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Comunità, leadership e social: strumenti di ponte e inclusione tra i rifugiati e l’ Italia che accoglie

Presentata oggi, su iniziativa del Centro Studi e ricerche IDOS e del dipartimento di Scienze della Formazione dell’ Università Roma Tre, la ricerca condotta da UNHCR e INTERSOS che approfondisce le dinamiche delle comunità di rifugiati, richiedenti asilo e apolidi presenti oggi in Italia: conoscere meglio queste comunità significa sostenere il loro impegno con la società ospitante, promuovere la loro sensibilizzazione e promuovere la loro protezione e integrazione.

Migranti economici, migranti climatici e soprattutto migranti forzati sono in costante crescita. Nel 2011 la guerra in Siria e la caduta di Gheddafi in Libia hanno notevolmente aumentato i flussi verso l’ Europa e alimentato il traffico clandestino di esseri umani. Tra il 2014 e il 2017 abbiamo toccato l’ apice dei tanti profughi in cerca di protezione internazionale. L’ Europa si è quindi spaccata in due correnti: 12 paesi dell’ Unione su 27 hanno chiesto finanziamenti per la costruzione di muri interni anti migranti e oggi l’ Europa conta 16 muri, oltre all’ adozione sistematica della cosiddetta esternalizzazione delle frontiere per impedire ai profughi di mettere piede in UE ed evitare così che possano chiedere asilo. A fronte di questo, anche per chi arriva in Italia e riesce a ottenere protezione politica, l’ accoglienza è difettosa e spesso emergenziale. Non dobbiamo mai dimenticare che i rifugiati arrivano con un ricco retaggio sociale e culturale e con aspettative differenti. Ed è in questo senso che abbiamo bisogno di ricerche come questa nella guida della governance e delle policies di gestione dei richiedenti asilo perché per abbattere i pregiudizi ideologici non esiste nulla di più efficace di un incontro diretto e tangibile con gli individui che arrivano da noi fuggendo da guerre e persecuzioni” afferma Luca Di Sciullo, presidente del Centro Studi e Ricerche Idos, che ogni anno fornisce dati e analisi accurati e a tutto tondo sul fenomeno delle migrazioni attraverso il Rapporto nazionale del Dossier Statistico Immigrazione.

La ricerca di Unhcr e Intersos è stata condotta attraverso interviste con informatori chiave di rifugiati, richiedenti asilo e comunità apolidi, oltre a discussioni di focus group con partecipanti di varie comunità: i Community Outreach Volunteers(COVs) e le Refugee-Led Organizations (RLO). Gli studi hanno identificato una vasta gamma di strutture organizzative formali e informali all’interno delle comunità di rifugiati, classificandole in due macro modelli: comunità basate sull’identità e comunità di interesse.

Le comunità basate sull’identità sono caratterizzate da gruppi che condividono una nazionalità, una lingua, un’etnia o un’identità religiosa comuni e in genere mostrano strutture gerarchiche basate su fattori quali anzianità, classe e genere. Queste comunità promuovono un forte senso di appartenenza, fratellanza e scambio culturale tra i loro membri: tradizioni e costumi svolgono un ruolo centrale, differenziandoli dalla società ospitante e la leadership all’interno di questa tipologia di comunità  spesso spetta ai membri più anziani, ai leader religiosi o agli individui con un capitale sociale e un’influenza più significativi.

Le comunità di interesse, invece, non sono definite da un background culturale condiviso, ma piuttosto da una comunanza di esperienze vissute che creano quindi un legame empatico. Queste comunità creano senso di appartenenza e supporto attraverso relazioni interpersonali, obiettivi condivisi ed esperienze di vita simili, promuovendo al contempo la coesione sociale e affrontando le sfide da affrontare nel paese ospitante. Spesso sono composti da membri provenienti da differenti paesi e possono concentrarsi su questioni specifiche, ad esempio la questione di genere dell’ emancipazione femminile. La vitalità di queste comunità si basa sulla partecipazione paritaria, la solidarietà e il mutuo soccorso tra i suoi membri.

Come la ricerca evidenzia, le varie comunità svolgono un ruolo significativo nella vita dei singoli rifugiati, richiedenti asilo e apolidi in Italia, fornendo un senso di interconnessione e motivando gli individui a trovare soluzioni collettive a sfide comuni. Servono come base per la risoluzione pratica dei problemi e l’interpretazione delle esperienze all’interno della società ospitante, aiutando i rifugiati e i richiedenti asilo a superare le barriere linguistico-economiche e le discriminazioni. La conoscenza e il supporto all’interno delle comunità aiutano le persone a destreggiarsi nei sistemi legali e amministrativi, aconoscere i propri diritti, ad accedere a servizi e a sviluppare soluzioni, mettendo a disposizione di tutti conoscenze, esperienze e competenze diverse.

Tuttavia, anche all’interno delle comunità, possono esservi sia forze di supporto che di controllo sociale: appartenere a un gruppo sociale può infatti creare un senso di comfort e sicurezza, ma può anche portare a stigmatizzazioni e all’esclusione sulla base di fattori come età, genere, diversità. La ricerca ha infatti identificato alcune discriminazioni generazionali e di genere, sottolineando la complessità delle dinamiche di comunità: riconoscere l’importanza della generazione come categoria sociologica all’interno di queste comunità è cruciale per gli sforzi di protezione e integrazione, poiché generazioni diverse possono aderire a modelli anche molto diversi di comportamento, così come a sentimenti e pensieri che creano sia esperienze condivise che divisioni.

Anche la leadership all’interno delle comunità di rifugiati svolge un ruolo fondamentale, fornendo orientamento, mobilitando risorse e rappresentando gli interessi della comunità. Lo studio ha rilevato che le strutture di leadership all’interno di queste comunità sono spesso complesse e sfaccettate, riflettendo i diversi background ed esperienze dei loro membri. Coltivare strutture di leadership diversificate e inclusive consente alle comunità di rifugiati di beneficiare di una serie di prospettive, esperienze e competenze e questo rafforza la resilienza della comunità, responsabilizza gli individui all’interno della stessa, promuove l’autosufficienza: una leadership efficace facilita l’integrazione di tutta la comunità, migliora la coesione sociale e contribuisce alla protezione e all’integrazione globale dei rifugiati.

Un altro ambito di studio è stata la comunicazione all’interno delle comunità di rifugiati: fondamentale per mantenere la coesione sociale e facilitare l’integrazione nella società ospitante, avvienesoprattutto attraverso la divulgazione orale, un tipo di espressione che alimenta i legami comunitari, migliora l’accesso alle risorse e costruisce fiducia sociale e supporto reciproco. Però negli ultimi anni anche le piattaforme di social media e le applicazioni di messaggistica sono ampiamente utilizzate dai rifugiati per la comunicazione formale e informale, anche grazie alle molte reti per l’orientamento, per l’assistenza e per la condivisione delle informazioni. Anche per questo è essenziale sensibilizzare i rifugiati sulle potenziali insidie del web e promuovere tra loro l’uso di fonti di informazione quanto più affidabili.

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