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Egitto, chi esce dalle prigioni e chi resta dentro

Il ritorno in libertà, dopo oltre 10 anni di carcere, di Ahmed Douma, uno dei più importanti prigionieri di coscienza egiziani, è stato un evento molto importante.

Poeta, giornalista, protagonista della rivoluzione del 2011, Douma ha contribuito alla nascita dei più importanti movimenti egiziani di protesta di questo secolo, da “Kefaya” (“Ora basta”) alla Coalizione dei giovani rivoluzionari. Entrato in carcere nel 2013, era stato condannato all’ergastolo con pena ridotta a 15 anni per “i fatti del Consiglio dei ministri” (quando, nel dicembre 2011, le forze di sicurezza sgomberarono dopo tre settimane un sit-in di fronte alla sede del governo, dando vita a duri scontri con i manifestanti).

Douma è stato compagno di prigionia di Patrick Zaki, che lo definisce il suo mentore, e di Alaa Abd el-Fattah, il più importante prigioniero di coscienza, il “Gramsci d’Egitto”. Proprio quello scritto a quattro mani è il testo più straordinario dei “quaderni dal carcere” di Alaa (“Non siete stati ancora sconfitti, pubblicato in Italia da hopefulmonster).

È indubbio che in Egitto si stia muovendo qualcosa: il riattivato comitato presidenziale per la grazia ha raccomandato la scarcerazione di centinaia di prigionieri, tra i quali Patrick Zaki e Mohamed el-Baqer, l’avvocato di Alaa.

Ma è stato lo stesso Ahmed Douma, in una delle primissime dichiarazioni appena uscito dal carcere, a fare l’elenco (a braccio, quindi non esaustivo) di chi è ancora dentro: Abdel-Moneim Abul-Fotouh, Mohamed El-Qassas, Mohamed Adel, Ahmed Orabi, Mohamed Oxygen, Omar Ali, Hazem Abu Ismail, Hoda Abdel-Moneim, Marwa Arafa, Sherif El-Rouby, Yahya Ghazlan , Anas El-Beltagy, Aisha El-Shater. E, naturalmente, Alaa Abd el-Fattah.

Quando questi prigionieri di coscienza saranno, tutte e tutti, usciti dalle prigioni egiziane, forse il “decennio della vergogna” (la definizione è di Amnesty International) potrà dirsi concluso.

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