenso, a maggior ragione se si è vicini a tornate elettorali politiche ed amministrative.

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Un uomo ferito in seguito agli scontri di Tel Aviv.
Keystone / Atef Safadi

Dopo gli incidenti di Tel Aviv, in Israele, dove gli eritrei costituiscono la maggior parte dei 25.000 richiedenti asilo africani che vivono nel paese, Netanyahu ha detto durante un incontro con un comitato ministeriale incaricato di affrontare le conseguenze della violenza che una “linea rossa era stata ormai superata” e che ” il paese non è disposto ad accettare alcuno spargimento di sangue e illegalità“.

Dopo gli scontri di agosto a Stoccolma, il ministro della Giustizia svedese Gunnar Strommer ha affermato che non è giustificabile che il suo paese sia coinvolto nei conflitti interni di altre nazioni.

Se fuggi in Svezia per sfuggire alla violenza o sei in visita temporanea, non devi causare violenza qui. Le risorse della polizia sono necessarie per scopi diversi dal mantenere diversi gruppi separati l’uno dall’altro“, ha detto in una dichiarazione scritta all’agenzia di stampa svedese TT.

Allo stesso modo, il ministro degli Interni dell’Assia Peter Beuth ha espresso indignazione dopo la rivolta di luglio a Giessen. “I nostri agenti di polizia non sono una fermata cuscinetto per i conflitti nei paesi terzi“, ha affermato.

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Uno dei manifestanti fermati dalla polizia a Tel Aviv.
Photo credit: AFP

Questo sta creando i presupposti per un inasprimento dei controlli sulle concessioni degli status di rifugiato politico utili alla concessione dell’asilo da parte di alcuni stati europei, creando problemi ulteriori agli eritrei che fuggono dall’oppressione del regime.

In tutto questo, ironia della sorte, il governo eritreo si rifiuta di accettare rimpatri non volontari da qualsiasi Paese; un cittadino eritreo sa benissimo che se torna in patria, lo deve fare di propria volontà. Il problema è uscire, non entrare, anche se una volta rientrati, quale sia il proprio destino, è davvero difficile dirlo.

 

 

 

 

 

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