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Biodiversità, la corsa alle “aree protette” condanna i popoli indigeni

In Africa sempre più popoli indigeni vengono cacciati dalle loro terre di origini, trasformate in “aree protette”. A un anno dall’appello per rivedere i piani che prevedevano il 30% dell’adempimento da parte degli Stati entro il 2030, che rischiava di causare lo sfollamento di milioni di persone, una percentuale alta di quella fascia già sta subire quell’amaro destino. A denunciarlo, a pochi giorni dalla chiusura della  Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2023 alcune importanti ONG, tra cui Survival International e Amnesty International.
Le organizzazioni denunciano che “senza una seria revisione, il cosiddetto target del 30×30 “distruggerà la vita di molti popoli indigeni”.

Aggiungono anche che questo sarà “profondamente devastante per i mezzi di sostentamento di altre comunità che usano la terra per la sussistenza, e allo stesso tempo distoglierà l’attenzione dalle vere cause del collasso della biodiversità e del clima.”
La grave preoccupazione di basa sul fatto che a costituire la maggior parte del target siano le “Aree Protette restrittive”. Queste aree, “cardine del modello di conservazione dominante condotto dall’Occidente, hanno comportato sfratti diffusi, fame, malattie e violazioni dei diritti umani, tra cui omicidi, stupri e torture in Africa e Asia.”

Tra le altre raccomandazioni, le organizzazioni richiedono che qualunque obiettivo di conservazione incluso nel nuovo Quadro Globale per la Biodiversità (Global Biodiversity Framework GBF) “dia priorità al riconoscimento e alla protezione dei sistemi di proprietà territoriale collettiva e consuetudinaria dei popoli indigeni” e “riconosca il diritto delle altre comunità che usano la terra per la sussistenza a essere protette dagli sfratti forzati”.

“L’idea che il 30×30 sia uno strumento efficace nella protezione della biodiversità non ha alcuna base scientifica” ha dichiarato oggi Fiore Longo, responsabile della campagna di Survival per decolonizzare la conservazione. “L’unico motivo per cui è ancora in discussione nelle negoziazioni è che viene spinto con forza dall’industria della conservazione, che vede in esso un’opportunità per raddoppiare la quantità di terra sotto il suo controllo. Se sarà approvato, costituirà il più grande furto di terra della storia e deruberà milioni di persone dei loro mezzi di sussistenza. Se i governi intendono davvero proteggere la biodiversità, la risposta è semplice: riconoscere i diritti territoriali dei popoli indigeni.”

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