È la guerra di tutti contro tutti: uccisioni, torture, stupri commessi da gruppi separatisti armati, milizie filo-governative e forze di sicurezza del Camerun.
Il 4 luglio Amnesty International è tornata a denunciare quanto accade nelle regioni anglofone dello stato africano, soprattutto in quella nordoccidentale.
La crisi è il risultato di una risposta repressiva alle proteste, in gran parte pacifiche, del 2016-2017, mirate a porre fine alla marginalizzazione delle minoranze. Da allora la situazione è degenerata in una condizione di violenza armata senza limiti.
“Amba boys” (così sono chiamati i separatisti armati) contro l’etnia mbororo fulani; haoussa, aku e gli stessi mbororo fulani – con l’appoggio delle forze armate regolari – contro gli ambazoniani.
A consentire tutto questo, un fiume di armi provenienti da Francia, Regno Unito, Belgio, Croazia, Israele, Russia, Serbia e Stati Uniti d’America, destinate all’esercito ma finite nelle mani dei gruppi armati separatisti.
Le autorità centrali, invece di indagare sui crimini commessi dai separatisti armati, accusano coloro che li denunciano – difensori dei diritti umani, attivisti, avvocati e giornalisti – di essere, a loro volta, separatisti armati o loro sostenitori e li mandano in corte marziale.
Le ripetute richieste di missioni di accertamento dei fatti, da parte delle organizzazioni regionali e africane per i diritti umani, restano senza risposta. La guerra di tutti contro tutti continua nel silenzio generale.