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Consiglio Onu dei diritti umani, dopo sette anni si torna a parlare dell’Egitto

Dopo sette anni esatti, e per la prima volta da quando Abdelfattah al-Sisi è stato eletto presidente, un gruppo di stati membri del Consiglio Onu dei diritti umani ha preso posizione sulla situazione dei diritti umani in Egitto.

Venerdì 12 marzo, 31 stati hanno trasmesso una dichiarazione alla 46ma sessione del Consiglio in cui si esprime “profonda preoccupazione” per le massicce violazioni dei diritti umani commesse impunemente dalle autorità egiziane, si evidenziano le “limitazioni alla libertà d’espressione e al diritto di manifestazione pacifica e la stretta allo spazio per la società civile e per l’opposizione politica e si condanna l’uso delle leggi antiterrorismo per punire persone che esprimono critiche in modo pacifico.

La dichiarazione congiunta chiedel’immediata fine dell’impunità (…), dell’uso eccessivo della detenzione preventiva e della prassi di indagare i detenuti alla fine del periodo di carcere cautelare per ulteriori reati.

Ci si sarebbe aspettati che l’iniziativa la prendesse l’Italia, che aveva almeno un paio di noti e importantissimi motivi per farlo. L’ha fatto invece la Finlandia, l’Italia ha comunque aderito. Gli altri 29 stati che hanno sottoscritto la dichiarazione sono: Australia, Austria, Belgio, Bosnia ed Erzegovina, Bulgaria, Canada, Costa Rica, Danimarca, Estonia, Francia, Germania, Irlanda, Islanda, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Macedonia del Nord, Montenegro, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Regno Unito, Repubblica Ceca, Slovenia, Spagna, Stati Uniti d’America, Svezia e Svizzera.

Tre considerazioni importanti: l’ultima dichiarazione congiunta presentata al Consiglio Onu dei diritti umani sulla situazione egiziana, risalente al marzo 2014 e promossa dall’Islanda, era stata sottoscritta da cinque stati in meno; al testo proposto quest’anno, Trump se fosse stato ancora in carica non avrebbe aderito, Biden lo ha fatto e si è portato dietro anche il Regno Unito; infine, tra i firmatari c’è una maggioranza, seppur risicata di stati membri dell’Unione europea.

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