Skip to content

Egitto, la repressione delle proteste contro la crisi economica

La crisi economica in corso in Egitto, fresco di nomina come “paese sicuro” dall’Italia, ha aggravato le condizioni di vita di decine di milioni di persone che già vivono in povertà o sono a rischio di povertà. A febbraio, il prezzo dei generi alimentari è aumentato del 48,5 per cento rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, mentre l’inflazione annuale ha raggiunto il 36 per cento, secondo l’Agenzia centrale egiziana per la mobilitazione pubblica e le statistiche.

Anziché cercare di migliorare la situazione, le autorità egiziane hanno intensificato la repressione contro manifestanti, lavoratori in sciopero e persone che esprimono critiche online sulla gestione della crisi economica da parte delle autorità.

Tra gennaio e marzo 2024, Amnesty International ha documentato quattro casi di arresti e detenzioni arbitrarie di persone in tre governatorati che si erano lamentate dell’aumento dei prezzi nei commenti sui social media. Le autorità hanno anche interrogato decine di lavoratori di un’azienda del settore pubblico che aveva partecipato a uno sciopero a febbraio per chiedere il pagamento del salario minimo; due sono ancora detenuti arbitrariamente. Le forze di sicurezza hanno anche disperso una manifestazione a marzo, in cui i manifestanti hanno accusato il presidente Abdel Fattah al-Sisi di “affamare” i poveri, e hanno arrestato alcuni partecipanti.

Il 22 febbraio, migliaia di lavoratori dell’azienda tessile Ghazl Al Mahla, un’impresa del settore pubblico nel governatorato di al-Gharbiya, hanno partecipato a uno sciopero chiedendo un aumento delle indennità per i pasti e degli stipendi per soddisfare il nuovo salario minimo nazionale, secondo il Centro per i servizi ai sindacati e ai lavoratori (Center for Trade Union & Workers Services, Ctuws), una Ong egiziana. Il 29 febbraio, i lavoratori hanno terminato lo sciopero dopo che il 25 febbraio il ministero per gli Affari pubblici ha emanato un decreto che fissa il salario minimo per tutte le imprese pubbliche a 6000 lire egiziane.

La Ctuws ha riferito ad Amnesty International che durante lo sciopero l’Nsa ha convocato circa 28 lavoratori, li ha interrogati senza un avvocato e li ha trattenuti in isolamento per periodi che vanno da uno a tre giorni. Tutti sono stati scarcerati, tranne due lavoratori che sono stati deferiti all’Sssp, che ha aperto un’indagine contro di loro con l’accusa fasulla di “adesione a un gruppo terroristico” e pubblicazione di “notizie false”. Al momento, si trovano ancora in detenzione preventiva.

Il 15 marzo la polizia ha disperso decine di dimostranti pacifici che manifestavano ad al-Dakhilah, nel governatorato di Alessandria, per l’aumento del costo della vita, arrestandone, secondo i media locali, un numero non definito. I video della protesta circolati su X mostrano i manifestanti sollevare un cartello con la scritta “Ci affami, Sisi”.

Secondo Ahmed Al Attar, direttore esecutivo della Rete egiziana per i diritti umani, un gruppo indipendente, la polizia ha poi trasferito i detenuti in un ufficio dell’Nsa ad Alessandria. Tra gli arrestati c’era un sottoufficiale dell’esercito che è stato sottoposto a sparizione forzata per almeno cinque giorni prima di essere deferito al tribunale militare di Alessandria. Secondo fonti informate, il 23 aprile il tribunale lo ha condannato a otto anni di carcere e ha ordinato la sua radiazione. Gli avvocati per i diritti umani hanno dichiarato ad Amnesty International di non avere informazioni sugli altri manifestanti arrestati e di non sapere se siano stati perseguiti o rimessi in libertà senza accuse.

Torna su